Venezia Arti è una rivista di storia delle arti del Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Fondata nel 1987 da Wladimiro Dorigo e Giuseppe Mazzariol, inizia con il 2019 una nuova serie, diretta da Silvia Burini e Giovanni Maria Fara. La rivista è aperta a studiosi di tutti i settori delle arti e incoraggia una visione di tipo interdisciplinare e internazionale, capace di documentare, con sistematicità critica, avvenimenti e problemi della cultura artistica. Essa ambisce a diventare un solido punto di riferimento per l’arte medievale, moderna e per quella contemporanea, per le arti visive e performative, per tutti i principali temi del dibattito metodologico internazionale. La rivista è annuale, soggetta a double-blind peer review, riconosciuta come rivista scientifica per le aree 08 (Architettura) e 10 (Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche) dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, e indicizzata in Scopus. Dal 2014 è realizzata in formato digitale (open access) dalle Edizioni Ca’ Foscari. È caratterizzata da call tematiche con una sezione miscellanea in cui poter accogliere i contributi di giovani studiosi emergenti.
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Gli articoli pubblicati hanno ottenuto il parere favorevole da parte di almeno due valutatori esperti della materia, attraverso un processo di revisione anonima (double-blind peer review) condotto sotto la responsabilità della Direzione scientifica della rivista. I revisori non hanno contatti diretti con gli Autori e appartengono a istituzioni di ricerca diverse da quella cui la rivista è affiliata.
La valutazione è svolta in conformità e aderenza ai criteri scientifici, e ai criteri editoriali di completezza bibliografica e coerenza formale di Edizioni Ca’ Foscari.
Politiche di revisione per le singole sezioni:
Per una descrizione dettagliata del processo, si prega di consultare la pagina: Certificazione scientifica.
Questo prontuario descrive le principali convenzioni redazionali adottate nella rivista. Per casi particolari e indicazioni ulteriori (come l’elenco delle abbreviazioni ammesse), si rinvia al manuale delle Edizioni Ca’ Foscari:
https://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/pubblicare-con-noi/ecf_norme_it.pdf
I. Composizione del testo
Formattazione del file Word
Limitare la formattazione allo stretto necessario, adottando caratteri di modulo 12 ed evitando maiuscoletti, stili speciali e interlinea diversi da 1. Un caso particolare è costituito dalle Citazioni a testo lunghe.
L’uso del grassetto è ammesso per i titoli.
Date, numeri e misure
I numeri vanno indicati in forma abbreviata omettendo le parti che non cambiano (a eccezione dei cosiddetti ‘teens’ 11-19).
Esempi:
1960-65, 270-1, 256-70, 311-14, 1.000, 120 × 240 cm; 5 marzo-7 maggio; il Settecento; gli anni Trenta.
Citazioni a testo
Parole straniere e traduzioni
Se non recepite nel dizionario Treccani (http://www.treccani.it/vocabolario/), debbono essere scritte in corsivo. Anche le traslitterazioni vanno in corsivo. Le relative traduzioni vanno in tondo tra virgolette singole alte immediatamente dopo il termine.
Esempio:
Totenmal (‘monumento funerario’)
Enfasi
Si possono usare le virgolette alte (‘’) anche per evidenziare un ‘concetto’, soffermarsi sulla precisa accezione di un ‘termine’, segnalare l’uso ‘idiomatico’, ‘metaforico’ o ‘improprio’ di un lemma.
Titoli
I titoli di opere letterarie, pittoriche, scultoree, fotografiche, cinematografiche, televisive teatrali, musicali, etc. vanno in corsivo con iniziale maiuscola.
Trattino / lineetta
II. Riferimenti bibliografici
Abbreviazioni nelle note a piè pagina
Esempi:
Rossi 2010, 25-7; per alcuni esempi: Rossi 2010, 50.
Rossi 2010, 234 nota 23; Bianchi 2011
Rossi, Bianchi 2010 [coautori]
Rossi, Bianchi, Verdi 2010 [coautori]
Rossi et al. 2010 [più di tre autori]
M. Rossi 2010, G. Rossi 2010 [autori con lo stesso cognome]
Rossi 2010a, 2010b [più opere dello stesso autore, apparse nello stesso anno]
Rossi 2010, 2011 [più opere dello stesso autore, ma edite in anni diversi]
Rossi, s.d., 34 [opera senza data nel frontespizio e nel colophon]
Rossi, in corso di stampa; Bianchi (comunicazione orale)
BSI 1985 [= ‘British Standards Institution’, simili abbreviazioni vanno sciolte nella bibliografia finale].
