Il fr. 180 Dg. di Ipponatte (χειρόχωλος) è tràdito da Polluce, 2.152, che attesta quanto segue: χειροπέδας Ἡρόδοτος εἴρηκεν, Ἱππῶναξ δὲ χειρόχωλον τὸν τὴν χεῖρα πεπηρωμένον («Erodoto ha usato il vocabolo ‘manette’,1 e Ipponatte ha definito cheirocholos chi ha una mano storpia»).
1 L’uso del termine χειροπέδη da parte di Erodoto non è tuttavia certo; in merito, cf. ad es. Degani 1991, 160.
Degani, che traduce χειρόχωλος con «zoppo di mano»,2 ritiene che il composto designasse un avaro, giacché «espressioni del tipo ‘avere le dita (o le mani) contratte, ricurve o simili’ (δάκτυλοι συνεστραμμένοι, συγκεκαμμένοι ecc.) – vuoi per la ritrosia ad ‘allargarle’, vuoi per il continuo ‘conteggio’ del denaro – caratterizzano appunto i φιλοχρήματοι».3
2 Degani 2007, 61.
3 Cf. Degani 1984, 97 nota 97; inoltre 1991, 160; 2007, 147. Di diverso parere ten Brink 1851, 46; Flach 1884, 561; Medeiros 1961, 236, secondo cui il vocabolo χειρόχωλος potrebbe essere un epiteto riferito a Bupalo, per designarne l’incapacità artistica.
Lo studioso si rifà alla documentazione raccolta da Gerhard,4 che cita passi, quali D.L. 6.29, ove l’ingeneroso è tratteggiato come colui che tende le mani al prossimo συγκεκαμμένοις τοῖς δακτύλοις, ‘con dita contratte’; o Teles 38.7‑8 Hense, che designa gli avari come individui παραλελυμένοι τὰς χεῖρας, ‘dalle mani atrofizzate’; o ancora Phoen. fr. 5.2 Powell, ove un vecchio spilorcio, intento a bere vino rancido da una coppa rotta, si caratterizza per χωλοῖσι δακτύλοισι, ‘dita deformi’.5 A questi esempi, Degani affianca inoltre Anon. AP 16.18: τέρπε δανειζόμενος τὴν σὴν φρένα· τοῖς δὲ δανεισταῖς | κάλλιπε τὴν ψήφων δακτυλοκαμψοδύνην («prendi a credito e godi, lasciando che ai tuoi creditori venga, a furia di conti, il giradito»);6 ed Eupol. fr. 264 K.-A.: ὅτι χωλός ἐστι τὴν ἑτέραν χεῖρ’ εὖ σφόδρα («che egli è notevolmente storpio in una mano»), detto, secondo lo studioso «sempre di un avaro».7
4 Gerhard 1909, 200.
5 Per ulteriori esempi, cf. inoltre Jung 1929, 36; Tomassi 2011, 293; e, sul fr. 5 Powell di Fenice, Lodi 1998.
6 Trad. di Pontani 1981, 275.
7 Cf. Degani 2007, 147. Gli altri passi citati si trovano invece in Degani 1984, 97 nota 97. Il frammento eupolideo è comunque già in Gerhard 1909, 200.
L’ipotesi di Degani è condivisa anche da Bettarini,8 che ravvisa nel vocabolo χειρόχωλος una image-kenning, «poiché la menomazione della mano (evidentemente impossibilitata ad aprirsi e quindi a elargire) allude metaforicamente all’avarizia di qualcuno».9
8 Bettarini 2017, 38‑9.
9 Sul composto χειρόχωλος, cf. anche Hawkins 2013, 71 e 115.
C’è però un altro passo, che non rientra tra quelli segnalati da Degani, che pure, a mio avviso, potrebbe risultare interessante, ai fini dell’interpretazione del fr. 180 Dg. di Ipponatte. Si tratta di Aristoph. Eq. 1080‑5:
ΑΛ Ἀλλ᾽ ἔτι τόνδ᾽ ἐπάκουσον, ὃν εἶπέ σοι ἐξαλέασθαι
χρησμὸν Λητοΐδης, Κυλλήνην, μή σε δολώσῃ.
