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Volume 27 | Monografia | Dizionario di linguistica educativa

Dizionario di linguistica educativa

open access

Presentazione

Questo dizionario in Open Access raccoglie i principali temi della linguistica educativa, la scienza che si occupa dell’educazione linguistica, cioè dell’insegnamento delle lingue materne, seconde, straniere, classiche ed etniche.

Keywords Mother tongue teaching Foreign language teaching Language teaching Second language teaching Educational linguistics

Permalink http://doi.org/10.30687/978-88-6969-812-5 | e-ISSN 978-88-6969-812-5 | Pubblicato 03 Aprile 2024 |

A

A1, A2

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento ha stabilito 6 livelli di competenza nelle lingue (anche se sarebbe più corretto parlare di performance, che è misurabile, piuttosto che di competenza, che è nella mente): sono validi per tutte le lingue e sono definiti da una serie di indicatori che mettono in evidenza il saper usare la lingua piuttosto che il saper descrivere la lingua. Il livello A, diviso come gli altri in due sottolivelli, A1 e A2, è definito livello base; i livelli B1 e B2 sono quelli dell’autonomia, C1 e C2 sono definiti padronanza. In sintesi, i contenuti dei due livelli di base sono:

A1: “Comprende e usa espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a soddisfare bisogni di tipo concreto. Si sa presentare sé stessi e gli altri e si è in grado di fare domande e rispondere su particolari personali come dove si abita, le persone che si conoscono e le cose che si possiedono. Si interagisce in modo semplice, purché l’altra persona parli lentamente e chiaramente e sia disposta a collaborare.”

A2: “Comunica in attività semplici e di abitudine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti della sua vita, dell’ambiente circostante; sa esprimere bisogni immediati.”

Su queste basi sono organizzate le certificazioni linguistiche.

Nel Companion Volume del Quadro Comune Europeo di Riferimento e poi nella Reference guide on Literacy and Second Language Learning for the Linguistic Integration of Adult Migrants (LASLLIAM) il livello A1 è stato integrato da un livello Pre-A1: l’argomentazione che sostiene questa operazione è debole, esula dalla logica delle certificazioni, che attestano il livello d’arrivo indipendentemente da quello di partenza e dal percorso seguito. Il livello Pre-A1 è in realtà un’indicazione per la creazione di sillabi per studenti analfabeti o provenienti da altri alfabeti che devono anche costruire l’idea di cosa significhi apprendere e conoscere una lingua non nativa, mentre A1 è pensato per persone scolarizzate, che richiedono solo di acquisire una L2 o LS.

Abilità linguistica

In italiano si comprendono in questo termine due nozioni diverse, che in inglese — secondo la dicotomia proposta da Widdowson — sono ability e skill: il primo termine indica le abilità come insieme di processi e strategie, il secondo indica la capacità di performance, di esecuzione di compiti: ad esempio, saper comprendere un dato testo in un data lingua. In certo senso, la dicotomia ability vs skill richiama competenza vs esecuzione di Chomsky. Dal mondo americano giunge il termine competency, sinonimo di abilità, ma orientato verso la skill.

Le abilità sono di due tipi:

  1. primarie: ascolto, monologo, lettura, scrittura; possono essere accoppiate come orali/scritte o come ricettive/produttive; c’è poi l’abilità di dialogare, o di interazione, come la definisce il Quadro Comune Europeo di Riferimento;

  2. di manipolazione di testi: riassumere, prendere appunti, parafrasare, tradurre, scrivere sotto dettatura. Se la lingua del testo di partenza e di quello di arrivo è la stessa, si lavora allo sviluppo della ability, se è diversa si privilegia la skill.

Ability vs skill

È una dicotomia introdotta da Widdowson in ordine alle abilità linguistiche. Ability indica le abilità come insieme di processi e strategie, skill indica la capacità di performance, di esecuzione di compiti: ad esempio, saper comprendere un dato testo in un data lingua. In certo senso, questa dicotomia richiama quella tra competenza ed esecuzione di Chomsky. Dal mondo americano giunge il termine competency, sinonimo di abilità, ma orientato verso la skill.

Accoppiamento, attività di

È una classe di attività didattiche che chiede di accoppiare, tracciando una linea o in altro modo, gli elementi di due liste, ad esempio

  1. lingua/immagine per la fissazione mnemonica del lessico: ad esempio, la foto del banco di un fruttivendolo cui aggiungere le etichette con i nomi di frutta e verdura nella lingua studiata;

  2. lingua/immagine per usare mappe lessicali ai fini della strategia di anticipazione, necessaria per la comprensione: si presentano alcune immagini (per es. 4 automobili, o persone con abbigliamento simile, o visi, ecc.), gli studenti devono prevedere quale lessico potrà comparire parlando di quei gruppi, e poi devono comprendere 4 descrizioni accoppiando il numero della descrizione (prima, seconda ecc.) al numero della foto (1, 2 ecc.);

  3. termine/definizione: serve a sviluppare la funzione metalinguistica: si fornisce una lista di parole e, in ordine diverso, una lista delle loro definizioni; gli allievi devono procedere all’accoppiamento.

L’accoppiamento, spesso detto matching, mira ad equilibrare l’attenzione globale e quella analitica: si deve prima avere un quadro globale dell’insieme degli item disponibili, e poi analizzarne le caratteristiche per procedere all’accoppiamento.

Acquisizionale, linguistica

Branca della linguistica (o, secondo alcune impostazioni, della psicolinguistica) che studia le sequenze di acquisizione proprie di ogni lingua (in parte coincidente con quella che nella Second Language Acquisition Theory di Krashen viene definito ordine naturale): le lingue infatti non vengono acquisite secondo l’ordine in cui vengono presentate le nozioni, le strutture, il lessico, ma secondo sequenze standard che portano ad un progressivo ampliamento dell’interlingua, cioè della competenza parziale in via di continuo e consolidamento.

È un ambito di studi in parte ancora fluido: la maggioranza degli studiosi la riferisce all’acquisizione di una lingua non nativa, altri vi includono anche il processo di acquisizione della lingua materna; alcuni studiosi focalizzano solo l’acquisizione spontanea, altri studiano anche l’acquisizione in ambiente didattico, quindi con un sillabo ed una programmazione che non sempre rispettano le sequenza già note.

Acquisizione vs apprendimento (Krashen)

Rappresentano il cardine della Second Language Acquisition Theory proposta da S. D. Krashen nei primi anni Settanta. L’acquisizione è profonda, stabile, genera comprensione e produzione linguistica con processi automatici, mentre l’apprendimento è razionale e volontario, ha una durata relativamente breve, e funge da monitor per l’esecuzione linguistica. Si è spesso discussa la possibilità che l’apprendimento razionale possa trasformarsi, alla fine, in acquisizione; la risposta di Krashen è di solito negativa, mentre altri studiosi credono che, in condizioni adatte, anche l’apprendimento possa portare all’acquisizione (ad es. con attività che stimolano la meta competenza, come il modal focusing e le varie attività di riflessione sulla lingua).

Addestramento

Termine talvolta usato in Italia come traduzione dell’inglese training. In italiano usiamo educazione vs istruzione per indicare i due livelli della formazione scolastica, cui si aggiunge formazione quando si parla in generale del percorso formativo di una persona e, in particolare, quando si parla di formazione dei docenti (teacher training in inglese).

L’approccio formal(istico) usa gli esercizi strutturali o pattern drill che sono stati concepiti dalla psicodidattica neocomprtamentistica come strumenti di addestramento, non diverso da quello del celebre cane di Pavlov.

Affettivo, filtro

L’idea che l’affettività sia una componente fondamentale dei processi di acquisizione e apprendimento è propria della glottodidattica umanistica, che attribuisce un ruolo primario alle emozioni; la formula ‘filtro affettivo’ è stata usata da Krashen nella Second Language Acquisition Theory: costituisce una delle 5 ipotesi costitutive della teoria, secondo cui non c’è acquisizione profonda se c’è paura, stress, ansia da prestazione, scontentezza, noia.

Analfabetismo

Indica l’assenza o la padronanza molto ridotta della competenza grafemica. Può essere:

  • strumentale: totale mancanza di conoscenza della lettura e scrittura;

  • di ritorno: la persona ha imparato a leggere e scrivere ma ne ha perso la capacità per non averla praticata per anni;

  • funzionale: la persona sa leggere e scrivere con estrema difficoltà.

Analisi degli errori

È un aspetto rilevante della linguistica contrastiva e delle teorie sull’interlingua: essa mira a individuare gli errori e agli sbagli che non sono dovuti a carenze soggettive dello studente, ma che possono essere ascritti a ragioni intralinguistiche (cioè interne alla lingua oggetto di studio: si pensi, ad esempio, agli errori nell’uso delle preposizioni dopo “andare", che può essere seguito da “in” e “a” e che possono essere articolate o non) o interlinguistiche, dovute cioè all’interferenza sulla lingua studiata da parte della lingua materna o di altre lingue che si conoscono, oppure all’attrito linguistico, cioè all’interferenza della lingua seconda, parlata fluentemente in un paese dove la si usa correntemente, sulla lingua materna, che viene usata più raramente.

Analisi grammaticale, logica, del periodo

Attività tipica della riflessione sulla lingua, che constano di due attività cognitive: anzitutto la classificazione, cioè l’inserimento in categorie, e poi nell’individuare alcune caratteristiche intrinseche di quella parola.

L’analisi grammaticale classifica una parola in categorie come articolo, nome, ecc. (ma si può avere anche un’analisi grammaticale di tipo valenziale), e poi individua caratteristiche costitutive (nome proprio o comune, verbo transitivo o intransitivo, ecc.) e caratteristiche morfologiche di quella specifica occorrenza (numero, genere; modo. tempo e persona verbale, ecc.).

L’analisi logica e del periodo, o analisi della frase semplice e complessa riguardano categorie sintattiche come soggetto, predicato, ecc., o frase principale, secondaria (a sua volta: finale, temporale, ecc.).

Considerate talvolta come attività inutilmente difficili e demotivanti, sono in realtà fondamentali per la crescita cognitiva se vengono considerate come ‘educazione all’intelligenza’, cioè alle attività di categorizzazione, classificazione, individuazione dei tratti salienti.

Ancrage vs relais

Secondo il modello di Roland Barthes, il relais e l’ancrage sono le due modalità di raccordo tra l’elemento verbale e quello iconico in un messaggio, e molti degli input usati nell’educazione linguistica sono appunto iconico-verbali.

Quando si attiva il relais, lingua e immagine rimandano inscindibilmente l’una all’altra: la lingua è essenziale perché l’immagine abbia significato, e questa a sua volta è essenziale per comprendere il testo linguistico. È il meccanismo che sta alla base dei messaggi filmati, dei diagrammi, ecc. I materiali audiovisivi usati in glottodidattica sono inutili se il relais richiesto per comprenderli non è adeguato al livello di conoscenza dell’allievo.

Ci sono immagini che invece vengono ‘etichettate’, per usare un termine informatico, ancorandole a un significato altrimenti ignoto: le foto dei manuali sono ‘ancorate’ dalle didascalie, che esplicitano il significato rilevante tra i tanti possibili.

Andragogia

È la branca delle scienze dell’educazione che studia l’insegnamento ad allievi adulti, caratterizzati dalla tendenza a seguire i modelli di apprendimento appresi nella giovinezza; dotati di meccanismi di analisi e di formalizzazione più consolidati di quelli di un adolescente; con uno status sociale stabile che non può essere messo a rischio dalle attività didattiche; interessati a risultati immediati e tangibili, soprattutto se si tratta di professionisti.

Anticipazione, strategia di

È essenziale per il processo di comprensione e consiste nel predire ciò che può comparire in un testo operando sulla base del contesto situazionale, della parte di testo che si è già compresa (cotesto), del paratesto, cioè delle immagini, dei titoli, delle glosse, ecc. che stanno ‘intorno al testo’, come dice l’etimologia del termine, delle conoscenze del mondo (enciclopedia, frame, script), dei meccanismi di inferenza ecc. In tal modo si facilita la comprensione trasformandola, in realtà, solo nella conferma di una tra le previsioni effettuate.

Si può contribuire allo sviluppo di questa strategia con le attività di elicitazione, accoppiamento, cloze, dettato, incastro, ascolto selettivo.

Applicata, linguistica

La linguistica applicata si interessa dell’applicazione dei principi e dei risultati degli studi di linguistica teorica a vari settori, quali la traduzione, i disturbi del linguaggio, l’uso di computer nell’analisi linguistica e nella realizzazione di corpora linguistici, ecc. Il suo scopo dunque non è “conoscere” la natura e il funzionamento della lingua, ma “verificare” come tali principi si applicano in certi settori, spesso giungendo in tal modo anche a individuare problemi sui quali il linguista teorico può poi focalizzare la sua ricerca.

L’espressione ‘linguistica applicata’ è stata usata per anni nell’accezione di linguistica educativa, e talvolta è ancora usata nei titoli di riviste nate nella seconda parte del Novecento. In realtà questa etichetta offre una visione riduttiva dell’edulinguistica, focalizzando solo la componente linguistica ed escludendo le altre componenti.

Apprendimento vs acquisizione (Krashen)

Rappresentano il cardine della Second Language Acquisition Theory proposta da S. D. Krashen nei primi anni Settanta. L’acquisizione è profonda, stabile, genera comprensione e produzione linguistica con processi automatici, mentre l’apprendimento è razionale e volontario, ha una durata relativamente breve, e funge da monitor per l’esecuzione linguistica. Si è spesso discussa la possibilità che l’apprendimento razionale possa trasformarsi, alla fine, in acquisizione; la risposta di Krashen è di solito negativa, mentre altri studiosi credono che, in condizioni adatte, anche l’apprendimento possa portare all’acquisizione (ad es. con attività che stimolano la meta competenza, come il modal focusing e le varie attività di riflessione sulla lingua).

Approccio vs metodo

L’approccio costituisce la filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica: riguarda la natura della lingua e del suo uso, l’idea di acquisizione e apprendimento linguistico, il ruolo dell’elemento culturale nella competenza comunicativa in una lingua, la natura e il ruolo dello studente e del docente.

L’approccio valuta e seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento, e li riorganizza secondo i parametri propri della glottodidattica, individuando le mete e gli obiettivi dell’insegnamento linguistico.

Un approccio genera uno o più metodi per tradurre i principi generali vengono in struttura didattica.

Il metodo guida la definizione dei sillabi, le procedure di organizzazione del materiale didattico (unità d’acquisizione, unità didattiche, moduli), le procedure di valutazione, il ruolo delle tecnologie didattiche ed altri elementi dell’organizzazione dell’insegnamento.

Nella storia della linguistica educativa alcuni approcci sono stati definiti “metodi”, come il Metodo diretto, il Metodo naturale, il Reading method, la Suggetopedia.

Appropriatezza

Si usa spesso l’aggettivo “appropriata” (o “adeguata”) per definire la comunicazione felice, accettatabile ed accettata, sul piano sociolinguistico e culturale.

Nell’ambito dell’approccio comunicativo l’appropriatezza rappresenta un obiettivo primario, perché l’errore socio-culturale può compromettere l’efficacia della comunicazione, per quanto corretta essa sia dal punto di vista linguistico. Efficacia pragmatica, appropriatezza socioculturale e correttezza linguistica sono i tre parametri più usati per valutare una performance comunicativa.

Appunti, stesura di

È una delle abilità cognitive e linguistiche più importanti per lo studio anche se nelle scuole è di solito poco curata o al massimo è considerata una forma estrema di riassunto.

Si hanno due formati, caratterizzati dalla presenza o assenza di una guida. Nel caso della stesura guidata, tipica della metodologia CLIL, lo studente trova già uno schema, una scaletta; ma l’uso più diffuso di questa abilità è senza guida: il che significa che ciascuno è obbligato a diventare autodidatta...

Una didattica della stesura di appunti si basa su esperienze: si prendono appunti, una settimana dopo ciascuno ci torna sopra per ricostruire il testo originale, si confronta con i compagni ragionando sui punti critici e mettendo in comune il bagaglio di sigle, frecce, altri segni che ciascuno usa per accelerare la stesura.

Ascolto, abilità di → Comprensione orale e scritta

Ascolto plurilingue

È una tecnica che richiede una televisione via satellite o un computer in cui un evento sportivo, politico, ecc. viene trasmesso da più canali internazionali: le riprese sono le stesse, ma cambia il commento verbale che le accompagna. Passando ogni 3-4 minuti da un canale all’altro, quindi cambiando la lingua che commenta l’evento, lo studente è costretto a legare fortemente la sua comprensione al contesto e alla sua conoscenza del mondo: essa è utile dunque al rafforzamento di processi di base della comprensione e in particolare all’abilità di ascolto.

Ascolto selettivo

Attività di ascolto in cui si devono riconoscere solo alcune parole o espressioni.

Il testo viene presentato senza alcuna attività propedeutica e il compito è solo quello di cogliere il maggior numero possibile di dati. Alla fine dell’ascolto, i dati vengono controllati a gruppi o coppie, si procede ad un’attività di anticipazione, di previsione di quello che può essere detto prima o dopo i frammenti e ad un’ipotesi generale del possibile significato delle farsi, dei periodi, del testo. Condivide le ipotesi, si pro cede ad un secondo ascolto, e così via.