Esempi:
Rossi 2008, 2, 2: 630 nota 15 (= ‘tomo’ 2, ‘volume’ 2: ‘pagina’ 630, nota 15)
Rossi 1934-36, 4, 17 (vol. 4 di opera in più volumi, edita tra 1934 e 1936, p. 17)
Esempi:
Tuc., Hist., 7, 3, 18 [= libro 7, capitolo 3, paragrafo 18]; Piccirilli 1985, 107
Verg., Aen., 1, v. 127 [= libro 1, verso 127]; Calzecchi Onesti, 20
Mc 1,17 [= Vangelo di Marco, capitolo 1, versetto 17]
Esempio:
Ricci 2016
cui corrisponderà nella bibliografia finale:
Ricci, L. (a cura di) (2016). Il Gotico nel diciannovesimo secolo = Catalogo della mostra (Venezia, 22 marzo-26 giugno 2016). Venezia.
Esempi:
Lenzo [autore della scheda] 2019, Nrr. 4.2-4.3.
Verzeichniss der Sammlung Welzl 1845, IV, nr. 3.
L[onghi], Nr. 44.
Esempio:
Rossi 2004, 7
cui corrisponderà nella bibliografia finale:
Rossi, M. (2004). s.v. «Bianchi, Antonio». Enciclopedia degli autori italiani. http://www.enciclopediaautoriintaliani.org/articles/antonio-bianchi.
Esempio:
ASV, ASC, numerazione rossa, pratica 614, b. 4235, fasc. 3, cc. 2r-v, 3v [numerazione moderna]; ASV, ASC, b. 4235, s.p. [ma 44]
Esempio:
Si segnalano alcuni degli interventi più significativi, in particolare il contributo presentato da Rossi (2010); il decennale lavoro di Bianchi (2014, 34-6), e l’agile sintesi curata da Neri e Verdi (2015, 123-4), con bibliografia ragionata (150-7).
Bibliografia finale
Le abbreviazioni relative alle voci bibliografiche vengono sciolte dopo il testo dell’articolo. Le voci sono elencate in ordine alfabetico e, per uno stesso Autore, dalla meno recente alla più recente. Ogni voce bibliografica riporta, nella lingua della pubblicazione citata:
Libro a stampa
Esempi:
Bianchi, F. (2016). La mia opera. Uno sguardo ravvicinato. A cura di L. Rossi. Venezia. Archivi di Letteratura Italiana 8.
Rossi, M.; Verdi, G. (2000). La nostra opera. Venezia.
Rossi, M. (2000). La nostra opera. Berlin, München; Oxford [editore con più sedi].
Le mille e una notte (1990). Novara [autore sconosciuto].
BSI, British Standards Institution (1985). Specification for Abbreviation of Title Words and Titles of Publications. London. [ma si eviti il più possibile il riferimento ad autori collettivi]
Green, M. (2010). The Paintings of Titian. Foreword by G. Verdi; introductory essay by A. Bianchi. London.
Arrighi, L. (1465). La mia opera. S.l.
Traduzioni
Si può indicizzare l’opera facendo riferimento al nome del Traduttore (soprattutto nel caso di classici) o, in alternativa, a quello dell’Autore, purché la scelta sia coerente con i criteri adottati per le abbreviazioni bibliografiche in nota.
Rossi, M. (a cura di) (1967). Publio Virgilio Marone: Eneide. Testo a fronte. Venezia.
Spencer, J. (transl.) (1974). Aeneid. London.
Rossi, M. (2010). La mia opera. Trad. di A. Bianchi. Venezia. Trad. di: Mon oeuvre. Paris, 2000.
Opera in più volumi e saggio in opera in più volumi
Smith, P. (2016). Essays on Art. 3 vols. London.
Bianchi, A. (a cura di) (2000-). Antologia degli scritti di Mario Rossi. Venezia.
Lombardi, M. (2017). History of Publishing. Vol. 4, Digital Publishing. Venice.