ΔΗ. Ποίαν Κυλλήνην;
ΑΛ. τὴν τούτου χεῖρ᾽ ἐποίησεν
Κυλλήνην ὀρθῶς, ὁτιή φησ᾽· «Ἔμβαλε κυλλῇ.»
ΠΑ. Οὐκ ὀρθῶς φράζει: τὴν Κυλλήνην γὰρ ὁ Φοῖβος
ἐς τὴν χεῖρ᾽ ὀρθῶς ᾐνίξατο τὴν Διοπείθους.
Salsicciaio Ma ascolta anche questo oracolo: il figlio di Latona ti raccomanda di guardarti da Cillene: che non ti inganni.
Demo Quale Cillene?
Salsicciaio La mano … ricurva di costui; e ha fatto bene, perché è lui che dice: «versa nella mia mano».
Paflagone Non interpreta correttamente: con Cillene, Febo allude, a ragione, alla mano di Diopite.10
10 Trad. di Mastromarco 1983, 297.
In questa breve sezione dei Cavalieri, il Salsicciaio sciorina a Demos l’ennesimo pseudo-oracolo, mirato a colpire Paflagone-Cleone. L’imputazione che viene mossa al demagogo è quella di possedere una mano storpia, per via della consuetudine a vessare gli Ateniesi con continue richieste di denaro. Come osserva Mastromarco,11 infatti, il nome Κυλλήνη (v. 1081) innesca un «intraducibile gioco di parole», che «fa pensare a κυλλή (scil. χείρ), ‘mano con le dita ricurve’ (v. 1083): come chi chiede l’elemosina».12 L’interpretazione dello studioso trova riscontro in Phot. ε 686 Theod., secondo cui l’espressione ἔμβαλε κυλλῇ (v. 1083) trarrebbe origine da coloro che inarcano la mano per fare la questua (ἔμβαλε κυλλῇ· ἀπὸ τῶν κατὰ παιδιὰν περιαγόντων τὴν χεῖρα καὶ αἰτούντων).13
11 Mastromarco 1983, 296 nota 190.
12 Cf. schol. Aristoph. Eq. 1081a, 237 Jones-Wilson.
13 Cf. anche Hesych. ε 2280 Latte-Cunningham; per ulteriori esempi, si vedano Neil 1966, 147 e Bühler 1982, 286.
Peraltro, per scagionarsi, Paflagone ritorce l’accusa di possedere una κυλλὴ χείρ – ossia di essere rapace e disonesto – contro Diopite (v. 1085), politico ateniese che, da quanto testimonia lo schol. Aristoph. Eq. 1085a, 238 Jones-Wilson, doveva realmente essere affetto da una deformità delle mani:
σεσίνωτο τὰς χεῖρας ὁ Διοπείθης καὶ ἦν κυλλός […] κατὰ καιρὸν οὖν διαβάλλει αὐτὸν ὡς κλέπτην
Diopite aveva una menomazione delle mani ed era monco […] perciò, cogliendo l’occasione, [scil.: Paflagone] lo taccia di furfanteria.14
14 Cf. anche schol. Aristoph. Av. 988b, 154 Holwerda; su Diopite, cf. ad es. Sommerstein 1981, 202; Mastromarco 1983, 297 nota 191.