L’oggetto di questa tecnica è dunque lo sviluppo della strategia di anticipazione.

ASTP

Acronimo di un progetto realizzato dall’esercito americano durante la seconda guerra mondiale per preparare il personale che doveva essere impiegato nelle nazioni occupate dagli Alleati. Il programma si basava su un metodo intensivo, che in parte riprendeva concetti del metodo diretto, in parte poneva le basi per l’approccio strutturalistico, dal quale lo diversificava tuttavia l’interesse per gli area studies, cioè per la culturizzazione, condotto per la prima volta nella storia edulinguistica anche attraverso strumenti come il cinema, la radio, le canzoni. L’ASTP prevedeva la presenza di due docenti, uno di madrelingua ed uno della stessa lingua degli allievi, che si occupava anche dell’insegnamento grammaticale.

Molta della nuova glottodidattica degli anni Sessanta-Settanta affonda le radici in questo progetto.

Atteggiamento, attitude

È una delle variabile affettive considerate dalla glottodidattica umanistica: più l’atteggiamento verso una lingua, i suoi suoni, la sua utilità, il popolo che la parla è positivo, più l’acquisizione è efficiente, e questo implica che nell’insegnamento linguistico, soprattutto all’inizio nelle lingue non native e nelle attività di riflessione in quelle già possedute, molta attenzione deve essere dedicata ad individuare l’atteggiamento e ad interventi su di esso, considerato elemento chiave della motivazione generale.

In inglese si parla di attitude, spesso interpretata come attitudine, che invece è aptitude.

Attitudine, aptitude

È un concetto sfuggente e assai discusso in ambito psicopedagogico. La maggioranza degli studiosi escludono che esista un’attitudine innata verso l’acquisizione di una lingua non nativa, attribuendo i diversi risultati ottenuti dagli studenti a fattori ambientali (sociali, economici, familiari, ecc.). Altri, pur rifiutando la pretesa psicometrica di predire i risultati sulla base dell’analisi attitudinale, indicano alcune variabili dello che possono aiutare a spiegare perché studenti diversi impiegano tempi diversi per giungere allo stesso obiettivo, ammesso che ci riescano. Tra questi fattori ci sarebbero:

  1. la storia individuale: un bambino bilingue, ad esempio, risulta favorito nell’apprendimento di qualunque terza lingua; anche chi ha iniziato precocemente lo studio di una lingua pare favorito;

  2. la combinazione dei vari tipi di intelligenza (teoria dell’intelligenza multipla), dei vari stili cognitivi, delle strategie e degli stili d’apprendimento, dei diversi tratti della personalità (intro-estroversione, ottimismo-pessimismo, ecc.), del grado di autonomia, del tipo di motivazione.

In inglese l’attitudine è aptitude e non attitude, che indica l’atteggiamento verso un lingua.

Atto comunicativo

Atto è un termine chiave sia della linguistica focalizzata sulla dimensione pragmatica, di how to do things with words, per richiamare uno dei testi costitutivi della pragmalinguistica, sia dell’etnografia della comunicazione (‘atto di discorso’). ‘Atto comunicativo’, espressione calcata su ‘atto linguistico’ (speech act), è un apparente sinonimo di communicative function nella terminologia del Consiglio d’Europa (dal Progetto Lingue Moderne/Vive al Quadro).

Un atto comunicativo è l’elemento base dei sillabi e dei manuali che realizzano l’approccio comunicativo: è un costituente minimo del discorso, uno scopo minimo: ad esempio per realizzare la funzione personale bisogna saper realizzare e comprendere (sia linguisticamente sia nei linguaggi non verbali e nelle regole sociolinguistiche e culturali: vedi competenza comunicativa) atti che hanno come scopo presentarsi, dire il proprio nome, l’età, la nazionalità, l’indirizzo, esprimere il proprio stato fisico e psicologico, e così via.

Atto di discorso

È l’unità minima dell’etnografia del discorso, branca dell’etnografia della comunicazione. Secondo un acronimo di Hymes un atto di discorso include otto variabili, le cui iniziali inglesi formano la parola SPEAKING:

  • Setting e Scene, cioè il contesto fisico e quello socio-culturale;

  • Partecipanti, sia diretti che indiretti (ad esempio, si ha un partecipante indiretto quando l’emittente autentico si serve di un portavoce);

  • Esiti attesi come conseguenza dell’atto (si veda l’aspetto “performativo” dell’atto linguistico);

  • Atto illocutorio (atto linguistico), cioè contenuto e forma della comunicazione;

  • Key, cioè la chiave psicologica e sociale che caratterizza l’atto: ironia, irritazione ecc.;

  • Instruments, cioè le caratteristiche proprie del canale scelto: viva voce, telefono, lettera, ecc.;

  • Norme di interazione sociale, cioè complessi di regole che vanno seguite per poter scambiare significati;

  • Genere comunicativo il complesso di regole culturali e linguistiche che caratterizza ogni genere: dialogo socializzante, dialogo di dibattito, dialogo telefonico, monologo in una conferenza o una barzelletta, ecc.

Anche se in glottodidattica raramente si fa riferimento esplicito alla nozione di “atto di discorso”, tutti gli elementi che la caratterizzano vanno considerati per poter realizzare l’approccio comunicativo.

Atto linguistico

È l’elemento minimo di analisi pragmatica della lingua. È caratterizzato dalla intenzionalità (altrimenti non sarebbe un “atto”). Austin individua tre diverse facce dell’atto linguistico: l’aspetto locutorio (l’atto di produrre lingua), l’aspetto illocutorio (l’intenzione pragmatica che si persegue) e l’aspetto perlocutorio (l’effetto che si produce in realtà).

Il concetto di atto linguistico è alla base di quello di atto comunicativo, usato nella glottodidattica contemporanea per definire i sillabi dell’approccio comunicativo.

Attrito

È il risultato del transfer esercitato dalla lingua seconda (quella parlata nell’ambiente) sulla madrelingua di un immigrato, ad esempio l’interferenza dello spagnolo in un italiano che vive da anni in Messico. Raramente il madrelingua si rende conto di star sovrapponendo tratti della L2 sulla sua L1.

Audio-linguale, Audio-orale, approccio

Sono definizioni usate negli anni Cinquanta-Ottanta per indicare l’approccio strutturale/istico.

Autodettato

È una forma di ricopiatura in cui non si copia meccanicamente, ma si legge un sintagma o una frase per poi riscriverlo.

Questa procedura concentra l’attenzione sull’ortografia, rispettando i ritmi individuali (caratteristica non presente nel dettato) e consentendo l’autocorrezione e l’autovalutazione. In realtà la ricopiatura comporta anche la comprensione completa del testo e serve ad evidenziare allo studente eventuali lacune nella comprensione stessa.

Automatici vs controllati, processi

L’opposizione tra processi automatici e controllati riguarda i processi e le strategie mentali che mettiamo in atto per la comprensione o la produzione linguistica.

I processi automatici non richiedono attenzione, non sono limitati dalle capacità della memoria a breve termine, sono veloci per cui il livello di consapevolezza è limitato, sono lunghi da acquisire e non possono essere appresi (riprendendo le nozioni di acquisizione e apprendimento di Krashen).

I processi controllati, che richiedono attenzione e attivano la memoria a breve termine, sono lenti, possono essere appresi in breve tempo ma scompaiono se non vengono esercitati a sufficienza da automatizzarsi.

Autonomia vs dipendenza da una guida

È una nozione della psicologia dell’apprendimento e della psicologia relazionale, ma ha un ruolo anche nell’educazione linguistica: da un lato, è un fattore che, insieme a molti altri, contribuisce a quella che genericamente viene detta attitudine alle lingue; dall’altro lato, più operativo, richiede che al diverso grado di autonomia nell’apprendimento debba corrispondere una differenziazione delle attività didattiche. Ad esempio, la dicotomia autonomia/dipendenza si riflette sullo stile di apprendimento, quindi sulla scelta tra percorsi induttivi e deduttivi, tra grammatica implicita ed esplicita, tra personalità che apprendono individualmente o cooperativamente, con atteggiamenti competitivi o collaborativi. Di conseguenza, l’autore di manuali e l’insegnante devono garantire che nel pacchetto di attività che costituiscono le varie fasi di un’unità d’apprendimento ce ne siano di un tipo e del suo opposto, per non penalizzare un gruppo di studenti e privilegiarne un altro sulla base del loro stile di apprendimento.

Autopromozione, autorealizzazione

È la meta finale di ogni processo educativo, quindi anche dell’educazione linguistica. Una volta raggiunto un certo livello di culturizzazione e di socializzazione, la persona può mirare alla propria autopromozione, in una visione dinamica che privilegia il percorso, o autorealizzazione, in una visione più statica: cioè a realizzare il progetto di sé che governa la sua vita.

L’educazione linguistica deve dotare l’allievo di una competenza comunicativa nella lingua materna (e nelle eventuali seconde lingue parlate nella sua comunità) tale da non impedire la sua promozione personale e sociale, e di una competenza nella lingua straniera sufficiente per consentirgli di intrecciare rapporti e perseguire i suoi progetti all’estero.

Avoidance strategy

Strategia comune di chi è abituato a parlare o scrivere in una lingua non nativa: di fronte ad un ostacolo, alla difficoltà di esprimere un concetto o di trovare una parola, lo si evita ricorrendo a parafrasi o perifrasi.

La capacità di aggirare i propri punti di incertezza o di non conoscenza della lingua straniera concorre a definire il concetto di attitudine all’acquisizione linguistica.

B

B1, B2

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento ha stabilito 6 livelli di competenza nelle lingue (anche se sarebbe più corretto parlare di performance, che è misurabile, piuttosto che di competenza, che è nella mente): sono validi per tutte le lingue e sono definiti da una serie di indicatori che mettono in evidenza il saper usare la lingua piuttosto che saper descrivere la lingua. Il livello B è definito livello dell’autonomia, e in particolare il livello B1 è il livello soglia; i livelli A1 e A2 sono i livelli base, C1 e C2 sono definiti padronanza. In sintesi, queste sono le competenze previste (descritte in dettaglio nel Quadro):

B1: “Comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel Paese di cui parla la lingua. È in grado di produrre un testo semplice relativo ad argomenti che siano familiari o di interesse personale. È in grado di esprimere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze e ambizioni, e anche di spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti.”

B2: “Comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti sia astratti, come pure le discussioni tecniche sul proprio campo di specializzazione. È in grado di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile un’interazione naturale con i parlanti nativi senza sforzo per l’interlocutore. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato su un’ampia gamma di argomenti e riesce a spiegare un punto di vista su un argomento fornendo i pro e i contro delle varie opzioni.”

Su queste basi sono organizzate le certificazioni linguistiche.

BES, Bisogni Educativi Speciali

È una nozione della pedagogia speciale, e spesso vi si fa riferimento nella ricerca edulinguistica. Si tratta, stando alla tradizione italiana dagli anni Novanta in poi, di bisogni legati a problemi psichici o fisici, socio-economici, alla plus- o minus dotazione cognitiva, al fatto di avere una lingua/cultura madre diversa da quella italiana (studenti NAI, neo arrivati in Italia). Più propriamente, quelli che interessano l’edulinguista sono i BiLS, Bisogni Linguistici Specifici.

BICS e CALP

Sono due acronimi coniati dal metodologo canadese Cummins e descrivono due tipi di li ngua che gli studenti stranieri devono sviluppare:

Bilinguismo, bilinguità, educazione bilingue

Questo termine definisce la capacità di una persona di comunicare in più di una lingua. Raramente la padronanza è uguale nelle due lingue (bilinguismo “coordinato”); più frequentemente c’è una lingua madre accompagnata ad altre lingue la cui padronanza è inferiore (bilinguismo “zoppo”). Alcuni psicolinguisti distinguono tra “bilinguismo” inteso come condizione sociale e “bilinguità”, che definisce la condizione psicologica della persona bilingue.

Soprattutto in ambito francese si distingue tra “multilinguismo”, cioè un bilinguismo acquisito in tenera età, e “poliglossia”, in cui le lingue successive a quella materna vengono acquisite nell’adolescenza o nell’età adulta.

In sociolinguistica si distingue tra “bilinguismo”, che indica la situazione in cui tutti i membri della comunità possono usare l’una o l’altra lingua indifferentemente, e “diglossia”, cioè situazioni in cui alle due lingue si attribuiscono diversi livelli di prestigio, per cui si ha una lingua “alta” e una lingua “bassa”.

Nel gergo burocratico scolastico si usa talvolta “bilinguismo” per indicare l’inclusione di due lingue straniere nell’ambito dell’educazione linguistica.

L’educazione bilingue è quella in cui le lingue di istruzione sono due.

BILS, Bisogni Linguistici Speciali

Nozione abbastanza recente, proposta da Daloiso negli anni Dieci, indentifica quella parte dei BES, Bisogni Educativi Speciali e dei disturbi specifici dell’apprendimento che riguardano le  difficoltà  nella  comunicazione, nell’uso e/o nell’apprendimento del linguaggio, sia questo la lingua madre o una lingua non nativa. Tra i BiLS più diffusi troviamo la dislessia e la balbuzie, che generano ansia da prestazione, quindi alzano un filtro affettivo che rallenta o impedisce l’acquisizione, e che ha ricadute negative sulla motivazione.

Bimodalità e direzionalità

La glottodidattica umanistica, nel suo sforzo di procedere ‘secondo natura’, ritiene essenziale seguire le indicazioni della psicologia della Gestalt e attivare entrambe le modalità della percezione umana, quella globale e quella analitica, all’interno di un’unità d’acquisizione. Il concetto di bimodalità è legato a quello di direzionalità, secondo il quale il percorso naturale va dalla percezione globale a quella analitica.

Brainstorming

Le abilità di monologo e di scrittura constano essenzialmente di due macrofasi: l’individuazione delle idee da esporre e la loro trasposizione in un testo. Il brainstorming è una delle tecniche per individuare idee, sebbene in maniera non organizzata. A differenza delle idee prodotte dalla riflessione strutturata (ad esempio sulla base di voci come “chi, cosa, quando, come, dove, perché”) il brainstorming attiva tutta l’esperienza della persona e spesso dà luogo ad associazioni imprevedibili, innovative, da cui poi trarre gli elementi da utilizzare nella scaletta che porta alla realizzazione del testo. In un brainstorming ogni partecipante deve esprimere con assoluta libertà, senza paura di dire sciocchezze, le associazioni di pensiero provocate dal tema o dagli interventi degli altri partecipanti; le interruzioni sono benvenute.

L’attività di brainstorming può anche essere usata come forma di anticipazione propedeutica ad un’attività di comprensione.

C

C1, C2

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento ha stabilito 6 livelli di competenza nelle lingue (anche se sarebbe più corretto parlare di performance, che è misurabile, piuttosto che di competenza, che è nella mente): sono validi per tutte le lingue e sono definiti da una serie di indicatori che mettono in evidenza il saper usare la lingua piuttosto che saper descrivere la lingua. Il livello C, diviso come gli altri in due sottolivelli, C1 e C2, è definito livello della padronanza; i livelli A1 e A2 sono i livelli base, B1 e B2 sono definiti livelli dell’autonomia. In sintesi, le competenze di questi livelli sono:

C1: “Comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il significato implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza. Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, professionali e accademici. Riesce a produrre testi chiari, ben costruiti, dettagliati su argomenti complessi, mostrando un controllo sicuro della struttura testuale, dei connettori e degli elementi di coesione.”

C2: “Comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente e legge. Sa riassumere informazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che scritte, ristrutturando gli argomenti in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso, individuando le sfumature di significato più sottili in situazioni complesse.”

Su queste basi sono organizzate le certificazioni linguistiche.

Caccia all’errore

Dato un testo con errori, si chiede all’allievo di individuarli.

CAD → Classi ad Abilità Differenziate

CAI, CALI, CALL, CBLT, CELL

Acronimi che stanno per Computer-Assisted Instruction, Computer-Assisted Language Instruction / Learning, Computer-Based Language Training / Teaching, Computer-Enhanced Language Teaching. Sono alcuni degli acronimi nella classificazione delle tecnologie glottodidattiche proposta da Stanford.

CALP e BICS

Sono due acronimi coniati dal metodologo canadese Cummins e descrivono due tipi di li ngua che gli studenti stranieri devono sviluppare:

Canzone, uso della

La canzone è usata in L1, L2 e LS per lo sviluppo di varie abilità, per la fissazione lessicale e morfosintattica, per introdurre la lingua della letteratura e per sviluppare riflessioni di cultura e civiltà.

L’abilità di ascolto è più difficile che in testi quotidiani sia per alcune caratteristiche (para)letterarie, sia per la presenza dell’accompagnamento musicale e ritmico e per le profonde modificazioni fonologiche legate al canto. Si muove quindi, dopo una comprensione globale, ad un ascolto strofa per stroma, facendo interagire il testo cantato e la sua trascrizione.

La produzione si ha con l’esecuzione corale della canzone, attività stimolante in cui l’allievo è però costretto a seguire un ritmo imposto, quindi a parlare con una rapidità che di solito evita.

Il dialogo nasce come attività di coppie, gruppi o classe, in cui ci si divide sul giudizio sulla qualità della canzone: è un dialogo autentico in quanto ciascuno esprime le proprie convinzioni.

Se si considera, inoltre, che nei ritornelli alcune strutture o espressioni vengono più volte ripetute, le canzoni possono venire utilizzate per la fissazione.