Miscellanea, opera con curatela
Bianchi, A. (a cura di) (2010). L’opera di Giotto. Venezia.
Blanche, A. (éd.) (2010). Commentaires. Paris.
Contributo in miscellanea od opera con curatela
Il titolo e il sottotitolo del contributo si riportano tra parentesi basse. Dopo un punto si indicano il cognome e il nome del curatore seguiti da ‘(a cura di)’ o espressioni analoghe, e da virgola; segue il titolo della raccolta in corsivo.
Bianchi, F. (2016). «Il Gotico. Storie e miti». Ricci, L. (a cura di), Il Gotico nel diciannovesimo secolo. Venezia, 87-121.
Libro elettronico
Per pubblicazioni elettroniche, si citano il DOI (da preferire, se disponibile) o l’URL senza sottolinearne i caratteri. I codici DOI, desumibili dal sito https://search.crossref.org, si citano come: https://doi.org/10.xxxx/xxxxx. Dopo il titolo dell’opera si aggiunge l’indicazione ‘[online]’; dopo l’URL la data di consultazione, nel formato ‘(aaaa.mm.gg)’.
Bianchi, F. (2016). La mia opera. A cura di L. Rossi. Venezia. http://www.edizioniaperte.it.
Bianchi, F. (2016). «Il Gotico. Storie e miti». Ricci, L. (a cura di), Il Gotico nel diciannovesimo secolo. Venezia, 87-121. Scritti di letteratura gotica 27. https://doi.org/10.14277/978-88-6969-021-1.
Articoli in rivista
Il titolo e il sottotitolo del contributo si indicano tra parentesi basse, il nome della rivista in corsivo, seguito dal numero della serie (in cifre romane o come ‘n.s.’), del volume o dell’annata (in cifre arabe) e, se necessario, del fascicolo (in cifre arabe tra parentesi tonde, senza spazio davanti alla prima parentesi).
Bianchi, F. (2017). «Il Gotico. Racconti e miti». Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen Wien, 5(2), 5-34.
Bianchi, F. (2017). «Il Gotico. Racconti e Miti». Letteratura inglese, 6(2), 15-34. http://www.letteraturainglese.it.
Numero monografico o supplemento di rivista
Se il numero monografico ha un titolo, va tra virgolette basse come i titoli del contributi.
Verdi, M. (a cura di) (2016). «Letteratura gotica». Num. monogr., Letteratura inglese, 6(2).
Recensioni
Rossi, M. (2013). Recensione di L’opera pittorica di Raffaello, di Verdi, Guido. Kunstchronik, 23(4), 24-7.
III. Didascalie per le immagini
Seguire i seguenti schemi:
IV. Immagini
Inviare files tiff, a colori o in bianco e nero, numerati in coerenza con le didascalie, con una risoluzione di almeno 300 ppi.
V. Checklist prima della consegna
Verificare che l’articolo:
Per informazioni e chiarimenti, si invita a contattare la redazione di Edizioni Ca’ Foscari all’indirizzo ecf@unive.it.
Il tema della metamorfosi è un tema fecondo nel mondo dell’arte e più in generale in quello della storia della cultura, affondando le proprie radici nella più remota antichità. La dinamica della trasformazione in altro - peculiarità della natura e del regno animale - è presente in molte mitologie e religioni del passato, ribadito e ripreso nelle rispettive tradizioni letterarie (fino a Kafka e oltre): per indicare solo un esempio, Ovidio è ancora oggi una delle personalità più profondamente radicate in questa cruciale prospettiva (come noto, non esclusivamente occidentale), proprio per i suoi celebri Metamorphosĕon libri XV, sintesi sfavillante di precedenti poetici, eruditi, figurativi e plastici, ma anche fonte imprescindibile per quasi ogni successiva rinascenza. Apollo e Dafne, Venere e Adone, Narciso, Prometeo, Leda e il Cigno, Danae, Callisto, Atteone, Perseo: l’elenco è fittissimo di celebrati capolavori e di riprese ininterrotte per secoli (anche in quello presente), così come di una storiografia critica (da Warburg a Saxl, da Panofsky a Wind, da Fumaroli a Lévi-Strauss, a Roberto Calasso) che pur avendo conosciuto stagioni di maggiore e minore densità, ha stabilito e segna comunque dall’avvio della disciplina una costante della ricerca storico-artistica. Accanto a essa, il tema è risultato cruciale (oltre che nelle scienze naturali, o nella trasformazione dell’astrologia in astronomia e dell’alchimia in chimica) anche nella speculazione filosofica, e basti in questo caso il rinvio al ruolo fondante di Nietzsche nel pensiero moderno, sino alle assai più recenti indagini, tra gli altri, di Emanuele Coccia.