Come si può constatare, la mano storpia non era dunque attributo esclusivo degli avari, bensì anche dei questuanti, e, per associazione di idee, dei politici corrotti, rapaci e truffaldini.15
15 Una κοίλη χείρ è in effetti ascritta da Aristofane anche al Pritane corrotto e φιλάργυρος di Thesm. 936‑7: ὦ πρύτανι, πρὸς τῆς δεξιᾶς, ἥνπερ φιλεῖς | κοίλην προτείνειν ἀργύριον ἤν τις διδῷ. Sul passo aristofaneo, cf. Austin, Olson 2004, 296, con ulteriori esempi; Anderson, Dix 2020, 190. Stratone AP 12.212.3 attribuisce invece la ‘mano cava’ a un fanciullo che domanda denaro in cambio di un favore sessuale (τὴν χέρα μοι κοίλην προσενήνοχας;): in merito, cf. Floridi 2007, 292; e inoltre Tib. 2.4.14: illa cava pretium flagitat usque manu.
Ora, è interessante notare che l’aggettivo κυλλός, con cui Aristofane designa ‘la mano ricurva’ di Cleone, viene indicato dalle fonti antiche come sinonimo strettissimo di χωλός, giacché anch’esso poteva designare una deformità sia dei piedi che delle mani.
Lo attesta, ad esempio, Ael. Dion. κ 43 (Erbse, 127): κυλλός· ὁ πεπηρωμένος οὐ μόνον πόδα, ἀλλὰ καὶ χεῖρα. ὁμοίως καὶ χωλὸς καὶ ἐπὶ ποδὸς καὶ ἐπὶ χειρός («kyllos: colui che ha una menomazione non solo del piede ma anche della mano. Anche cholos si usa indistintamente sia per il piede che per la mano»); o ancora Su(i)d. κ 2670 Adler: κυλλός· ὁ πεπηρωμένος. κυλλοὺς δὲ Ἀττικοὶ καλοῦσιν ἐπὶ ποδῶν καὶ ἐπὶ τῶν χειρῶν ὁμοίως, καὶ χωλοὺς τοὺς χεῖρα πεπηρωμένους. Εὔπολις, fr. 264 K.-A. («kyllos: chi è menomato. Ma gli Attici adottano indistintamente kyllos sia per i piedi che per le mani, e chiamano cholous coloro che hanno una menomazione della mano. Eupoli, fr. 264 K.-A.»);16 o, più stringatamente, Hesych. κ 4519 Latte-Cunningham: κυλλός· χωλός.
16 Cf. anche Su(i)d. κ 2671 e χ 425 Adler.
Come si evince dalle fonti antiche, i due aggettivi erano dunque percepiti come semanticamente equivalenti.17
17 Su queste (e ulteriori) fonti, cf. Bühler 1982, 284‑5; Olson 2016, 356‑7. In effetti, nei poemi omerici, lo zoppo Efesto viene definito tanto χωλός (Od. 8.331), quanto κυλλοποδίων (Il. 18.371; 21.331). Cf. anche Aristoph. Av. 1379 (πόδα […] κυλλόν), su cui si veda Poll. 4.188: Εὔπολις δὲ καὶ τὸν τὴν χεῖρα πεπηρωμένον χωλὸν εἴρηκεν (fr. 264 K.-A.). οὗ τὸ ἐναντίον ἐπὶ ποδὸς Ἀριστοφάνης (Av. 1379) κυλλόν (nonché schol. Aristoph. Av. 1379a-d, 202‑3 Holwerda). L’interscambiabilità dei due aggettivi è attestata inoltre da due passi paralleli di Herond. 8.79 (τ]ὰ κύλλ’ ἀείδειν) e Call. Ia. 13.14 e 66 (τὰ χωλὰ τίκτειν), che adottano rispettivamente la forma sostantivata di κυλλός e χωλός, quali termini tecnici per designare il coliambo.