La canzone rappresenta una delle più diffuse forme di letteratura con cui i giovani sono a contatto e quindi è utile per introdurre lo studio della specificità del testo poetico sia in italiano sia nelle lingue straniere.

Casi, grammatica dei

Malgrado il nome possa indurre in errore, la “grammatica dei casi” di Fillmore non ha nulla a che fare con l’insegnamento di lingue flessionali come latino, tedesco o russo, dove delle relazioni sintattiche sono realizzate attraverso “casi”.

Fillmore imposta questa sua grammatica, che coniuga sintassi e semantica, alla fine degli anni Sessanta usando il concetto di “caso” come componente della struttura profonda della lingua: ad esempio, indipendentemente da come risulta nel testo (ad esempio: come soggetto o come complemento d’agente) chi compie un’azione è un caso “agentivo” e costituisce un dato semantico primario di ogni comunicazione.

Catalizzatori vs sussidi, strumenti

Le tecnologie didattiche per l’insegnamento linguistico sono di due tipi: sono dei catalizzatori (termine chimico che indica elementi senza i quali non avviene una reazione) gli strumenti indispensabili, ad esempio uno strumento con funzione registrazione/riproduzione senza i quali è impossibile ascoltare i dialoghi; sono sussidi gli strumenti che aiutano, ad esempio una lavagna interattiva multimediale, ma della quale si può comunque fare a meno.

Certificazione (glotto)didattica

Attestazione rilasciata da un’istituzione che certifica la competenza di una persona nell’insegnamento di una lingua a stranieri; di solito sono istituzioni che operano nel paese in cui parla quella lingua, ad esempio le certificazioni di italiano a stranieri sono rilasciate da università italiane, quelle di inglese da università americane e inglesi, e così via.

Il valore professionale della certificazione dipende sia dal prestigio dell’istituzione, sia dalle modalità di verifica e valutazione delle competenze.

Le certificazioni didattiche sono titoli culturali e professionali, ma non sono ‘abilitazioni all’insegnamento’, cioè non sono titoli rilasciati dall’amministrazione statale.

Certificazione linguistica

Attestazione ufficiale, di solito rilasciata da un organismo statale o da un’istituzione scientifica, che certifica la conoscenza di una lingua su una scala come quella del Quadro Comune Europeo di Riferimento (A1-2, B1-2, C1-2). Di solito si tratta di organismi o istituzioni basate nel paese in cui parla quella lingua, ad esempio le certificazioni di italiano a stranieri sono rilasciate da università italiane, quelle di cinese dall’Istituto Confucio, e così via.

Il valore professionale della certificazione dipende sia dal prestigio dell’istituzione, sia dalle modalità di verifica e valutazione delle competenze.

Le certificazioni linguistiche sono titoli culturali e professionali, ma a differenza di quelle didattiche possono avere anche valore ufficiale, ad esempio possono essere richieste per accedere a università, per esercitare una professione all’estero, ecc.

Cinesica, competenza

È una delle componenti extralinguistiche che concorrono alla competenza comunicativa: essa riguarda la capacità di usare il linguaggio dei gesti (eseguiti dalle mani e dalle braccia) e il linguaggio del viso (smorfie, ammiccamenti, ecc.). Il linguaggio cinesico viene spesso percepito come universale, mentre varia da cultura a cultura, e spesso all’interno di culture che usano la stessa lingua; gesti ben accetti in una cultura possono essere offensivi in altre, generando incidenti pragmatici spesso tali da far abortire la comunicazione.

CLIL, Content and Language Integrated Learning

È una metodologia, talvolta chiamata ‘Lingua veicolare’, che prevede l’insegnamento di contenuti non linguistici in una lingua straniera, oggetto di insegnamento nel curricolo scolastico. In Italia è previsto il CLIL in inglese nelle quinte classi delle scuole superiori, ma la metodologia CLIL può essere utilizzata fin dalla scuola primaria. Il principio base è la cosiddetta rule of forgetting, secondo la quale si è più efficienti nell’acquisire spontaneamente una lingua quando si dimentica di starla usando, focalizzando l’attenzione su altro – in questo caso, sul contenuto disciplinare.

La metodologia CLIL mette in primo piano l’abilità di comprensione, e quindi tutte le tecniche che possono essere utilizzate per facilitarla; la produzione è ridotta a eventuali domande all’insegnante, a risposte a domande dell’insegnante e a brevi sintesi di quanto compreso, di esperimenti, di ricerche ecc.

Clinici, approcci e metodi

Categoria ‘ombrello’ che rimanda a vari approcci del secondo Novecento, nati da applicazioni di teorie psicologiche e in particolare del Neuro-Linguistic Programming. Dal punto di vista dei metodi si rimanda a tecniche quasi psicoterapeutiche, gestite da un insegnante coach o councelor. Tra i principali approcci di questo tipo ricordiamo il Community Counseling e la Suggestopedia.

Cloze

La procedura cloze consiste nell’inserire le parole mancanti in un testo. Usualmente si lasciano integre le prime righe del testo, per consentire una prima contestualizzazione, poi si elimina ogni settima parola. L’allievo dovrà inserire una parola appropriata, anche se non si tratta di quella effettivamente cancellata. Esistono alcune varianti di questa tecnica. La prima è il cosiddetto cloze “a crescere”, in cui si inizia eliminando ogni settima parola, per poi cancellare ogni sesta o anche ogni quinta parola. Troviamo poi il cloze facilitato, che elenca in calce le parole da inserire o che presenta nei vuoti un disegno corrispondente alla parola eliminata. Il cloze nasconde le parole su base statistica, quindi può mancare un semplice articolo o il verbo principale, e in questo si differenzia dal riempimento di spazi vuoti, dove si tolgono classi di parole, ad esempio i verbi, i relativi, ecc.

Il cloze è un’ottima tecnica per sviluppare la comprensione, in particolare la capacità di considerare un testo nella sua globalità: per individuare la parola mancante (o un suo sinonimo) bisogna infatti cogliere ogni ridondanza nel contesto e nel cotesto e non fissarsi sulla singola frase.

Coerenza e coesione testuale

Sono due dei principi basi della ‘testura’, cioè della serie di reticoli che reggono un testo.

Coerenza definisce il reticolo logico, semantico del testo, cioè il cosiddetto ‘filo del discorso’; coesione indica il reticolo di rimandi formali interni ad un testo: pronomi, le varie forme di anafore e catafore, consecutio temporum, uso di connettivi (di causa, effetto, tempo, ecc.), ricorso a sinonimi, iponimi ed iperonimi, ecc. Il lavoro sulla coerenza e la coesione, insieme a quello sui tipi testuali, è alla base dello sviluppo della competenza testuale.

Community Counseling

Approccio in parte di matrice umanistica messo a punto dall’americano Curran negli anni Settanta e di solito incluso negli approcci ‘clinici’.

ll principio base si ispira alla psicologia di Rogers, per cui l’insegnante è una guida e non solo una fonte di conoscenza, ma la sua azione si realizza con le procedure di counseling, coaching e selfcoaching, propri del neuro-linguistic programmino, teoria popolare ma privo della consistenza scientifica della psicologia umanistica.

Community language program vs Heritage program

L’espressione Heritage program si riferisce a corsi speciali di lingua etnica, tenuti si solito fuori dall’orario scolastico curricolare. Oggi prevale l’espressione community language program che cerca di riportare l’insegnamento nell’ambito dell’attività scolastica.

Comparativa / contrastiva, linguistica

È la branca della linguistica che compara due o più lingue per individuarne tratti simmetrici o diversi. L’approccio strutturale fece della linguistica contrastiva (tale era il termine negli anni Cinquanta) uno dei cardini del suo impianto: si doveva lavorare soprattutto sulle asimmetrie, sulle caratteristiche della lingua da apprendere che non compaiono nella lingua madre dello studente (ad esempio il neutro e i casi, ignoti a studenti italiani di latino o di tedesco), principio che nella prassi dell’insegnamento viene seguita ancor oggi ma in maniera spesso intuitiva e su basi esperienziali anziché scientifiche.

Nella correzione degli errori la linguistica comparativa spiega molti errori come interferenze, proponendo quindi terapie diverse da quella per errori di altra natura.

Competenza comunicativa

Nozione chiave dell’approccio comunicativo all’educazione linguistica, il cui scopo viene visto nel perfezionamento (lingua materna ed etnica) e nell’acquisizione (lingue seconde, straniere e classiche) della capacità di comunicare nelle lingue, non (solo) nelle conoscenze sulle lingue (vi veda la voce competenza vs conoscenza). È con Hymes, nei primi anni Settanta del Novecento, che la competenza comunicativa viene teorizzata e negli anni successivi diviene il cardine dell’approccio comunicativo.

Esistono vari modelli di competenza comunicativa, essenzialmente riconducibili a tre fattori:

  1. una serie di grammatiche mentali, di conoscenze linguistiche (fonologia, grafemica, morfologia, sintassi, testualità, semantica), extralinguistiche (cinesica, prossemica, oggettemica) e contestuali (sociolinguistica, pragmalinguistica, grammatiche culturali e, quando gli interlocutori hanno differenti madrelingue, anche interculturali);

  2. un contesto dove si realizzano gli eventi comunicativi, che sono regolati da grammatiche sociali e culturali;

  3. un ponte tra i due, una padronanza che trasforma le conoscenze, le grammatiche immanenti nella mente, in competenze e le realizza sotto forma di abilità (comprensione, produzione, dialogo, riassunto, traduzione, parafrasi, dettatura, appunti).

Il modello descritto sopra è rappresentato in questo diagramma:

Competenza vs conoscenza

Le conoscenze costituiscono della grammatiche di ‘dichiarazioni’, centrate su un verbo che funge da copula: ‘il plurale di tutto/a è tutti/e’, conoscenza che può essere implicita, di cui non si ha consapevolezza (è quindi una conoscenza acquisita) oppure ‘il paradigma di ferre è fero, fers, tuli, latum, ferre’, conoscenza consapevole, appresa.

Esistono delle conoscenze ‘procedurali’, che uniscono varie ‘dichiarazioni’: ‘se il nome è femminile plurale, allora si usa l’aggettivo tutte’: le conoscenza, che sono statiche, diventano in tal modo competenze; dal sapere qualcosa o su qualcosa si muove al saper fare qualcosa. Queste competenze, attraverso le varie abilità, consentono la performance comunicativa e costituiscono il nucleo della competenza comunicativa.

Competenza vs esecuzione/performance

La dicotomia viene dall’universo concettuale della linguistica chomskiana, anche se poi è stata accettata in tutte le scienze del linguaggio.

‘Competenza’ indica il sistema di regole (intese come meccanismi di funzionamento, non come norme) che è presente nella mente e che permette di comprendere o produrre indefinite frasi, anche mai udite prima, ben formate secondo le regole stesse.

La realizzazione effettiva di frasi basate sulla competenza viene chiamata ‘esecuzione’, spesso sostituita anche in italiano a performance.

Un concetto cardine della linguistica educativa dagli anni Settanta del secolo scorso è quello di competenza comunicativa.

Compito (task, di realtà, domestico)

Ci sono tre significati:

  1. un’attività finalizzata a raggiungere uno scopo cognitivo, operativo, ecc.: è il task del task-based approach (che è una metodologia didattica, non un approccio);

  2. nella ‘scuola delle competenze’ i compiti di realtà indicano l’applicazione di quanto studiato (non solo nell’educazione linguistica, ma in ogni area) a contesti reali o quanto meno verosimili: attività in cjui vengono coinvolte tutte le competenze acquisite fino a quel punto, ed emergono le competenze che serve acquisire per poter agire linguisticamente nel mondo reale; l’ipotesi sottostante è che vedere in azione quanto si è appreso e constatare i propri bisogno futuri sia estremamente motivante;

  3. nella lingua comune della vita scolastica indica il complesso di attività domestiche (di solito scritte) assegnate dagli insegnanti.

Completamento, attività di

A differenza della tecnica cloze e del riempimento di spazi vuoti, che riguardano singole parole, questa tecnica richiede di inserire in un testo mutilato degli spezzoni di frase. Il completamento mette in gioco l’intera competenza testuale dell’allievo: per completare il testo, infatti, egli deve basarsi sulla coerenza globale (il ‘filo del discorso’) e deve tener conto dei meccanismi di coesione presenti nella parte del testo che gli è nota.

Comportamentismo, neo-comportamentismo

Il comportamentismo è un approccio psicologico proposto all’inizio del Novecento da Watson e ripreso negli anni Quaranta-Cinquanta da Skinner, e da qui approdato all’insegnamento delle lingue non native nell’approccio strutturalistico. È una psicologia positivista, che si basa su osservazione concreta di comportamenti: si propone uno stimolo e si studia la reazione della persona; attraverso una sequenza costante di stimoli inducendola stessa risposta comportamentale si arriva al condizionamento, concetto chiave degli esercizi strutturali.

Composizione scritta

Usiamo questo termine per definire la produzione scritta, lemma dove sono riportate le varie fasi che permettono la realizzazioni di testi efficaci e corretti. Nell’accezione classica la composizione è il “tema”, ma in realtà esistono tante forme di composizione quanti sono i tipi di testo e i generi comunicativi scritti: si possono comporre testi referenziali come descrizioni (oggettive, che richiedono precisione lessicale, o soggettive, che privilegiano la connotazione), relazioni su eventi, definizioni sintetiche; testi regolativi come istruzioni per l’uso, il regolamento di un gioco o della vita di classe, ordini, consigli); testi narrativi; testi argomentativi, come la maggior parte dei temi e dei cosiddetti saggi brevi.

Alcuni generi comunicativi (ne sono esemplificati alcuni in corsivo, sopra) possono integrare vari tipi di testo, ad esempio la lettera, il tema, il racconto.

Comprensione orale e scritta

La comprensione è un’abilità linguistica fondamentale per competenza comunicativa ma anche per il processo di apprendimento e insegnamento: si può acquisire solo quello che è stato compreso.

Gli input orali o scritti su cui si organizza un’unità d’apprendimento linguistico vengono processati seguendo la sequenza della percezione studiata dalla psicologia della Gestalt: la comprensione è dapprima globale, poi analitica, per giungere alla conclusione finale; la comprensione cui si mira può quindi essere estensiva, sotto forma di scanning e skimming, o intensiva, analitica, ma la seconda presuppone la prima.

Alla base del processo di comprensione sta la strategia di anticipazione (expectancy grammar) che consente di prevedere almeno in linea generale ciò che può comparire in un testo, trasformando la comprensione nella ricerca della conferma di una tra le previsioni effettuate sulla base del contesto, del co-testo, del paratesto, della ridondanza morfosintattica, del tipo testuale – realtà esplorate con attività di elicitazione all’inizio di un’attività di comprensione in classe.

Per sviluppare il processo di comprensione sono utili tecniche glottodidattiche quali la procedura cloze e i vari tipi di incastro; per verificare la comprensione, si possono usare attività a scelta multipla, griglie, transcodificazioni, varie forme di domanda, ecc.

Comunicare vs informare

Nella lingua comune questi due verbi vengono spesso usati come sinonimi o quasi, in pragmalinguistica ed in glottodidattica sono totalmente diversi: l’informazione è involontaria (ad esempio, chi suda o trema o arrossisce informa, pur non volendolo, sul proprio stato di stress emotivo), mentre la comunicazione è volontaria, si realizza attraverso atti di discorso intenzionali e finalizzati ad un dato esito.

Comunicativa, funzione

Forma talvolta usata in italiano, sulla base di comunicative function, per indicare un atto comunicativo, l’elemento base dell’insegnamento delle lingue straniere dagli anni Settanta in poi; l’uso di ‘funzione’ in questo contesto ha generato non poche confusioni con il termine funzione usato in linguistica pragmatica.

Comunicativo, approccio

L’approccio comunicativo è in realtà il più antico di tutta la storia dell’insegnamento linguistico, in quanto fino al Seicento era la comunicazione ad essere oggetto di insegnamento/apprendimento sia nelle lingue materna e seconde di livello alto, che la retorica insegnava a usare in maniera elegante ed efficace, sia per le lingue non native; solo dopo il Seicento l’approccio formalistico si sostituisce a quello comunicativo, che riemerge verso la fine dell’Ottocento per risultare dominante dalla seconda parte del Novecento in poi.

Le caratteristiche dell’approccio comunicativo vanno ricercate

  1. nel ruolo centrale attribuito allo studente, ai suoi bisogni comunicativi in contesti reali;

  2. nell’aver posto come obiettivo la competenza comunicativa, accentuando soprattutto la dimensione pragmatica focalizzata negli stessi anni dal Progetto Lingue Vive del Consiglio d’Europa, che è alla del Quadro Comune Europeo a fine secolo;

  3. nell’aver accentuato la nozione di autenticità o quanto meno di verosimiglianza sia dei materiali didattici presentati come input sia, per quanto possibile, delle attività richieste alla classe, basate su task comunicativi, in cui cioè esiste un information gap da colmare o un problema da risolvere usando la lingua;

  4. nell’aver affiancato alla tradizionale correttezza formale l’efficacia pragmatica e l’appropriatezza socio-culturale ai fini della valutazione del risultato del percorso di apprendimento o del livello di competenza raggiunto.