L’annata 2023 di Venezia Arti propone pertanto agli studiosi di produrre degli aggiornati contributi, dagli scenari della tarda antichità al contemporaneo, che riguardino il tema della ‘metamorfosi’, declinato inevitabilmente su più possibili registri: per esempio in quello di mutuazione/trasformazione, che parte dal presupposto di un adeguamento tra la specie umana e le biologiche dinamiche vegetali e animali; ovvero in quello delle cosiddette morfologie mutanti, dove l’oggetto della rappresentazione si impernia sulle nozioni di ‘ibrido’, di ‘mostro’ e di ‘cyborg’: se nel Medioevo raccoglierli significava celebrare il mostruoso o, più avanti, il grottesco, oggi essi ci appaiono come tratti salienti tra la fine della modernità e gli inizi di ciò che ormai si definisce post-modernità o, meglio, l’era del post-human. Come per i greci il peccato più grave era costituito dalla hybris, una inaccettabile violazione dell’ordine del cosmo, e centauri, chimere, satiri - con la semplice e arrogante composizione dei loro corpi - osavano sottrarsi al dominio della ferrea necessità di un mondo ordinato in categorie, la presenza nell’arte odierna di forme biologiche, altrettanto singolari rispetto a quelle dei mostri del passato, è la manifestazione di una sorta di hybris della modernità, ma anche il sintomo di una società in crisi.
Quando si pensa alla ‘fortuna’ del tema delle metamorfosi in epoca moderna, non si può non tener conto dei numerosi volgarizzamenti o moralizzazioni dell’opera omonima di Ovidio, non solo dal punto di vista della fortuna editoriale di un testo divenuto all’epoca già classico, ma nel riverbero che ebbero gli apparati illustrativi delle numerose edizioni a stampa nei cicli pittorici o nelle opere mobili, dai dipinti agli arazzi, in tutta Europa. Imprescindibile allora è il repertorio iconografico curato da Claudia Cieri Via (L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Roma, 2003), consistente in una mappatura sostanziosa delle occorrenze figurative degli episodi ovidiani dipinti, sebbene nei limiti geografici della penisola centro-settentrionale, a maggior ragione da colmare rivolgendo lo sguardo lungo rotte geografiche non considerate allora e realizzate su supporti di altro tipo. A cascata, si considerino pure gli studi di Giuseppe Capriotti dedicati al ‘tempo delle trasformazioni’ di Lodovico Dolce (qui basti fare un solo riferimento bibliografico in un contesto editoriale illustre: Il tempo delle trasformazioni. Le quattro stampe di Giovanni Antonio Rusconi aggiunte alla seconda edizione del 1553 delle «Trasformationi» di Lodovico Dolce, in Galassia Ariosto. Il modello editoriale dell'Orlando furioso dal libro illustrato al web, a cura di L. Bolzoni, Roma, 2017, 309-324), oppure gli studi di Federica Toniolo («Immagini in trasformazione. Le Metamorfosi illustrate dai manoscritti ai libri di stampa», in Ovidio. Amori, miti e altre storie, a cura di F. Ghedini, Napoli, 2018, 95-103). Cioè di contributi più o meno ampi, che confermano tutti come gli ambiti della cultura visiva e letteraria nel Cinquecento fossero osmotici, confermando una volta di più il paradigma oraziano dell’ut pictura poësis come indagato a partire dal celeberrimo saggio di Rensselaer Wright Lee (Ut Pictura Poesis. A Humanistic Theory of Painting, New York, 1967).