Proprio sulla base della corrispondenza κυλλός· χωλός – e in virtù di una presunta consonanza con Aristoph. Eq. 1080‑5 – Olson18 suppone che il già citato fr. 264 K.-A. di Eupoli (ὅτι χωλός ἐστι τὴν ἑτέραν χεῖρ’ εὖ σφόδρα),19 oltre che a un «miser», come ritiene Degani, potesse essere riferito «to a person soliciting a gift, e.g. a politician».20
18 Olson 2016, 357‑8.
19 Cf. supra.
20 Secondo Sommerstein 2001, 247, il frammento di Eupoli era riferito al politico Diopite; dubbi sull’interpretazione di Degani sono inoltre sollevati da Storey 2003, 243.
In modo analogo, il composto ipponatteo χειρόχωλος, oltre a designare un avaro, potrebbe a mio avviso attagliarsi anche a un individuo avvezzo per natura, o per mestiere, a inarcare la mano per questuare continuamente denaro (o altri beni) a chicchessia: un accattone.
D’altra parte, che nel fr. 180 Dg. il poeta efesino potesse alludere a un personaggio di tal fatta non desterebbe meraviglia. Basti pensare al fr. 44 Dg., ove lo stesso Ipponatte, vestendo i panni dello πτωχός, tende metaforicamente la mano nientemeno che a Pluto, al fine di estorcere al dio della ricchezza trenta sonanti monete d’argento;21 o al fr. 42b Dg, in cui il poeta non si fa scrupolo di elemosinare a Hermes la considerevole cifra di sessanta stateri d’oro, da recapitare peraltro insieme con indumenti e calzature contro il freddo;22 o ancora al fr. 48 Dg., in cui la persona loquens (Ipponatte?) supplica qualcuno (forse ancora un dio) di elargirgli una cospicua quantità d’orzo, quale rimedio per l’indigenza.23
21 Questo il testo del fr. 44 Dg.: ἐμοὶ δὲ Πλοῦτος – ἔστι γὰρ λίην τυφλός – | ἐς τὠικί’ ἐλθὼν οὐδάμ’ εἶπεν «Ἱππῶναξ, | δίδωμί τοι μν͜έας ἀργύρου τριήκοντα | καὶ πόλλ’ ἔτ’ ἄλλα»· δείλαιος γὰρ τὰς φρένας. Dello stesso tenore è pure il fr. 47 Dg., in cui la persona loquens si rivolge a Zeus per elemosinare oro e argento (ὦ Ζεῦ, πάτερ ‹Ζεῦ›, θ͜εῶν Ὀλυμπίων πάλμυ, | τί μοὐκ ἔδωκας χρυσόν, †ἀργύρου πάλμυν;†).
22 Cf. fr. 42b Dg.: δὸς χλαῖναν Ἱππώνακτι καὶ κυπασσίσκον | καὶ σαμβαλίσκα κἀσκερίσκα καὶ χρυσοῦ | στατῆρας ἑξήκοντα τοὐτέρου τοίχου; cf. inoltre fr. 43 Dg.
23 Cf. fr. 48 Dg.: κακοῖσι δώσω τὴν πολύστονον ψυχήν, | ἢν μὴ ἀποπέμψηις ὡς τάχιστά μοι κριθέων | μέδιμνον, ὡς ἂν ἀλφίτων ποιήσωμαι | κυκεῶνα †πίνων† φάρμακον πονηρίης.
In sostanza, nel corpus di Ipponatte, tale è la frequenza con cui il poeta stesso, o altri individui, ‘protendono la mano’ per mendicare esose quantità di denaro, cibo, vesti, beni vari, che non stupirebbe se il fr. 180 Dg. vertesse sullo stesso tema.24