L’approccio comunicativo ha trovato realizzazione didattica in due metodi: inizialmente quello situazionale e successivamente nel metodo nozionale-funzionale, anche se nel nostro secolo di preferisce un metodo che integra strutture e procedure di vari approcci, metodi e metodologie, pur all’interno di una cornice sostanzialmente pragmatica.

Si conoscono alcune sperimentazioni comunicative, per altro molto rare, di insegnamento comunicativo delle lingue classiche, dove l’approccio grammatico-traduttivo resta dominante.

Comunitaria, lingua

Tale definizione è attribuita alle lingue ufficiali degli stati membri dell’Unione Europea; ci sono lingue regionali ufficiali nei singoli stati, come il catalano in Spagna o il sardo e il friulano in Italia, ma non sono lingue comunitarie.

La qualifica di lingua comunitaria è fondamentale perché solo tali lingue rientrano nei programmi linguistici dell’Unione e sono oggetto di terminologizzazione ufficiale da parte degli Uffici Traduttivi dell’Unione Europea.

Le lingue comunitarie non vanno confuse con le community languages, che sono lingue etniche.

Connotazione vs denotazione

Ogni parola ha un significato referenziale (l’oggetto, lo stato, l’azione richiamati alla mente di chi la usa) detto “denotazione”, ma spesso a questo significato se ne aggiunge uno apprezzativo, che può essere positivo o negativo: esso costituisce la “connotazione”, che può essere di origine culturale o emozionale. La capacità di padroneggiare la connotazione costituisce uno dei fattori più importanti della competenza lessicale e caratterizza gli studenti di livello avanzato (un’ottima attività per la riflessione sul tema è la Poesia proposta da Mollica).

I termini delle microlingue scientifico-professionali non sono connotati, ma si limitano alla pura dimensione denotativa.

Conoscenza vs competenza

Le conoscenze costituiscono della grammatiche di ‘dichiarazioni’, centrate su un verbo che funge da copula: ‘il plurale di tutto/a è tutti/e’, conoscenza che può essere implicita, di cui non si ha consapevolezza (è quindi una conoscenza acquisita) oppure ‘il paradigma di ferre è fero, fers, tuli, latum, ferre’, conoscenza consapevole, appresa.

Esistono delle conoscenze ‘procedurali’, che uniscono varie ‘dichiarazioni’: ‘se il nome è femminile plurale, allora si usa l’aggettivo tutte’: le conoscenza, che sono statiche, diventano in tal modo competenze; dal sapere qualcosa o su qualcosa si muove al saper fare qualcosa. Queste competenze, attraverso le varie abilità, consentono la performance comunicativa e costituiscono il nucleo della competenza comunicativa.

Consapevolezza linguistica

Negli anni Ottanta si è sviluppato in Gran Bretagna il movimento di Language Awareness che intendeva reagire all’eccesso di insegnamento intuitivo che ha caratterizzato l’approccio comunicativo nei suoi primi decenni, in cui la competenza è considerata sufficiente anche se priva di metacompetenza, cioè di una consapevolezza sulla ragione delle varie scelte linguistiche e sul funzionamento della lingua.

In Italia, negli stessi anni si è affermato il concetto di riflessione sulla lingua, che accentua il ruolo della consapevolezza linguistica e comunicativa come fattore di sviluppo cognitivo e di apprendimento autonomo.

In realtà in inglese è usata anche una dicotomia tra awareness intuitiva e consciuousness frutto di riflessione, per cui in realtà il movimento mirava alla seconda.

Consegna di un’attività

Non rimanda al verbo ‘consegnare’, ma indica le istruzioni per una attività didattica, un esercizio, un compito. Nell’insegnamento delle lingue straniere, le consegne sono un elemento delicato, soprattutto nelle fasi iniziali: le consegne stese nella lingua oggetto di apprendimento, infatti, possono costituire una difficoltà aggiuntiva.

Contesto

È una nozione che include, a seconda del modo in cui viene usata, due livelli:

  1. può essere ciò che compare in un testo e che serve per attribuire il giusto significato alle singole componenti, per cui sono scorrette, ad esempio, le citazioni ‘decontestualizzate’. In realtà si dovrebbe parlare di cotesto;

  2. può essere ciò che sta intorno ad un testo, sia graficamente (titolo, foto, ecc.: è il paratesto), sia nella situazione sociale (luogo, momento, argomento, ruoli sociali e scopi pragmatici dei partecipanti).

Il contesto fornisce le informazioni di base su cui opera il processo di anticipazione, essenziale per la comprensione.

Contrazione di un testo

Attività spesso confusa con il riassunto, al quale è in parte propedeutica; consiste nell’eliminazione di periodi o frasi o sintagmi o semplici parole che non forniscono un’informazione essenziale allo scopo del testo, ed ha quindi una natura cognitiva più che linguistica, mira a sviluppare la capacita di gerarchizzare le informazioni.

La contrazione può prevedere dei limiti quantitativi, che possono essere stabiliti in percentuale ("eliminare il 50% del testo") oppure indicando le dimensioni del testo d’arrivo ("ridurre il testo finché non rimangono che 300 parole").

Controllati vs automatici, processi

L’opposizione tra processi automatici e controllati riguarda i processi e le strategie mentali che mettiamo in atto per la comprensione o la produzione linguistica.

I processi automatici non richiedono attenzione, non sono limitati dalle capacità della memoria a breve termine, sono veloci per cui il livello di consapevolezza è limitato, sono lunghi da acquisire e non possono essere appresi (riprendendo le nozioni di acquisizione vs apprendimento di Krashen).

I processi controllati, che richiedono attenzione e attivano la memoria a breve termine, sono lenti, possono essere appresi in breve tempo ma scompaiono se non vengono esercitati a sufficienza da automatizzarsi.

Coppie minime

Le coppie minime sono costituite da parole che si differenziano per un solo fonema: ad esempio, per l’opposizione tra /n/ e la corrispondente geminata /n:/ possiamo avere pena-penna, sano-sanno, sono-sonno ecc. Si possono avere anche ‘coppie’ a tre elementi come ad esempio in inglese bud-bad-bed e in francese lit, lu, loup.

Le coppie minime, utilizzate inizialmente nella didattica strutturalistica, rappresentano una tecnica utile per perfezionare la competenza fonologica: si ascoltano le coppie, poi si ascoltano e si ripetono.

Corpus, corpora

Un corpus (plural: corpora) è una raccolta di testi appartenenti ad una certa categoria, organizzati per poter essere analizzati con le metodologie della linguistica dei corpora.

In linguistica educativa si parla di corpus-based language teaching e di data-driven language teaching quando un sillabo è basato – per quanto possibile in una logica aperta come quella dell’approccio comunicativo – sui dati forniti da corpora statisticamente fondati.

Correttezza

La comunicazione è corretta quando non si verificano significative devianze dalle regole incluse nella competenza linguistica. La correttezza era la principale finalità di alcuni approcci, come ad esempio quello formalistico e quello strutturalistico, ma la nozione di competenza comunicativa ha portato a ritenere che per essere pienamente riuscita la comunicazione non deve essere solo corretta, ma anche appropriata al contesto situazionale ed efficace dal punto di vista pragmatico.

Cotesto, co-testo

Fa parte della nozione di contesto e riguarda la parte del testo che troviamo intorno ad una parola o una frase. Ha una funzione essenziale nella comprensione, in quanto permette l’anticipazione; è fondamentale anche come chiave per cogliere il significato di parole omofone (ad esempio, la parola “corso” in “Jean è corso, viene da Ajaccio”, “il sindaco di Ajaccio è corso all’aeroporto" e “ho frequentato un corso ad Ajaccio").

Cultura e civiltà

È una dicotomia che nelle varie lingue e nei diversi periodi può assumere connotazioni diverse.

Nell’uso generale cultura è l’iperonimo che include sia la way of life quotidiana sia la way of being, of thinking che caratterizzano un popolo, mentre civiltà è spesso usato per indicare il patrimonio culturale di un popolo, soprattutto in prospettiva diacronica (‘la civiltà etrusca’).

Nell’insegnamento delle lingue non native, civiltà indica di solito la ricchezza artistica, letteraria, musicale del popolo di cui si studia la lingua, mentre cultura si riferisce piuttosto alla vita quotidiana.

In realtà, è utile distinguere tra civiltà, cioè la forma mentis di una comunità, la serie di valori condivisi che creano l’identità di quel popolo, e cultura intesa come modelli di vita quotidiana.

Nella lingua materna la cultura quotidiana e la civiltà intesa come serie di valori sono essenziali per la competenza comunicativa e sono il risultato del processo di culturizzazione.

Nell’approccio comunicativo all’insegnamento delle lingue seconde, straniere, etniche questo ambito rientra nella competenza interculturale.

Nell’insegnamento delle lingue classiche l’oggetto privilegiato è la civiltà del mondo greco e latino, mentre la cultura quotidiana serve più che altro per stimolare la curiosità degli studenti.

Culturizzazione

È una delle mete dell’educazione linguistica. La culturizzazione si articola in due processi diversi:

  1. inculturazione, relativa all’acquisizione dei modelli culturali della propria comunità (anche se ogni individuo potrà poi apportare contributi originali e mutare la cultura di appartenenza);

  2. acculturazione, relativa alle culture non native.

La culturizzazione è condizione necessaria per la socializzazione all’interno di un gruppo, che a sua volta è condizione necessaria per l’autopromozione/autorealizzazione del progetto di vita di una persona.

Curricolo

Un curricolo è una visione di insieme di un ordinamento scolastico: “il curricolo liceale classico prevede 4 lingue: italiano, inglese, latino e greco”; “nel curricolo liceale il latino ha 17 ore, 4+4 ore al biennio, 3+3+3 al triennio”. Non va confuso con il sillabo, che indica i contenuti di un corso.

D

Deduttivo vs Induttivo, percorso

Una delle dicotomie fondamentali del dibattito psico-pedagogico di questo secolo, che ha visto il progressivo abbandono di metodi e metodologie deduttivi (come quello grammatico-traduttivo, ad esempio) a favore di approcci induttivi.

Nella prassi glottodidattica questo passaggio si è evidenziato nel passaggio dall’insegnamento esplicito della grammatica alla riflessione sulla lingua, dall’uso di schemi compiuti a quello di schemi aperti.

Delayed Oral Practice

Metodologia che lascia un certo tempo tra il momento in cui un testo viene presentato per la comprensione e il momento in cui si chiede allo studente di utilizzare elementi presenti in quel testo. Nell’acquisizione della lingua materna sia nell’apprendimento di lingue non native, infatti, c’è un periodo in cui la persona, pur avendo chiaramente acquisito un dato elemento, non lo usa.

Si sono date varie interpretazioni, tra cui l’ipotesi che si usino solo sistemi completi (ad esempio, non si acquisirebbe “bello” senza il suo antonimo “brutto”: la coppia di parole verrebbe usata solo a sistema completato), e quella del filtro affettivo, la paura di fare brutte figure, alla sensazione di insicurezza di fronte al docente e ai compagni.

Per aiutare gli allievi a superare il periodo di silenzio si possono proporre la ripetizione regressiva o forme di drammatizzazione.

Denotazione vs connotazione

Ogni parola ha un significato referenziale (l’oggetto, lo stato, l’azione richiamati alla mente di chi la usa) detto “denotazione”, ma spesso a questo significato se ne aggiunge uno apprezzativo, che può essere positivo o negativo: esso costituisce la “connotazione”, che può essere di origine culturale o emozionale. La capacità di padroneggiare la connotazione costituisce uno dei fattori più importanti della competenza lessicale e caratterizza gli studenti di livello avanzato.

I termini delle microlingue scientifico-professionali non sono connotati, ma si limitano alla pura dimensione denotativa.

Dettato

La capacità di trascrivere un testo orale è una delle abilità di trasformazione dei testi. Il dettato varia di oggetto a seconda delle lingue: in italiano, spagnolo o latino, lingue in cui il problema ortografico è minimo, il dettato riguarda la mera competenza grafemica; in greco e nelle lingue slave il dettato sviluppa anche la padronanza alfabetica; in francese il dettato implica una notevole analisi morfosintattica, in quanto le desinenze del maschile e del femminile nonché molte desinenze verbali compaiono allo scritto ma non nella lingua orale; in inglese il dettato è una prova primariamente ortografica, anche se saper distinguere, ad esempio, un plurale in -s da un genitivo singolare o plurale o da una contrazione di is presuppone un’analisi sintattica.

Tra le varianti del dettato ricordiamo

  1. dettato-cloze, in cui l’allievo deve scrivere solo le parole mancanti in un testo;

  2. dicto-comp(osition): l’allievo trova le parti iniziali delle frasi che compongono un riassunto e deve completarle sotto dettatura;

  3. dettato-disegno o dettato Picasso: si realizza ‘dettando’, cioè descrivendo le caratteristiche di un disegno che l’allievo deve eseguire mano a mano che ascolta.

Affinché il dettato produca acquisizione è necessario che non crei ansia: in questa prospettiva, l’autocorrezione o la correzione incrociata tra compagni trasformano una prova ansiogena in una stimolante sfida personale.

Malgrado la percezione diffusa, il dettato risulta inaffidabile come test.

Dialogare

Nella lingua quotidiana dei docenti, questa abilità viene spesso definita “saper parlare”, mentre nel Quadro Comune Europeo di Riferimento si parla di interazione. È un’abilità complessa in quanto integra in tempo reale il saper comprendere e il saper parlare, producendo testi che devono rispettare i principi di coerenza e coesione testuale, nonché le grammatiche dell’efficacia pragmatica e dell’appropriatezza sociolinguistiche, nonché le regole intrinseche dei vari generi comunicativi, perché un dialogo vis à vis oppure una telefonata, sullo stesso argomento e con gli stessi interlocutori, hanno retoriche differenti.

In termini di educazione alla comunicazione, uno degli obiettivi primari è far scoprire agli studenti che un dialogo “vincente” o, meglio sul piano relazionale, “convincente” va preparato prima, chiarendo a se stessi le argomentazioni efficaci e prevedendo le obiezioni dell’interlocutore, elaborando quindi una strategia di discorso; in particolare, va scelta la “chiave psicologica” (nella terminologia di Hymes), ad esempio disponibilità, amicizia, ironia, antagonismo, ecc.: da questa scelta deriva quella delle mosse comunicative da utilizzare in quella partita a scacchi che è un dialogo.

La capacità di dialogare è essenziale nell’ambito dell’approccio comunicativo e viene sviluppata con le molte tecniche di simulazione quali i vari tipi di roleplay e lo scenario, oppure attraverso discussioni aperte in cui due o tre gruppi esprimono il loro parere su una canzone, una posizione filosofica, ecc.

Dialogo a catena

Attività ripetitiva, di fissazione, adatta a bambini. L’insegnante) inizia un dialogo chiedendo, ad esempio: “Quanti anni hai?”, e il bambino risponde e poi rilancia la domanda ad un altro (“ho 9 anni. E tu?”) e così via. Questa tecnica può essere impostata come gioco a squadre, in cui a ogni risposta errata o ritardata un allievo viene eliminato.

Dialogo aperto

È una forma di completamento di un testo dialogato che sviluppa particolarmente le competenze testuale e pragmatica: si parte da un dialogo noto, ad esempio quello che apre l’unità didattica, e si danno le battute di un personaggio chiedendo all’allievo di inserire oralmente quelle dell’altro personaggio, tenendo conto della coesione sintattica e della coerenza con le battute precedenti e seguenti.

Dichiarativa vs procedurale, conoscenza

L’enciclopedia, cioè la conoscenza del mondo di una persona, è organizzata nella mente secondo modalità ancora largamente ignote. Una delle ipotesi più accettate è che ci sia un’organizzazione a tre livelli: conoscenze dichiarative, composte di un’unica proposizione rette da un verbo in funzione copulare (“il ghiaccio è freddo”, “il ghiaccio è fatto d’acqua”); conoscenze procedurali, basate sul meccanismo “se... allora...” (“se metti ghiaccio in un whisky, questo si rinfresca ma si annacqua”); fasci di procedure costituiscono le strategie di apprendimento, di interazione ecc.

Nella lingua, la dimensione morfologica è costituita da dichiarazioni (“il plurale di tutto è tutti”), quella sintattico-testuale da procedure (“se il nome è plurale, allora l’aggettivo va accordato, e allora si usa tutti”). Il passaggio da conoscenze a competenze coincide con quello da dichiarazioni a procedure.

Nella teoria edulinguistica, l’approccio è un insieme di dichiarazioni, il metodo un insieme di procedure.

Diretto, metodo

Malgrado il nome si riferisca a un metodo, si tratta in realtà di un approccio, cioè di una vera e propria filosofia glottodidattica, il cui perno è l’idea che la lingua straniera si acquisisce esattamente come la lingua materna, cioè attraverso l’esposizione il più intensiva possibile: rientra quindi negli approcci “naturali”.

Si caratterizza per la presenza solo di docenti di madrelingua, l’esclusione dalla classe della lingua materna degli studenti, anche nelle prime fasi del corso, la grammatica vista come punto d‘arrivo e non di partenza del percorso di insegnamento.

Direzionalità

La glottodidattica umanistica, nel suo sforzo di procedere ‘secondo natura’, ritiene essenziale seguire le indicazioni della psicologia della Gestalt e attivare entrambe le modalità della percezione umana, quella globale e quella analitica, all’interno di un’unità d’acquisizione. Il concetto di bimodalità è legato a quello di direzionalità, secondo il quale il percorso naturale va dalla percezione globale a quella analitica.