Un ulteriore possibile registro si appunta sulle persistenze visive della mitologia classica che sfociano nelle ‘manipolazioni’ dell’età moderna e contemporanea, in cui l’ibrido è considerato come incrocio tra umano e animale, spirituale e carnale, metafora della realtà e punto di vista sul mondo in un percorso tematico che confronta epoche, stili e contributi concettuali, una problematica affrontata, tra molti altri, da Böcklin, Moreau, Rodin, von Stuck, Redon, de Chirico, Magritte, Grosz, Klinger, Picasso, Chagall, Arturo e Alberto Martini, Savinio, Delvaux, Bacon, Kahlo, Picabia, Mendieta, Clemente, Chia, Paladino, Barney, Cattelan, Bourgeois, Sherman, Kiki Smith, fino ai lavori di Aspassio Haronitaki, Giuseppe Maraniello, e molti altri.
Il tema della metamorfosi si declina anche in relazione a quello, se possibile ancora più dilatato, dell’identità/alterità. Come ha notato Arthur Rimbaud, nella sua Lettera del veggente del 1871, «Io è un altro»: la nostra identità è aperta a infinite possibili trasformazioni, indotte dalla nostra sensibilità e dalle condizioni in cui viviamo. Si tratta di una questione cui gli artisti, dalle Avanguardie storiche ai nostri giorni, hanno continuato a fare riferimento, sperimentandolo attraverso opere in cui il loro stesso volto e il loro stesso corpo diventano oggetto di travestimenti, camuffamenti, sdoppiamenti di identità, sia in senso ironico che critico. Maestro di tutti è Marcel Duchamp, ma molti altri artisti hanno giocato a travestirsi, come ad esempio Luigi Ontani.
In tempi più recenti, il trasformismo si è accompagnato alla riflessione sulla ‘manipolazione’ del corpo, dalla chirurgia estetica alla medicina genetica. Sono spesso le artiste a lavorare su questi temi, come Orlan, Marina Abramović, Mariko Mori, che nelle sue performance degli anni Novanta ha interpretato i ruoli di geisha post-tecnologica, sirena di plastica, giovane eroina dei manga, per mostrare le diverse facce di un’iconografia femminile orientale che risponde ai desideri della società maschilista. Cindy Sherman ha fatto del trasformismo e del camuffamento la base della sua opera: nel corso del tempo si è truccata interpretando le centinaia di protagoniste dei più noti film moderni e contemporanei, riflettendo sui condizionamenti e i luoghi comuni sulle attrici donne nell’industria cinematografica; ha interpretato i soggetti femminili delle grandi opere d’arte, da Venere a Giuditta; ha messo in scena le manie e i parametri della bellezza femminile americani; ha creato terribili teatri di corpi mutilati, per stimolare il dibattito sul tema della violenza sulle donne.
Molti gli esempi: dai camuffamenti del giapponese Yasumasa Morimura e del cinese Liu Bolin: il primo è letteralmente ossessionato dal confronto con i più famosi artisti occidentali del passato, dei quali riproduce opere celebri, dall’autoritratto di Van Gogh all’Olympia di Manet, in set ricercatissimi e minuziosi dove si ritrae truccato come i protagonisti di questi dipinti. Il secondo si camuffa negli ambienti o davanti alle grandi opere d’arte, diventando letteralmente mimetico con essi, sottolineando il pericolo di perdita dell’identità delle cose nel mondo globalizzato. Fino all’esperienza del performer russo Vladislav Mamyshev Monroe.
La sensazione complessiva, nello scenario odierno, è quella di trovarsi nel pieno di un radicale mutamento, incalzato dalle continue alterazioni visive di installazioni, sculture, azioni performative, dipinti e video che invitano l’osservatore a una riflessione sul senso della percezione, per condurlo a penetrare il silente linguaggio della natura che, proprio nella metamorfosi, mostra il suo essere viva e trepidante. Si tratta, in sostanza, di un passaggio al transitorio e all’impermanenza, che nulla ha ormai più a che vedere con l’idea otto-novecentesca di ‘cambiamento’, come ha sottolineato di recente Carolyn Christov-Bakargiev sostenendo che il concetto odierno di ‘trasformazione’ si connette più propriamente all’idea della ‘metabolizzazione’.
Il numero del 2023 di Venezia Arti accoglierà, nella specifica sezione «Alia itinera», alcuni selezionati contributi che esulano dal tema monografico «Metamorfosi».
DEADLINE
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