24 Ulteriore prototipo dello πτωχός, in Ipponatte, è il Sanno del fr. 129 Dg., su cui cf. da ultimo Giubilo 2022.
A ciò si può forse aggiungere che, fin da Omero, la figura del mendico si caratterizza proprio per avidità e ingordigia, che si traducono in una questua assillante e senza ritegno. Esempio eloquente è quello dello πτωχός itacese Iro, ‘scroccone’ incallito e invadente alla mensa dei Proci, il quale ἔπρεπε γαστέρι μάργῃ («spiccava per il ventre mai sazio»).25 In seguito, l’avidità degli πτωχοί divenne peraltro proverbiale, come si può evincere da massime, quali Zen. 5.66: πτωχοῦ πήρα οὐ πίμπλαται· τοῦτο παρὰ Καλλιμάχῳ ἐπὶ τῶν ἀπλήστων εἴρηται πτωχῶν («la bisaccia del mendico non è mai piena: Callimaco riferisce l’espressione agli avidi accattoni»);26 o Su(i)d. π 3056 Adler: πτωχοῦ πήρα οὐ πίμπλαται· ἐπὶ τῶν ἀπλήστων εἴρηται («la bisaccia del mendico non è mai piena: si dice a proposito degli avidi»).27 Interessante, a mio avviso, è inoltre un proverbio riportato da Zen. Ath. 2.37.283 Bühler:
25 Trad. di Privitera, in Russo 1985, 51. Si veda anche la caratterizzazione del falso mendico Odisseo, che in Od. 17.217‑28, ad esempio, viene a più riprese tacciato da Melanzio di infingardaggine e insaziabile avidità. Su Odisseo ‘accattone’ alla mensa dei Proci, cf. ad es. Fehr 1990, 185‑7; Catoni 2010, 33‑6.
26 Cf. Call. fr. 724 Pf.: πτωχῶν oὐλὰς ἀεὶ κενεή.
27 Su tali massime, cf. Tosi 2017, nr. 2374 (1632).
κυλλοῦ πήραν· αὕτη παραπλησία ἐστὶ τῇ ‘ἐμβάλλεται εἰς κυλλήν’· ἐπεὶ καὶ οἱ αἰτοῦντες τὴν χεῖρα οὕτω σχηματίζουσι. κυλλοὺς Ἀττικοὶ καὶ ἐπὶ τῶν ποδῶν καὶ ἐπὶ τῶν χειρῶν ὁμοίως λέγουσιν, καὶ χωλοὺς τοὺς χεῖρα πεπηρωμένους, ὡς καὶ Εὔπολις ἐν Προσπαλτίοις (fr. 264 K.-A.)
kyllou peran: espressione simile a ‘versa nella mano ricurva’, poiché anche i questuanti inarcano la mano così. Gli Attici usano indistintamente kyllos sia per i piedi che per le mani, e chiamano cholos chi ha una menomazione della mano, come Eupoli nei Prospaltoi. (fr. 264 K.-A.)
Come si può constatare, la spiegazione fornita in merito alla singolare espressione κυλλοῦ πήραν, sembra trarre origine da una sovrapposizione di concetti e significati. Da una parte, il commentatore si rifà alla locuzione aristofanea ‘ἔμβαλε κυλλῇ’ sopra esaminata (Eq. 1083), sì da identificare κυλλός con ὁ αἰτῶν, ‘il questuante’.28 Dall’altra, egli ha verosimilmente tratto spunto dagli adagi, aventi come oggetto la πτωχοῦ πήρα, ‘la bisaccia sempre vuota dell’accattone’, arrivando a una sorta di identificazione tout court tra πτωχός e κυλλός. Quasi che il mendico fosse κυλλός (o χωλός) di mano per antonomasia.
28 E paragonando forse implicitamente la πήρα (sempre vuota) degli αἰτοῦντες alla mano cava degli πτωχοί. Per un’analisi dettagliata di questa espressione proverbiale, si veda Bühler 1982, 283‑90; cf. inoltre Pellegrino 2015, 182.
Ciò avvalora l’ipotesi secondo cui la voce ipponattea χειρόχωλος, pur sempre da intendersi quale image-kenning, come suggerisce Bettarini,29 potesse designare non solo un avaro, bensì anche un avido πτωχός, dalle mani deformi e rese cave da una questua assidua e petulante.
29 Bettarini 2017, 38‑9.
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