Discussione aperta

Realizzazione dell’abilità di dialogare: mentre nelle simulazioni (come le drammatizzazioni, il roleplay o lo scenario) non c’è un information gap da colmare usando la lingua e la possibilità di esprimere opinioni personali è esigua, la discussione aperta viene realizzata da studenti che dicono quello che pensano o sentono, quindi scambiano informazioni reali che gli interlocutori non conoscono (o conoscono limitatamente, nel caso in cui la discussione sia tra due gruppi contrapposti, ad esempio favorevoli e contrari all’eutanasia, fan o detrattori di un cantante: ognuno sa da che parte sta l’interlocutore, ma non sa quel che dirà e quindi come reagire).

È fondamentale preparare il dialogo, da soli o con altri, e videoregistrarlo, per commentarlo insieme alla classe: solo la videoregistrazione trasforma una performance occasionale in un’attività glottodidattica.

Dizionario vs vocabolario

Termini spesso usati come sinonimi, ma il vocabolario è il patrimonio lessicale di una lingua o di una persona, di uno scrittore, di un’unità didattica, mentre un dizionario è la sistemazione formalizzata del vocabolario, di solito in ordine alfabetico.

La linguistica computazionale ha reso molto affidabili i dizionari di frequenza, tradizionalmente chiamati anche ‘vocabolari fondamentali’ o ‘di base’ (calcati su français fondamentale, Grund Deutch e basic English), usati come punti di riferimento per la componente lessicale dei sillabi di insegnamento di lingue non native e delle certificazioni linguistiche, dove tuttavia il mero criterio della frequenza è integrato dal lessico ad alta disponibilità: ad esempio, anche se ‘ambulanza’ e ‘ospedale’ non sono nel numero di parole ad alta frequenza incluse in un livello B1, sono comunque necessari per il livello soglia si sopravvivenza in un paese straniero.

DLL, Digital Language Learning

Acronimo che sta per Digital Language Learning, cioè per il settore delle tecnologie glottodidattiche basate sul computer e altri apparecchi digitali.

Domanda

È la tecnica più diretta sia per guidare (indicando su che cosa focalizzare l’attenzione) sia per la verifica della comprensione, ma si basa su un falso pragmatico (chi pone la domanda conosce già la risposta) per cui risulta demotivante.

Le domande possono essere referenziali, che trovano cioè un preciso riscontro nel testo, o inferenziali se richiedono di passare oltre la lettera del testo. Nelle attività di comprensione, le domande referenziali precedono quelle inferenziali.

Dépaysement

Termine usato dell’edulinguistica del secondo Novecento, superato oggi dalla globalizzazione e dalla pervasività di internet. Indicava la necessità di staccare l’allievo di lingua straniera dalla sua realtà locale per immergersi nella cultura straniera. A tal fine, negli anni Sessanta-Ottanta portò alla creazione di ‘aule di civiltà’, che dovevano dare allo studente la sensazione di essere nel paese straniero.

Drammatizzazione

Forma di simulazione che non concede agli attori alcuna libertà allo studente, trattandosi di recitare (leggendo oppure a memoria) un testo predisposto da un drammaturgo, dal manuale, dall’insegnante o dalla classe stessa. In quest’ultima variante, la classe può essere invitata a predisporre il testo drammatico partendo da testi di altro tipo, ad esempio da testi narrativi quali favole o racconti: così facendo gli allievi apprendono a suddividere un testo nelle varie situazioni e a caratterizzare dal punto di vista sociolinguistico i vari personaggi in base ai loro ruoli sociali, culturali e psicologici. Tra i vantaggi di questa tecnica emerge la quantità di lessico che viene memorizzato all’interno di script situazionali, nonché la fissazione di molti atti comunicativi frequenti.

La videoregistrazione e la successiva analisi in classe consente di lavorare in profondità sulle competenze fonologica, ed extralinguistica.

E

Eccellente vs plusdotato, studente

La plusdotazione è uno di Bisogni Educativi Speciali nella scuola italiana, e definisce studenti particolarmente efficienti nell’acquisizione linguistica. Spesso i due termini sono usati come sinonimi, ma lo studente eccellente ha un livello altissimo in tutte le caratteristiche di uno studente, dalla disponibilità verso i compagni meno bravi all’efficienze nell’apprendimento di tutte le discipline.

Educazione bilingue

Si realizza l’educazione bilingue quando due (o più) lingue vengono usate come veicolo per l’insegnamento delle varie materie scolastiche. L’attività didattica viene svolta nelle due lingue in contatto sulla base di parametri quali one person one language (cioè ogni insegnante usa sempre e solo la propria lingua materna), oppure con divisioni di aree (alcune materie in una lingua, altre nella seconda lingua), oppure ancora sulla base di periodi (specialmente nella scuola dell’infanzia e in quella elementare: un giorno o una settimana in una lingua, un giorno o una settimana nell’altra); lo scopo dell’educazione bilingue è di creare persone per quanto possibile bilingui.

In alcune tradizioni edulinguistiche si parla di educazione bilingue con riferimento al CLIL.

Educazione letteraria

Anche se viene di solito curata dagli stessi insegnanti che operano nell’educazione linguistica, educazione linguistica e letteraria sono ambiti limitrofi ma assolutamente distinti in ordine alle mete educative e agli obiettivi didattici.

L’educazione linguistica contribuisce tuttavia a quella letteraria laddove si occupa di sviluppare l’abilità di lettura dei testi letterari. In particolare, insegnare a leggere testi letterari significa fare rilevare il loro scarto rispetto alla lingua d’uso quotidiano, l’innovazione, la reinvenzione, la rottura del linguaggio.

Educazione linguistica

Con educazione linguistica si intende un processo unitario che si realizza attraverso l’insegnamento / apprendimento della:

  1. lingua materna, che nella tradizione viene identificata con la lingua nazionale o con una lingua ufficiale; in realtà ci sono molte lingue “materne” che non vengono insegnate, pur essendo le lingue in cui una persona pensa;

  2. lingua seconda, cioè la lingua parlata nell’ambiente ma non materna per chi la studia (ad esempio, l’italiano per gli immigrati); nelle aree bilingue, è la lingua non materna, ma pure presente nella comunità;

  3. lingue straniere, non parlate nel paese in cui la e si studia;

  4. lingue classiche, che in Italia sono il latino e il greco antico;

  5. lingue etniche, cioè le lingue delle famiglie o delle comunità di immigrati.

La filosofia di fondo dell’integrazione delle varie lingue in un unico concetto di educazione linguistica si fonda sullo spostamento del fuoco d’interesse dalla lingua come prodotto, per cui ogni lingua è diversa dalle altre, alla lingua come processo comunicativo, espressivo e cognitivo sottostante e comune a tutte le lingue. Lo sviluppo dei processi, quindi, e non solo la realizzazione di prodotti (testi) è l’obiettivo dell’educazione linguistica, che si concretizza nelle tre mete generali di ogni processo formativo.

Educazione vs istruzione

L’educazione, che costituisce lo specifico della pedagogia, si occupa della definizione delle mete educative, mentre l’istruzione, che costituisce lo specifico della metodologia didattica, si occupa della definizione degli obiettivi attraverso i quali realizzare il processo educativo.

In glottodidattica il livello educativo si traduce nella definizione di approcci e quello istruttivo in metodi.

Per effetto della ricerca anglofona sta entrando anche in italiano un terzo termine, addestramento, che spesso viene lasciato in inglese, training, soprattutto in espressioni come teacher training o in-service training (INSET), con cui ci si riferisce alla formazione iniziale oppure continua dei docenti.

Edulinguistica

Neologismo che sta per linguistica educativa, calcato su termini come sociolinguistica, pragmalinguistica, etnolinguistica e così via. È la scienza che studia i fini e i modi dell’educazione linguistica.

Efficacia

La principale caratteristica di una comunicazione dall’esito felice, in cui i partecipanti all’evento comunicativo raggiungono i loro scopi attraverso la loro competenza pragmatica.

Si può avere una comunicazione efficace anche con atti comunicativi poco o affatto appropriati alla situazione socio-culturale e non corretti sul piano linguistico — e in alcuni corsi interessati solo alla comunicazione di base l’efficacia viene privilegiata – ma una competenza comunicativa equilibrata richiede che l’efficacia sia raggiunta rispettando l’appropriatezza socio-situazionale e la correttezza linguistica.

L’efficacia è fondamentale per la valutazione e per la certificazione linguistica.

Elicitazione

Tecnica didattica che consiste nell’estrarre, attraverso domande, suggerimenti, soprattutto attraverso attività di brainstorming ecc. le informazioni o i frammenti di informazioni che gli studenti hanno sul tema ventrale di un testo che si deve comprendere. Messi insieme a quelli dei compagni, i vari frammenti consentono di ampliare e strutturare la propria enciclopedia in modo da poter anticipare i probabili contenuti del testo, facilitando la comprensione.

Enciclopedia

Il complesso di conoscenze del mondo che lo studente possiede, spesso inconsapevolmente o in maniera non strutturata. Sull’enciclopedia si basa l’attività di anticipazione dei possibili contenuti del testo, essenziale al processo di comprensione. Tra le attività didattiche utili a sistematizzare e condividere l’enciclopedia degli studenti ci sono l’elicitazione e il brainstorming.

L’organizzazione dell’enciclopedia è da decenni oggetto di dibattito tra gli psicologi; rilevanti sul piano glottodidattico sono alcuni dei concetti elaborati in ambito psicologico come quelli di schema o frame e di copione comportamentale o script.

Errore

A differenza di uno sbaglio, cioè una devianza dovuta a disattenzione momentanea, l’errore è una devianza stabile, sistematica. Può essere dovuta a una competenza errata nella mente dello studente, oppure al fatto che la forma errata non è ancora stata affrontata, o è stata affrontata troppo precocente rispetto alla sequenza acquisizionale.

L’approccio formalistico considerava l’errore come un fenomeno assolutamente negativo, da punire per stroncarlo. L’approccio strutturalistico lo attribuiva soprattutto a fenomeni di interferenza, da evitare attraverso studi di linguistica comparativa e conseguenti esercizi strutturali.

Con l’approccio comunicativo, contemporaneo all’affermarsi della psicologia umanistica, e a seguito della teoria dell’interlingua, l’atteggiamento verso l’errore è radicalmente mutato: è una spia del processo di acquisizione della lingua, una fonte di informazione sull’interlingua dello studente.

Esclusione vs inclusione, attività di

Sono due attività che sviluppano la riflessione sulla lingua. Nell’esclusione (nota anche come odd man out) gli studenti devono individuare un elemento estraneo (per forma, significato, registro, ecc.) in un gruppo di parole, espressioni, nozioni, ecc.: ad esempio, un singolare all’interno di un insieme di nomi plurali. A livello più complesso, si può presentare una serie di lettere, testi letterari, ecc. correlati tra loro, tra i quali ne compare uno estraneo.

L’inclusione parte da un insieme di elementi dati alla rinfusa in gruppi caratterizzati da un tratto particolare, che gli studenti devono individuare creando dei sottoinsiemi; la realizzazione è più facile della descrizione: si pensi a una dozzina di nomi, aggettivi e verbi scritti alla rinfusa sulla lavagna: si possono creare solo tre insiemi che permettono di introdurre tre parti del discorso, etichettandole solo dopo averle scoperte. L’inclusione può lavorare su qualunque grammatica della competenza comunicativa.

Esecuzione / performance vs competenza

La dicotomia viene dall’universo concettuale della linguistica chomskiana, anche se poi è stata accettata in tutte le scienze del linguaggio.

‘Competenza’ indica il sistema di regole (intese come meccanismi di funzionamento, non come norme) che è presente nella mente e che permette di comprendere o produrre indefinite frasi, anche mai udite prima, ben formate secondo le regole stesse.

La realizzazione effettiva di frasi basate sulla competenza viene chiamata ‘esecuzione’, spesso sostituita anche in italiano a performance.

Un concetto cardine della linguistica educativa dagli anni Settanta del secolo scorso è quello di competenza comunicativa.

Esplicitazione, attività di

È una tecnica utilizzata per stimolare la riflessione sui pronomi: l’allievo deve tracciare una linea collegando ogni pronome al proprio referente oppure deve sottolineare ogni pronome e scrivere accanto il referente. In tal modo si mira al rafforzamento dei meccanismi di coesione testuale.

Esponente

Nell’ambito del metodo nozionale-funzionale così come lo ha prospettato il Progetto Lingue Moderne/Vive del Consiglio d’Europa, l’esponente è l’espressione linguistica che realizza un atto comunicativo: ‘buon giorno’ è l’esponente di ‘salutare (in registro formale)’.

Ogni atto comunicativo può realizzarsi con più esponenti; ad esempio, l’atto di “salutare” può avere esponenti sinonimici (“ciao”, “salve”, ecc.), esponenti differenti per il registro (“Ciao” vs “Buon giorno”) o diversi a seconda della situazione (“Buon giorno” vs “Buona sera”).

Uno stesso esponente può realizzare più atti comunicativi; ad esempio, l’esponente “scusi!” realizza, pur con diverse intonazioni, tre atti comunicativi, che in inglese richiedono tre esponenti diversi: l’atto di scusarsi (sorry...), di attirare l’attenzione (excuse me!), di chiedere la ripetizione di una parola non compresa (pardon?).

Evento comunicativo

È l’unità base di analisi della comunicazione, ed è il contesto dove si situa la performance nel modello della competenza comunicativa. Un evento avviene in un contesto che comprende un testo linguistico ed una serie di messaggi extralinguistici usati per realizzare gli atti comunicativi che consentono di raggiungere i propri scopi.

L’evento è regolato sia dalle grammatiche sociolinguistiche, pragmalinguistiche, (inter)culturali, sia da regole proprie di ogni genere comunicativo, ad esempio telefonata, dialogo faccia a faccia, conferenza, mail, e così via.

Extralinguistica, competenza

Include i codici non verbali che si accompagnano, sostituiscono, sottolineano la lingua: la competenza cinesica, quella prossemica e quella oggettemica.

Alcuni studiosi collocano tra i codici extralinguistici anche la dimensione paralinguistica, cioè il tono di voce la velocità dell’eloquio, ma in glottodidattica questa viene considerata come una parte della competenza linguistica, precisamente dell’ambito fonologico.

Lo sviluppo della competenza extralinguistica è essenziale in un approccio comunicativo.

F

Facilitazione, facilitatore linguistico

A differenza del mediatore linguistico e culturale, che conosce lingua e cultura dello studente straniero neoarrivato in Italia, il facilitatore aiuta lo studente nell’approccio all’italiano a livello BICS, Basic Interpersonal Communication Skills, e, in parte, lo introduce all’italiano come lingua dello studio; in particolare, il facilitatore lavora all’alfabetizzazione di chi è totalmente analfabeta o proviene da lingue con alfabeto diverso.

Un facilitatore “insegna”, ma non è un insegnante: interviene solo fino al momento in cui deve facilitare, non ha una programmazione a lungo termine, non segue un sillabo completo, non esprime una valutazione vincolante – anche se in realtà, in molte scuole ci sono Laboratori di ItaL2 in cui è un insegnante che in parte del suo orario di lavoro si occupa di facilitazione.

Falsi amici

Parole della lingua oggetto di studio che assomigliano a parole della lingua materna, ma hanno significato diverso, come eventually che significa ‘alla fine’, presently che sta per ‘subito dopo’, burro che in spagnolo significa asino¸ mentre aceite è l’olio

Filtro affettivo

Nozione resa popolare con questo nome dalla Second Language Acquisition Theory, ma presente in tutta la glottodidattica umanistica. Si tratta di una difesa psicologica che si erge quando si è in stato di ansia, quando si ha paura di sbagliare, si teme di mettere a rischio la propria immagine, e così via. In presenza di un filtro affettivo attivato non si può avere acquisizione ma solo apprendimento.

Fissazione

Si tratta della fase del processo di acquisizione che mira a trasformare i processi controllati, razionali, in processi automatici, quelli che il comportamentismo definisce mental habits. L’approccio strutturalistico faceva coincidere fissazione e acquisizione; le prime realizzazioni dell’approccio comunicativo, ad esempio il metodo situazionale, facevano largo uso di tecniche ripetitive di fissazione. Esistono tuttavia attività di fissazione che riducono la demotivazione legata alla ripetizione, inserendola in una cornice ludica.

Flipped classroom

È una metodologia nata in ambito scientifico e diventata popolare dall’inizio del nostro secolo: la prassi che vede le spiegazioni teoriche in classe e l’esercitazione operativa in forma individuale a casa viene capovolta, flipped, per cui la parte operativa diviene un’attività collettiva in aula e si rinvia la riflessione teorica al lavoro individuale.

La logica tradizionale domina ancor oggi la didattica dell’italiano L1 e delle lingue classiche, mentre nell’insegnamento delle lingue straniere l’approccio comunicativo ha capovolto la tradizione fin dagli anni Ottanta del Novecento..

Focus on form

Movimento lanciato da Long alla fine degli anni Ottanta, quando l’approccio comunicativo era spesso interpretato come mera efficacia nella comunicazione, senza attenzione alla correttezza formale. Nel focus on form si lavora su input comunicativi, ma l’insegnante individua gli elementi formali della lingua che lo studente può “processare” ed inserire nella sua interlingua e li mette in evidenza già durante la fase di comprensione dell’unità d’apprendimento.

Una variante è data dal modal focusing, in cui la focalizzazione sull’obiettivo formale viene indicata prima del lavoro di comprensione dell’input.

Fonetica, competenza

La fonetica è la scienza che studia i tratti caratterizzanti dei vari suoni e il modo in cui vengono prodotti dal nostro apparato vocale (fonetica articolatoria). Spesso viene confusa con la “fonologia” o “fonemica”, che studia il ruolo dei vari suoni nel sistema di una lingua.

La competenza fonetica, cioè la capacità di produrre correttamente i suoni dei fonemi di una lingua, fa parte della competenza linguistica, nel contesto più vasto della competenza comunicativa. Per rafforzare o correggere una competenza fonetica deviante si possono usare esercizi come le coppie minime e la ripetizione regressiva.

Fonologica, competenza

È una componente della competenza linguistica e, in senso più ampio, della competenza comunicativa. La dimensione fonologica riguarda la capacità di riconoscere e realizzare i fonemi e le curve intonative di una lingua, e di gestire aspetti paralinguistici quali il tono della voce e la velocità di eloquio.

Talvolta i problemi cosiddetti ‘di pronuncia’ non riguardano la dimensione fonologica (ad esempio, la capacità di distinguere bin/been, sin/sing e così via), ma la realizzazione fisica del suono, cioè la competenza fonetica.

Formale/istico, approccio

Alla fine del Rinascimento il latino smette di essere una lingua d’uso e il suo insegnamento si trasforma nella pratica delle strutture morfosintattiche e nell’acquisizione del lessico attraverso la traduzione, per cui questo approccio è detto anche grammatico-traduttivo. La denominazione oggi più diffusa è ‘approccio formale’ o ‘formalistico’, in quanto focalizza la forma della lingua anziché l’uso. Spesso l’approccio formalistico è chiamato ‘tradizionale’, ma in realtà è una tradizione di pochi secoli all’interno millenni di insegnamento comunicativo delle lingue, incluso il latino lingua franca oltre che lingua della cultura classica.

Quanto alle lingue straniere, anche tra il xvii e il xix secolo la grande aristocrazia ha continuato con il metodo diretto (la bambinaia straniera, e poi il precettore straniero), mentre l’approccio grammatico-traduttivo è stato trasferito dal latino alle lingue straniere nelle scuole della borghesia, quasi sempre rette da religiosi. Nell’Ottocento questo approccio fu messo in discussione dai fautori dell’approccio naturale, ma per gran parte del xx secolo (in alcune scuole e università ancora oggi) l’approccio formalistico è rimasto il punto di riferimento.

L’insegnamento formalistico organizza il sillabo sulla base di categorie ‘grammaticali’ intese come complessi di ‘regole’, di ‘norme’: ortografia, pronuncia, morfologia (articolata nelle 9 parti del discorso), sintassi della frase e del periodo. Il lessico viene presentato in liste, ma se ne presume l’acquisizione spontanea in attività di traduzione sia di frasi esemplari sia di brani d’autore.

La programmazione non avviene per unità didattiche ma per lezioni, che muovono dalla descrizione della norma (il presente dei verbi ‘essere’ e ‘avere’), da applicare in esercizi di riempimento di spazi in cui inserire la forma corretta, seguiti dalla traduzione di frasi dalla e poi alla lingua studiata, frasi che spesso non hanno senso reale ma raccolgono il massimo carico possibile di irregolarità ed eccezioni; mano a mano che il livello di competenza aumenta, alle frasette si sostituiscono citazioni d’autore e testi letterari, storici, filosofici. La dimensione pragmatica è assente, la comunicazione è solo ricettiva (lettura di letteratura in lingua classica o straniera), tranne per le scuole tecniche dove si insegna anche a scrivere lettere commerciali o istruzioni operative in lingua straniera.

Fossilizzazione

Il termine è proprio della lessicografia, dove ad esempio descrive le metafore usate senza che ci si renda più conto che si tratta di metafore (“fossilizzazione”, ad esempio, è essa stessa una metafora fossilizzata).

Il termine è stato ripreso in glottodidattica per indicare errori che vengono ripetuti costantemente, per cui la forma errata si fissa e diviene particolarmente difficile da superare.

Funzione

Termine usato sia in linguistica pragmatica sia in edulinguistica.

Nel Novecento, Cassirer, Jakobson, Halliday hanno proposto vari modelli funzionali, che individuano sulla base di alcuni parametri la funzione svolta dalla lingua in un contesto, cioè lo scopo per cui è usata.

Il modello funzionale della comunicazione proposto da Jakobson viene utilizzato molto spesso nell’insegnamento dell’italiano L1, per far notare le diverse funzioni svolte dalla lingua a seconda che focalizzi l’emittente (personale), il destinatario (conativa), il canale (fàtica), il codice (metalinguistica), l’argomento (referenziale), la forma (poetica).

I due modelli principali, quelli di Jakobson e di Halliday, possono essere integrati per individuare la struttura base di un sillabo di lingua: un funzione rivolta verso la persona che parla (funzione personale), due per le relazioni interpersonali (funzione interpersonale e funzione regolativa o strumentale), e tre per la descrizione del mondo reale (funzione referenziale), immaginario (funzione immaginativa), e il mondo della lingua (funzione metalinguistica). Ogni funzione si realizza con una serie di atti comunicativi, che possono essere linguistici, cinesici, prossemici (ad esempio l’atto ‘salutare’ può realizzato con ‘buon giorno’, con una stretta di mano, con un inchino). Un sillabo pragmatico, tipico dell’approccio comunicativo, include quindi gli atti comunicativi che realizzano le varie funzioni, anche se nella prassi le espressioni non linguistiche vengono tralasciate.

Le varie funzioni sono state diversamente considerate nella storia dell’educazione linguistica: ad esempio, l’approccio formalistico privilegiava la funzione metalinguistica, che invece veniva trascurata in un approccio diretto o naturale.

Il metodo funzionale-nozionale usa, in inglese, comunicative function, talvolta tradotta come ‘funzione comunicativa’ per indicare gli atti comunicativi di cui si sostanziano le macrofunzioni in un sillabo (ad esempio, la funzione interpersonale si realizza con atti/funzioni comunicative come salutare, congedarsi, scusarsi, ecc.

G

Genere comunicativo

I tipi testuali sono categorie astratte e universali che si realizzano concretamente in forme pre-strutturate, i generi comunicativi: un testo regolativo di realizza con ordini e consigli, istruzioni per l’uso e ricette di cucina, codici giuridici e regolamenti sportivi, e così via (nel linguaggio quotidiano gli unici ad essere definiti “generi” sono quelli che realizzano i testi narrativi ed espressivi).

Ogni genere ha una sua grammatica costitutiva: una lettera deve avere un mittente, un destinatario, un contenuto da comunicare, una data e dei saluti di apertura e chiusura, regolati a loro volta dalla grammatica sociolinguistica; oltre a queste regole costitutive, ci sono delle regole culturali: ad esempio, il saluto iniziale di una lettera in inglese è Dear, mentre in italiano formale c’è una gamma di appellativi e di formule retoriche ben più ampia e sociolinguisticamente marcata.

Conoscere le regole costitutive e culturali dei generi è fondamentale per la produzione degli stessi e facilita l’attività di anticipazione, fondamentale per la comprensione.

Glottodidattica

Fa parte delle scienze del linguaggio e studia la natura, i fini, gli strumenti (e, secondo alcuni, le politiche) dell’educazione linguistica. Il termine ‘glottodidattica’ viene dal titolo di una rivista fondata nel 1949 e fa coppia con ‘glottologia’; dall’America viene la denominazione ‘linguistica educativa’ o ‘edulinguistica’. Alcune riviste glottodidattiche fondate a metà Novecento usano ancora sia in italiano sia in altre lingue ‘linguistica applicata’, denominazione usata fino agli anni Sessanta, e oggi riservata alle applicazioni operative della linguistica teorica.

La linguistica non è l’unica scienza di riferimento della glottodidattica, che è una scienza transdisciplinare che interagisce anche con le scienze della persona (neuroscienze e neurolinguistica; psicologia, psicolinguistica, psicodidattica) e con quelle dell’educazione (pedagogia, metodologia didattica); nell’insegnamento delle lingue non native, tra i riferimenti ci sono anche le scienze della cultura e della società.

La glottodidattica organizza la conoscenza che riceve da queste scienze (cui dà feedback e pone nuove domande di ricerca, in un rapporto bidirezionale) in due livelli, uno teorico, mirato alla conoscenza e uno operativo, mirato alla definizione di obiettivi e strumenti (approccio e metodo).

Glottomatetica, competenza

Termine poco usato che indica la capacità di apprendere – obiettivo psicopedagogico per eccellenza entrato in parte nella tradizione edulinguistica con la nozione di lifelong learning e con la crescente attenzione alle strategie d’apprendimento, studiate dalla psicologia matetica o dell’apprendimento. Anche gli studi sulla lingua dello studio e sul CLIL richiamano spesso la necessità di consapevolizzare gli studenti sulle strategie matetiche che utilizzano e quelle che trascurano (queste ultime emergono soprattutto dal confronto con i compagni nelle metodologie a mediazione sociale). La riflessione sulla lingua anziché l’insegnamento esplicito della grammatica sviluppa la competenza glottomatetica.

Grafemica, competenza

È la componente della competenza linguistica e consiste nella capacità ortografica di scrittura. Chi ne è privo è analfabeta.

Grammatica di riferimento

È un dizionario grammaticale a disposizione dello studente che lo consulta quando ha dubbi o quando vuole trovare una sintesi di un ambito grammaticale, termine che in questo tipo di strumenti si riferisce alla scola competenza linguistica. A differenza della grammatica pedagogica, una grammatica di riferimento descrive tutta la lingua, o almeno tutta la parte di essa che rientra in un livello di competenza (ad esempio, una grammatica di riferimento a livello B2).

Grammatica pedagogica implicita/esplicita, induttiva/deduttiva

“Grammatica”, in questo contesto, non si riferisce solo alla morfosintassi ma rimanda a tutte le grammatiche mentali incluse nel modello di competenza comunicativa. A differenza di una grammatica di riferimento, che descrive tutta la lingua, nell’educazione linguistica si lavora su una grammatica pedagogica, che include solo gli elementi che sono necessari per il livello e gli scopi degli studenti.

Tra tutte le “regole” (che gli studenti vivono come “norme” ma che sono solo descrizioni di un meccanismo grammaticale o comunicativo) che reggono un testo dato come input in un’unità di apprendimento, alcune rimangono implicite, altre vengono rese esplicite sotto forma di schemi, definizioni, regole. I meccanismi che rimangono impliciti, secondo la linguistica acquisizionale, possono comunque essere “processati” dalla mente e quindi acquisiti spontaneamente – come per altro avviene nell’acquisizione spontanea da parte di immigrati, cui non viene mai proposta una riflessione esplicita.

L’esplicitazione di un meccanismo può avere due percorsi: quello deduttivo, trasmissivo, in cui l’insegnante spiega come funzionano i verbi deponenti e poi si fanno esercizi di fissazione in cui lo studente deduce cosa fare dalle regole che ha ricevuto (si mira all’apprendimento); induttivo, basato sulla riflessione sulla lingua condotta dallo studente con la guida dell’insegnante lo studente, mirando all’acquisizione profonda e allo sviluppo della competenza glottomatetica.

Grammatico-traduttivo, metodo

È il più noto dei metodi che realizzano l’approccio formalistico. Come dice il nome, il fulcro è costituito dalla “grammatica” intesa come competenza linguistica: pronuncia, ortografia, morfosintassi e qualche nozione di testualità vista come ‘retorica’; il lessico viene appreso e formalizzato in liste durante il lavoro di traduzione, che non è intesa come abilità linguistica da sviluppare ma come strumento per applicare la “grammatica” e per scoprire il lessico.

Griglia di comprensione

È uno strumento per guidare-verificare la comprensione; si presenta come una tabella che presenta una variabile nelle caselle orizzontali (ad esempio: “Cappuccetto Rosso”, “Mamma”, “Nonna”, “Lupo” e “Cacciatore”) e una seconda variabile nelle colonne verticali (ad esempio: “Casa di Cappuccetto Rosso”, “Bosco”, “Casa Nonna”): si dimostra di aver compreso se si segnano le caselle giuste (la colonna “Cappuccetto Rosso” va segnata in tutte le caselle dei luoghi perché lei è sempre presente; la colonna “Lupo” va segnata solo in “Bosco” e “Casa Nonna”, ecc.)

La griglia si presta anche a lavorare sulla comprensione profonda: si pensi, ad esempio, ad uno schema che riporta nella colonna orizzontale i nomi dei personaggi di un racconto e nella colonna verticale una lista di possibili scopi non dichiarati per le loro azioni: agli allievi l’esecuzione richiesta può parere minima (segnare crocette nella casella giusta) ma ciò che si chiede è in realtà una analisi approfondita in termini inferenziali.

Griglia di valutazione

Sono griglie che elencano una serie di parametri da considerare per valutare un elaborato scritto o orale: ad esempio, gli elementi base sono di solito efficacia, appropriatezza, correttezza formale, ricchezza lessicale, fluency nelle prove orali; a livelli intermedi e alti queste voci possono essere articolate, ad esempio per il lessico si possono diversificare la denotazione e la connotazione, nell’oralità oltre alla fluency si possono valutare intonazione e pronuncia, e così via.

Se la griglia viene usata anche per scopi amministrativi (promozione, bocciatura), accanto a ogni voce può essere indicato il range di punti attribuibili per quella voce.

H

Heritage program vs Community language program

L’espressione Heritage language si riferisce a corsi speciali di lingua etnica, tenuti si solito fuori dall’orario scolastico curricolare. Oggi prevale l’espressione community language program che cerca di riportare l’insegnamento nell’ambito dell’attività scolastica.

I

I+1 (Krashen)

Nella sua Second Language Acquisition Theory, Krashen sostiene che l’acquisizione (cfr. acquisizione vs apprendimento) è possibile solo se l’input è il passo successivo (“+1”) nelle sequenze acquisizionali (ordine naturale, nei termini di Krashen) rispetto a quanto acquisito (intake, cioè “i”). Un principio simile, nei contenuti se non nelle premesse, è la zona di sviluppo prossimale proposta da Vygotskij: si acquisisce ciò che è nella zona limitrofa a quanto già acquisito.

Secondo Krashen, se si insegna la nozione “i+3”, che nell’ordine naturale si colloca 3 passi avanti rispetto a “i”, essa non sarà acquisita stabilmente ma solo appresa (cfr. apprendimento vs acquisizione) e collocata nella memoria a medio termine in attesa che vengano intaken i passi i+1 e i+2; se i due anelli mancanti non saranno forniti, “i+3” sarà perduto.

Immersione linguistica

Programmi di insegnamento della LS che prevedono un periodo di permanenza nell’ambiente in cui è parlata. In alcuni casi, come negli scambi di Intercultura, chi entra nel programma e va nel paese straniero trova un’accoglienza socio-relazionale più che linguistica, mentre nel tradizionale corso estivo all’estero si hanno anche alcune ore di insegnamento formale. Il principio base, comunque, è l’immersione in un ambiente in cui si parla normalmente la lingua oggetto di apprendimento e viene abbandonato l’uso sociale della lingua materna (cosa oggi impossibile, visto che i social media sono globali).

Incastro, attività di

Insieme al cloze, le attività di incastro sono efficaci per obbligare gli studenti a comprendere usando strategie prima globali e poi analitiche e a non escluderne una a favore dell’altra. Come in un jigsaw puzzle visivo le tessere offrono il quadro completo solo dopo che sono state poste nell’unica posizione in cui ciascuna può andare (e questo è un lavoro di analisi), ma per poter procvedere alla ricomposizione è necessario avere prima un’idea globale dell’immagine. Nel nostro caso, si tratta di frantumare un testo di chiedere di ricomporlo: si rispetta il percorso globalità → analisi → sintesi della Gestalt, che è alla base dell’unità d’acquisizione. Si possono riordinare:

  • parole di una frase date in ordine casuale: aiuta a riflettere sul ruolo della parola chiave, che permette di attivare la strategia di anticipazione e di immaginare il senso della frase;

  • spezzoni di frasi disposti su due colonne, tra le quali tracciare linee che uniscono gli spezzoni: prima di selezionare una conclusione alla prima frase, bisogna leggere tutte le conclusioni possibili e analizzarle semanticamente e morfosintatticamente;

  • battute di un dialogo stampate alla rinfusa: gli studenti devono leggere tutte le battute in modo da farsi un’idea globale del significato, a partire dalla dimensione pragmatica e situazionale e poi tentare la ricostruzione;

  • paragrafi di un testo dati in ordine casuale: lo studente deve scorrere globalmente tutti i paragrafi per cogliere lo sviluppo pragmatico e poi cercare indizi linguistici per riordinare il tutto;

  • vignette di un fumetto ritagliate e date in ordine casuale: la ricostruzione richiede un’analisi situazionale e pragmatica prima ancora che linguistica.

Inclusione vs esclusione, attività di

Sono due attività che sviluppano la riflessione sulla lingua.

L’inclusione parte da un insieme di elementi dati alla rinfusa in gruppi caratterizzati da un tratto particolare, che gli studenti devono individuare creando dei sottoinsiemi; la realizzazione è più facile della descrizione: si pensi a una dozzina di nomi, aggettivi e verbi scritti alla rinfusa sulla lavagna: si possono creare solo tre insiemi che permettono di introdurre tre parti del discorso, etichettandole solo dopo averle scoperte. L’inclusione può lavorare su qualunque grammatica della competenza comunicativa.

Nell’esclusione (nota anche come odd man out) gli studenti devono individuare un elemento estraneo (per forma, significato, registro, ecc.) in un gruppo di parole, espressioni, nozioni, ecc.: ad esempio, un singolare all’interno di un insieme di nomi plurali. A livello più complesso, si può presentare una serie di lettere, testi letterari, ecc. correlati tra loro, tra i quali ne compare uno estraneo.

Inclusiva, (glotto)didattica

La parentesi che enuclea “glotto” nel titoletto precisa che si tratta di una prospettiva pedagogica generale, non di una prospettiva specificatamente edulinguistica. Si tratta di un insegnamento che deve mirare ad includere nel gruppo gli studenti con bisogni socio-culturali, psicologici, fisici, relazionali particolari, gli studenti di altra madrelingua, quelli con disturbi dell’apprendimento o del linguaggio.

È una prospettiva in via di progressiva definizione, che sta trasformandosi da istanza psico-pedagogica e sociale a una proposta che orienta le scelte metodologiche oppure che, nei casi meglio definiti, offre soluzioni mirate a gruppi come i dislessici, i sordi, i ciechi, gli stranieri. Tuttavia, l’istanza inclusiva è ancora senza risposta nei segmenti del curricolo scolastico e nelle certificazioni, in cui la performance diventa l’oggetto primario della valutazione e l’attenzione alle caratteristiche individuali manca o è molta ridotta.

Induttivo vs deduttivo, percorso

Una delle dicotomie fondamentali del dibattito psico-pedagogico di questo secolo, che ha visto il progressivo abbandono di metodi e metodologie deduttivi (come quello grammatico-traduttivo, ad esempio) a favore di approcci induttivi.

Nella prassi glottodidattica questo passaggio si è evidenziato nel passaggio dall’insegnamento esplicito della grammatica alla riflessione sulla lingua, dall’uso di schemi compiuti a quello di schemi aperti.

Inferenziale vs referenziale, comprensione

Si tratta di due processi per individuare il significato in un testo, di una frase, di una parola: se il significato è esplicitamente espresso dal testo il meccanismo attivato è quello referenziale, se invece è necessario andare oltre il testo e scoprire presupposizioni o implicazioni ci troviamo di fronte a inferenza. Ad esempio, l’enunciato “Giovanna è sorella di Mario” ha un significato referenziale di parentela; ma si possono inferire anche altre informazioni, ad esempio che hanno i genitori in comune, che divideranno l’eredità, che i loro figli saranno cugini, ecc.

Questa dicotomia è fondamentale in glottodidattica per le attività di comprensione: infatti l’ordine delle domande o le scelte multiple che guidano/verificano la comprensione deve muovere dalla comprensione referenziale a quella inferenziale.

Informare vs comunicare

Nella lingua comune questi due verbi vengono spesso usati come sinonimi o quasi, in pragmalinguistica ed in glottodidattica sono totalmente diversi: l’informazione è involontaria (ad esempio, chi suda o trema o arrossisce informa, pur non volendolo, sul proprio stato di stress emotivo), mentre la comunicazione è volontaria, si realizza attraverso atti di discorso intenzionali e finalizzati ad un dato esito.

Information gap

È una nozione essenziale per l’approccio comunicativo: è infatti proprio l’information gap, un vuoto di informazione tra gli studenti che devono colmare che consente di distinguere tra esercizi puramente scolastici e attività realmente comunicative.

Input vs Intake

Input quanto viene offerto e reso comprensibile all’allievo, intake ha due accezioni: indica (a) quella parte dell’input che si presuppone che l’allievo debba acquisire all’interno dell’input, (b) la parte effettivamente acquisita. Tradizionalmente, soprattutto nell’insegnamento delle lingue a bambini a principianti, si tende a far coincidere input e intake, mentre oggi si ricorre sistematicamente a un input molto maggiore dell’intake atteso.

Intelligenze multiple, teoria delle

Gardner ha individuato 7 (nelle versioni recenti 9) tipi di intelligenza che nel loro insieme, pur con gradazioni e ruoli diversificati da persona a persona, ne costituiscono l’intelligenza complessiva, il suo modo di intus legere, di leggere ‘dentro’ la realtà e gli input che da questa gli arrivano. È quindi una nozione della psicologia cognitiva, ma ha un ruolo anche nell’educazione linguistica: da un lato, è un fattore che, insieme a molti altri, contribuisce a quella che genericamente viene detta attitudine alle lingue; dall’altro lato, più operativo, richiede che le attività didattiche che costituiscono le varie fasi di un’unità d’apprendimento non privilegino o non penalizzino alcuni tipi di intelligenza, che significa privilegiare o penalizzare gli studenti che maggiormente ad essi si affidano.

Le dicotomie che interessano nell’insegnamento linguistico sono soprattutto quella tra intelligenza logico-matematica (che include anche la capacità di riflessione grammaticale e privilegia la denotazione lessicale) e intelligenza linguistica (che è molto attenta alle sfumature della lingua, alla connotazione lessicale), e quella inclusa nell’intelligenza interpersonale, che in un approccio comunicativo privilegia le personalità cooperative ed estroverse rispetto a quelle individualiste ed introverse. Di conseguenza, l’autore di manuali e l’insegnante devono garantire che nel pacchetto di attività ce ne siano di un tipo e del suo opposto, per non penalizzare un gruppo di studenti e privilegiarne un altro sulla base della loro integrazione dei vari tipi di intelligenza.

Intercomprensione

Fenomeno che può realizzarsi tra lingue che appartengono alla stessa famiglia, ad esempio quella romanza: anche senza uno studio formale alle spalle, una persona comprende testi scritti in lingue affini e, se si interloquisce con attenzione, anche testi orali.

L’intercomprensione è stata studiata approfonditamente negli ultimi decenni e è stata molto sostenuta dall’Unione Europea, dove la maggioranza delle lingue appartiene a tre grandi famiglie (germaniche, romanze, slave).

Interculturale, competenza

Quando due parlanti appartengono a culture diverse (e in alcuni casi anche hanno la stessa madrelingua, ad esempio americani e britannici), la competenza linguistica nella lingua usata nell’evento comunicativo non è sufficiente a garantire la comprensione corretta da parte dell’interlocutore, sia perché ciascuno ha propri softwares of the mind di cui non è consapevole, sia perché alcune grammatiche (ad esempio quelle extralinguistiche) vengono percepite come universali mentre sono legate alla cultura di appartenenza. Una mappa dei possibili punti critici e data dall’espansione del modello di competenza comunicativa: ad esempio, nella competenza linguistica, si possono avere differenze

  • nel tono di voce: gli inglesi pensano che italiani e greci passino la loro vita a gridare e litigare;

  • nella morfosintassi: uso delle forme di cortesia, di comparativi e superlativi, della negazione diretta, dell’imperativo diretto;

  • nella testualità: testi anglosassoni costruiti con piccoli segmenti (coordinazione, paratassi), vs testi italiani basati sulla subordinazione o ipotassi, vs testi orientali costruiti a spirale che si avvicinano lentamente al punto focale;

  • connotazioni lessicali, appellativi;

Le culture si evolvono quotidianamente, sono variabili tra regioni, tra strati sociali, tra gruppi di età, per cui si deve procedere necessariamente tra sociotipi e, in parte, stereotipi quando si descrivono comparativamente i punti critici della comunicazione tra due culture. Proprio per questo non si può insegnare la comunicazione interculturale, si può rendere consapevoli dei rischi di comprensione errata e si può insegnare ad osservare comparativamente le differenze, realizzando un prontuario, una “grammatica interculturale” autogestita ed in progress.

Interferenza

È il risultato del transfer esercitato dalla lingua materna (e dalle altre lingue già acquisite) sull’interlingua (cioè il sistema provvisorio, in costruzione) della lingua che si sta studiando. Tradizionalmente si considera solo il transfer negativo, per cui i sistemi linguistici già noti provocano errori nella lingua che si sta acquisendo.

L’interferenza della lingua seconda (quella parlata nell’ambiente) sulla madrelingua di un immigrato, che non si rende conto di star sovrapponendo tratti della L2 sulla sua L1, si chiama attrito.

Interlingua

L’acquisizione di una lingua non nativa è un continuum di sistemi linguistici provvisori, personali, parziali che si creano nella mente di chi apprende una lingua. Si tratta di competenze caratterizzate dall’interferenza della lingua materna, che tuttavia si riduce progressivamente. La linguistica acquisizionale, che studia le sequenze di acquisizione di ogni lingua, distingue alcuni stadi convenzionali dell’interlingua (o ‘varietà d’apprendimento’, come li chiamano alcuni studiosi) iniziale: pre-basica, con forte orientamento verso la pragmatica; basica, in cui il verbo assume un ruolo centrale, anche se non sempre è flesso; post-basica, caratterizzato dalla progressiva padronanza della morfologia.

Una seconda accezione di interlingua, in rapida obsolescenza, si riferisce alle lingue di mediazione, come il latino senza flessione proposto a fine Ottocento da Peano o come l’esperanto.

Interpersonale, funzione

Nel modello di Halliday questa funzione indica l’uso della lingua finalizzato allo stabilire, mantenere o interrompere un rapporto tra due persone, quindi include la funzione conativa o appellativa di Jakobson. In un sillabo di natura pragmatica vanno inclusi atti comunicativi quali ‘salutare’, ‘congedarsi’, ‘scusarsi’, ecc., in cui la competenza sociolinguistica e quella (inter)culturale giocano un ruolo primario.

IPA, International Phonetic Alphabet

L’International Phonetic Alphabet è costituito da una serie di grafemi usati per indicare la pronuncia dei fonemi di tutte le lingue. In glottodidattica si è a lungo dibattuto se fosse il caso di insegnare l’IPA agli studenti (soprattutto di inglese); dagli anni Novanta la presenza dell’IPA nei manuali si è fatta via via più rara ed è stata spostata ai livelli intermedi o avanzati, mentre pare scomparsa dal novero delle tecniche didattiche la trascrizione in IPA di frasi (o viceversa).

Iperapprendimento

È un principio fondamentale dell’approccio strutturalistico: secondo Bloomfield, l’apprendimento linguistico è overlearning, risulta cioè dalla ripetizione sovrabbondante dello schema “stimolo-risposta-conferma”. In versioni meno esplicite ed estreme questo principio sta anche alla base dell’approccio formalistico, con le sue sequenze di frasi da tradurre.

Istruzione vs educazione

L’educazione, che costituisce lo specifico della pedagogia, si occupa della definizione delle mete educative, mentre l’istruzione, che costituisce lo specifico della metodologia didattica, si occupa della definizione degli obiettivi attraverso i quali realizzare il processo educativo.

In glottodidattica il livello educativo si traduce nella definizione di approcci e quello istruttivo in metodi.

Per effetto della ricerca anglofona sta entrando anche in italiano un terzo termine, addestramento, che spesso viene lasciato in inglese, training, soprattutto in espressioni come teacher training o in-service training (INSET), con cui ci si riferisce alla formazione iniziale oppure continua dei docenti.

L

L1, L2, LE, LS, LC, LMI, LF

Sigle utilizzate per indicare i diversi contesti dell’educazione linguistica:

  • L1, lingua materna: spesso indica anche la lingua nazionale o la lingua della scuola;

  • L2, lingua seconda: non la seconda lingua in ordine di acquisizione, ma una lingua diversa dalla L1 parlata nell’ambiente in cui si vive (ad esempio l’italiano è L2 dei migranti e degli studenti Erasmus in Italia);

  • LE, lingua etnica: quella della famiglia e della comunità di riferimento dei migranti o dei loro discendenti (ad esempio l’argentino per i discendenti degli emigranti italiani);

  • LS è la lingua straniera studiata in un contesto dove non è normalmente usata, ad esempio il francese studiato in Italia; spesso viene usata L2 come sinonimo di LS;

  • LC, lingua classica: nel sistema italiano, lo sono il latino ed il greco;

  • LMI indica la lingua mezzo di istruzione o lingua dello studio, ad esempio l’italiano nel sistema scolastico italiano, tranne nelle classi in cui l’inglese è obbligatorio per lo studio di una disciplina (CLIL);

  • LF è una lingua franca, oggi l’inglese della globalizzazione, molto semplificato e tollerante di imperfezioni formali.

Language Acquisition Device, LAD

LAD (Language Acquisition Device) è il meccanismo di acquisizione linguistica, innato e caratteristico del homo loquens, ipotizzato da Chomsky. Il LAD sarebbe composto di tre meccanismi basilari: la conoscenza degli universali linguistici, la capacità di formulare ipotesi circa le regole di una lingua, il sistema di valutazione dei risultati prodotti dalle ipotesi. Si tratta di tre meccanismi che stanno alla base di un insegnamento induttivo della grammatica. La mappatura del genoma umano, completata nel 2022, non ha individuato una predisposizione genetica al LAD, per cui la corrente cognitivista – che non ha mai accettato l’ipotesi chomskyana – ha ripreso vigore nel proporre una facoltà cognitiva, che si attiva anzitutto nell’acquisizione linguistica, al posto di una facoltà di linguaggio.

Krashen ha ripreso l’ipotesi del LAD nella sua Second Language Acquisition Theory e ha elaborato una serie di ipotesi che spiegano come esso verrebbe attivato e, quindi, come procedere ad un insegnamento delle lingue secondo un approccio “naturale”.

Considerando il meccanismo del LAD alla luce della psicologia evolutiva, Bruner ritiene che esso sia insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, cioè il Language Acquisition Support System, fornito dagli adulti.

Language Acquisition Support System, LASS

Considerando il meccanismo del Language Acquisition Device chomskyano alla luce della psicologia evolutiva, Bruner ritiene che esso sia insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, cioè il Language Acquisition Support System, costituito dall’aiuto che il bambino riceve da parte degli adulti e di altri bambini più grandi. Nell’insegnamento linguistico, il principale ruolo del docente sarebbe quello di gestire il LASS, costituito dalla sua azione didattica e dall’uso che egli fa dei sussidi, dei materiali vari, ecc.

Krashen ha ripreso l’ipotesi del LAD nella sua Second Language Acquisition Theory e l’ha integrata con un’azione LASS da parte dell’insegnante: rendere comprensibile l’input, verificando che esso sia al livello adatto di interlingua (che lui definisce i+1) e che la situazione didattica non inserisca un filtro affettivo.

Lessicale, approccio

Approccio proposto nei primi anni Novanta, l’approccio lessicale – associato al nome di Lewis – muove dalla convinzione che nella comunicazione conti di più aver strumenti per comunicare concetti, significati, piuttosto che per strutturare correttamente parole, frasi, testi. Lewis dava voce a molta ricerca che, pur convinta della strada intrapresa negli anni Sessanta quando si abbandonarono l’approccio formalistico e quello strutturalistico, non era pienamente soddisfatta con la strada segnata dal metodo nozionale-funzionale ai fini di una realizzazione completa dell’approccio comunicativo.

L’approccio lessicale attribuisce un ruolo centrale alla dimensione semantica anziché a quella pragmatica, e propone un uso intensivo di attività di comprensione per arricchire il vocabolario, non solo di parole ma anche di chunks, espressioni composte da più parole; forte è il ruolo attribuito alle mappe lessicali.

Lessicale, competenza

Questa componente fondamentale della competenza comunicativa include

  1. la padronanza di un vocabolario (cioè parole, locuzioni, metafore fossili, collocazioni, ecc.) più o meno ampio e sofisticato in relazione al livello di padronanza di una lingua, vocabolario in cui sono incluse denotazioni e connotazioni,

  2. la capacità di comprendere parole sconosciute o generarne di nuove attraverso i meccanismi di derivazione e alterazione con l’uso di prefissi, infissi e suffissi,

  3. il complesso di regole sociolinguistiche e (inter)culturali e di lessicultura che governano la scelta delle parole a seconda del contesto e che producono la distinzione tra il significato ed il valore di una parola.

Tre indicazioni fondamentali per l’insegnamento linguistico vengono dai meccanismi di memorizzazione del lessico; in estrema sintesi: il lessico non viene memorizzato in elementi separati, ma in reti (detti ‘campi semantici/lessicali’, ‘mappe lessicali’ nella manualistica, ad esempio, le dimensioni, i colori, ecc.), o all’interno di script, cioè di copioni di comportamento nelle varie situazioni (ad esempio ‘al bar’, ‘in un campo di calcio); inoltre, la memorizzazione avviene per sistemi completi (‘grande-piccolo’, ‘bello-brutto’), progressivamente arricchiti dai gradi intermedi.

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, forse come reazione all’eccesso pragmalinguistico delle prime realizzazioni dell’approccio comunicativo, si è notato il progressivo ritorno all’interesse per la dimensione lessicale sia nel perfezionamento della lingua materna, sia nell’acquisizione delle lingue non native, e questo non solo nell’approccio lessicale, ma in tutti i metodi in cui la comprensione globale (essenzialmente lessicale) viene vista come passo iniziale dell’acquisizione.

Lessicultura

Il termine lexiculture, proposto da Galisson, descrive il particolare valore aggiunto a una parola da parte del contesto culturale: esso è compreso solo dai parlanti che si trovano in quel momento a vivere insieme nella cultura di quel popolo: ad esempio, ‘è un virologo da talk show’ indica uno scienziato abile nella divulgazione, che sa farsi comprendere in un talk show, ma nel contesto mutato dalla pandemia del Covid19 ha assunto una connotazione negativa, offensiva, che costituisce il significato lessiculturale di quella frase. La dimensione lessiculturale, che rimanda anche alla differenza tra il significato e il valore di una parola, è un elemento costitutivo della competenza lessicale.

Lezione

Deriva dalla lectio dell’educazione religiosa: un sacerdote legge un testo sacro parcellizzato in brevi frammenti e lo commenta; i fedeli ascoltano in silenzio, compiendo un atto di fede nel fatto che alla fine del corso avranno la visione globale del testo. È il modello operativo tipico dell’approccio formalistico e della didattica di tipo trasmissivo: la grammatica è il testo sacro, l’insegnante ne è l’interprete autorizzato e, lezione dopo lezione, declinazione dopo declinazione, si spera di raggiungere la visione globale della lingua.

Con l’avvento delle metodologie attivistiche e costruttivisti che, che in didattica delle lingue si sono legate ai metodi diretti e all’approccio comunicativo, il formato della lezione è stato sostituito dall’unità di acquisizione, che non focalizza i meccanismi di funzionamento della lingua ma i processi mentali dello studente che permettono di acquisire competenza comunicativa in una lingua.

Un’unità didattica e composta di varie unità d’acquisizione, che spesso nella microlingua scolastica vengono dette lezioni.

Lingua classica, LC

Nel sistema scolastico italiano si tratta del greco e del latino (che in altri stati sono incluse nelle lingue straniere). A differenza delle lingue moderne, dove la competenza include sia le abilità orali sia quelle scritte, nelle lingue classiche l’abilità di comprensione scritta è l’unica che viene sviluppata (anche se si scrive in lingua classica, si tratta di mere attività esercitative, non di uso comunicativo della lingua scritta).

Lingua dello studio, LMI

Chiamata anche Lingua come Mezzo di Istruzione, calcato su Language as a Medium of Instruction, è la lingua usata nella scuola. Nella scuola italiana, tranne in pochi casi di aree con bilinguismo tutelato, la lingua dello studio è l’italiano, tranne nelle situazioni in cui si effettuano percorsi CLIL, in cui la LMI è di solito l’inglese. Ci sono comunque scuole bilingui in cui si usano due LMI, e molti corsi universitari in inglese, ma in questo caso si parla di lingua per scopi accademici.

Tutti gli insegnanti dovrebbero interessarsi della microlingua disciplinare, ma ciò non avviene e quindi quando ci parla di lingua dello studio ci si riferisce essenzialmente all’italiano come lingua seconda per studenti migranti, con tutt’una serie di procedure di semplificazione linguistica e di riduzione del carico cognitivo per singola frase.

Lingua etnica, LE

È la lingua d’origine della famiglia di figli o nipoti di immigrati, che spesso funge per i primi mesi di vita come lingua materna, L1, dei bambini, alla quale si affianca rapidamente l’italiano lingua nazionale usato nei mass media, nella vita sociale, nella scuola dell’infanzia (in questo caso la lingua nazionale si comporta come lingua seconda, L2). L’iniziale lingua materna alloglotta diventa quindi una componente di un bilinguismo l’italiano lingua nazionale e poi lingua dello studio raggiunge livelli di completezza native like, pari a quello dei madrelingua; contemporaneamente la lingua etnica, usata solo in ambito familiare, obsoleta e povera rispetto alla stessa lingua osservata in film, in internet, ecc. perde prestigio e in alcuni casi viene rifiutata, rimossa.

Molti Stati a forte componente migratoria organizzano corsi di mantenimento (che vuol dire anche ampliamento e aggiornamento) della lingua etnica.

Lingua franca

Termine medievale che indica una lingua usata per consentire gli scambi internazionali. Il latino semivolgare nel medioevo e l’inglese oggi sono due esempi di lingua franca. Nella lingua franca il lessico tende ad escludere i sinonimi, privilegiando la denotazione rispetto alla connotazione; la morfologia è semplificata soprattutto nelle irregolarità, mentre la sintassi del periodo privilegia la coordinazione rispetto alla subordinazione. Per evitare incomprensioni le LF sono per quanto possibili deculturalizzate; soprattutto non si richiede una buona padronanza fonetica. La lingua franca rimane comunque una lingua ben più strutturata del pidgin.

Lingua materna, L1

Ci sono almeno varie accezioni:

  • la prima lingua acquisita da una persona, quella del suo pensiero; in contesti familiari e sociali bilingui (non è sufficiente una delle due condizioni) si possono avere due L1 anche se raramente in perfetto equilibrio;

  • la lingua nazionale che si suppone L1 della maggioranza dei cittadini; nei testi edulinguistici e pedagogici in italiano quando si dice L1 si intende l’italiano, pur consapevoli che in alcune aree l’italiano è lingua seconda (che non è la seconda lingua appresa nella storia personale di un individuo); in quanto lingua nazionale è la lingua dello studio del sistema scolastico;

  • parlando di migranti si usa ‘lingua materna’ sia per indicare i migranti di prima generazione, che hanno effettivamente acquisito la lingua d’origine come L1, sia i loro figli, per i quali quella lingua, parlata solo in famiglia o nella comunità di migranti, è in realtà lingua etnica.

Lingua per scopi accademici

Espressione calcata su English for Academic Purposes, indica la lingua di tesine e tesi, relazioni, schede, ecc., all’università. Mentre lingua dello studio o LMI, la lingua usata a scuola, non è oggetto di insegnamento se non occasionale, in molte università la lingua per scopi accademici è oggetto di insegnamento per studenti di madrelingua italiana che devono padroneggiare questa varietà, e per studenti stranieri in corsi italiani. Più rari sono i corsi di English for Academic Purposes nelle università italiane, per gli studenti dei corsi tenuti in inglese, che devono preparare papers e altri testi accademici in inglese.

Lingua seconda, L2

È la lingua diversa da quella materna parlata nel contesto sociale dove vive una persona alloglotta. L’italiano è la L2 di tutti gli stranieri – migranti, studenti Erasmus, manager internazionali, sportivi, ecc. – che vivono in Italia e, in particolare visto l’ambito in cui ci muoviamo, di tutti coloro che studiano l’italiano in Italia, in immersione totale, in mezzo a stimoli linguistici privi di graduazione e non finalizzati all’apprendimento ma solo alla comunicazione (in questo, è totalmente diversa dalla lingua straniera, ad esempio l’italiano studiato in paesi dove non è parlato). Nella L2 alcune persone possono raggiungere una competenza native like, quasi pari a quella di una parlante nativo.

Lingua straniera, LS

A differenza della lingua seconda, la LS non è parlata nell’ambiente in cui viene studiata: quindi l’immersione è limitata a poche ore di lezione, spesso condotte usando l’italiano come lingua dello studio, gli input linguistici sono selezionali e graduati, e se si usano materiali autentici le attività proposte rispettano il livello di padronanza dello studente.

Lingua vs linguaggio

Un linguaggio è un insieme di segni e di regole di combinazione tra segni: c’è il linguaggio dei fiori, la segnaletica stradale, ecc. La lingua è il linguaggio verbale: quello i cui signifiants sono parole.

Una caratteristica propria della lingua, che la identifica rispetto agli altri linguaggi, è la capacità metalinguistica riflessiva, cioè la possibilità di usare la lingua per parlare della lingua stessa.

Linguaggio, scienze del

Ambito scientifico in parte teorico, mirato alla conoscenza, in parte operativo, mirato alla creazione di competenze o all’uso della lingua.

In generale, la natura della lingua e il suo funzionamento come codice sono oggetto della linguistica generale, etichetta che ha sostituito il più classico glottologia.

Al suo interno si individuano gli studi di fonetica (la realizzazione dei suono), fonologia (il ruolo distintivo di alcuni suoni in una lingua, i fonemi), morfologia (la forma della lingua), sintassi (la combinazione tra parole e frasi), lessicologia (la natura e le caratteristiche del lessico di una lingua), lessicografia (la realizzazione di corpora lessicali, di dizionari).

La linguistica può essere diacronica (l’evoluzione delle lingue), comparativa tra due o più lingue, tipologica (studia i tipi linguistici, ad esempio lingue agglutinanti, isolanti, flessive ecc.; oppure i sei tipi di lingua possibile sulla base della sequenza tra soggetto, verbo e oggetto).

Ci sono poi alcune scienze diadiche, come l’antropolinguistica e l’etnolinguistica (studiano il ruolo della lingua nella creazione, conservazione ed evoluzione delle comunità culturali ed etniche); la sociolinguistica (studia la lingua in uso nei contesti sociali, le varietà del linguaggio, le situazioni di plurilinguismo – queste ultime spesso ascritte alla contact linguistics, etichetta poco usata in italiano come linguistica del contatto); la neurolinguistica; la psicolinguistica, di cui secondo alcuni approcci fa parte la linguistica acquisizionale (studia le sequenze di acquisizione di una lingua, che progressivamente arricchiscono l’interlingua); la pragmalinguistica (che studia la realizzazione di scopi sociali attraverso la lingua, gli atti comunicativi e le mosse comunicative, e che si incrocia con la sociolinguistica, in particolare con i diversi registri, quando studia come gestire la forza pragmatica di un enunciato, ad esempio “esci di qui!”, “potresti uscire?”, “credo che sarebbe meglio che tu uscissi”); la linguistica computazionale e la parallela linguistica dei corpora (non solo lessicografici, già visti sopra).

L’ambito scientifico che studia l’insegnamento linguistico è la linguistica educativa, o edulinguistica, tradizionalmente detta glottodidattica (per simmetria con glottologia: era una coppia in cui la dimensione teorica e operativa emergevano chiaramente dalle denominazioni). Tradizionalmente l’edulinguistica rientrava nella linguistica applicata, voce che oggi è usata più che altro per indicare lo studio del ruolo e della funzione della lingua in alcuni contesti extralinguistici (traduttologia, bisogni linguistici specifici, disturbi del linguaggio, terminologia merceologica ecc.).

Linguaggio settoriale/speciali(stico)/per fini speciali

Sono denominazioni alternative, con connotazioni e focus diversi, della varietà che qui chiamiamo microlingua scientifico-professionale, nel mondo, e disciplinare, nella scuola.

Linguistica, competenza

Elemento chiave della competenza comunicativa di cui costituisce la dimensione specificamente linguistica, includendo le competenze fonologica, grafemica, morfosintattica, testuale e lessicale.

Linguistica educativa, edulinguistica

Fa parte delle scienze del linguaggio e studia la natura, i fini, gli strumenti (e, secondo alcuni, le politiche) dell’educazione linguistica. Il termine veine dall’inglese educational linguistica, ma si usa anche ‘glottodidattica’, che viene dal titolo di una rivista fondata nel 1949 e fa coppia con ‘glottologia’. Alcune riviste glottodidattiche fondate a metà Novecento usano ancora sia in italiano sia in altre lingue ‘linguistica applicata’, denominazione usata fino agli anni Sessanta, e oggi riservata alle applicazioni operative della linguistica teorica.

La linguistica non è l’unica scienza di riferimento della linguistica educativa, che è in realtà una scienza transdisciplinare che interagisce anche con le scienze della persona (neuroscienze e neurolinguistica; psicologia, psicolinguistica, psicodidattica) e con quelle dell’educazione (pedagogia, metodologia didattica); nell’insegnamento delle lingue non native, tra i riferimenti ci sono anche le scienze della cultura e della società.

L’edulinguistica organizza la conoscenza che riceve da queste scienze (cui dà feedback e pone nuove domande di ricerca, in un rapporto bidirezionale) in due livelli, uno teorico, mirato alla conoscenza e uno operativo, mirato alla definizione di obiettivi e strumenti (approccio e metodo).

Livello soglia

Il Progetto Lingue Moderne/vive del Consiglio d’Europa, lanciato nel 1967, mirava a creare un “passaporto linguistico" che attestasse il possesso del ‘livello soglia’ di una lingua, tale da consentire non solo di sopravvivere ma anche di socializzare nel paese straniero. Nel 1975 venne realizzato il primo livello soglia, The Threshold Level, organizzato sulla base di una lista di atti comunicativi, detti anche ‘funzioni’, e di nozioni culturali e grammaticali.

Sono stati realizzati i livelli soglia delle principali lingue europee (quello per l’italiano è del 1982), ma in ogni versione l’impianto concettuale e quello realizzativo sono differenti; l’uniformazione si è avuta quando l’erede del PLM, il Quadro Comune Europeo di Riferimento ha prodotto una griglia di 6 livelli di competenza linguistica identificando il livello B1 come livello soglia: “comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel Paese di cui parla la lingua. È in grado di produrre un testo semplice relativo ad argomenti che siano familiari o di interesse personale. È in grado di esprimere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze e ambizioni, e anche di spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti.”

Ludica, metodologia

Tradizionalmente legato all’insegnamento precoce delle lingue, oggi un impianto ludico viene proposto a tutti i livelli di età e di competenza. La ludicità non prevede necessariamente l’uso di giochi didattici (games, in inglese), ma si realizza attraverso un impianto giocoso (play), in cui l’ansia viene abbattuta perché il gioco è fine a se stesso (si gioca per il piacere di giocare) ed ha la sua fine in se stesso (finita la partita, non ci sono conseguenze, se non ‘giocose’), focalizza l’attenzione sul giocare anziché sul fatto di star eseguendo esercizi.

Ci sono giochi su schema (parole crociate costruite su un unico campo lessicale o grammaticale, ad esempio), ci sono giochi liberi (mettersi in fila a seconda della fata di nascita: esercizio di fissazione delle date), ci sono giochi di ruolo (dalla drammatizzazione agli scenari).

Oggi sta diffondendosi sempre più la gamification, basata sul fatto che il computer può integrare tutti i tipi di gioco visti sopra utilizzando formati estremamente stimolanti, adeguando automaticamente il livello di difficoltà alla media delle reazioni dello studente, complessi nella struttura in cui si possono integrare la lingua orale e scritta con le immagini, si realizzano forme di interazione uomo-macchina, e quest’ultima può intervenire con aiuti e correzioni.

M

MALL, Mobile Assisted Language Learning

Acronimo che sta per Mobile Assisted Language Learning, il settore delle tecnologie glottodidattiche che riguarda l’uso di cellulari e tablet.

Mappa lessicale

È uno dei supporti più efficaci per al costruzione della competenza lessicale e per riflettere sulla denotazione e connotazione delle parole incluse nella mappa. La forma più usata è quella del diagramma a ragno, al cui centro c’è la nozione semantica (ad esempio: mezzi di trasporto) e sulle “zampe” alcune categorie come in aria, su strada, su rotaia, in acqua, che a loro volta generano nuove “zampe” (in aria → aereo, dirigibile, mongolfiera, parapendio, elicottero, caccia; aereo: a elica, jet, passeggeri, cargo, ecc.).

Alcune mappe contengono anche marche morfologiche (i colori sono tutti maschili, come i numeri; le città sono tutte femminili, come le lettere).

MatchingAccoppiamento.

Mediazione, mediatore linguistico e culturale

La mediazione è un’attività propria dell’accoglienza (scolastica e non) di stranieri alloglotti: il mediatore non traduce né dalla né alla lingua di istruzione, riformula i messaggi con attenzione anche alla dimensione interculturale, colmando le lacune socio-pragmatiche oltre che linguistiche.

Nel fare questo lavoro, spesso il mediatore “insegna”, trasmette elementi linguistici e culturali, ma non è un insegnante in quanto il suo scopo non è costruire competenza comunicativa ma mediare operativamente tra il contesto d’arrivo e una persona immigrata.

La mediazione facilita l’inserimento, ma il facilitatore linguistico ha un altro profilo professionale: a differenza del mediatore, non deve conoscere la lingua e la cultura dello studente neo arrivato, e si occupa prevalentemente della lingua, soprattutto dell’alfabetizzazione.

Metalinguistica, competenza e funzione

Nel modello di Jakobson questa funzione si realizza quando la lingua viene utilizzata per descrivere il funzionamento della lingua stessa. La competenza metalinguistica è la capacità di descrivere i meccanismi di funzionamento della lingua. L’attività di riflessione sulla lingua, di analisi grammaticale, logica, testuale, sono finalizzati allo sviluppo della competenza metalinguistica, che rimanda al usage di Widdowson e ai movimento di Language awareness e di Modal focusing che accentuano il ruolo della descrizione linguistica.

La competenza metalinguistica rientra anche nella competenza comunicativa e si realizza nei sillabi con atti comunicativi quali chiedere e dire come si pronuncia una parola o come si chiama un oggetto in lingua straniera, chiedere di ripetere, chiedere una spiegazione lessicale.

Mete dell’educazione linguistica

Le “mete" sono le finalità ultime dell’educazione, mentre gli “obiettivi” lo sono dell’istruzione (educazione vs istruzione). Le mete rappresentano dei processi che si realizzano nel lungo periodo e non sono verificabili in maniera diretta.

L’educazione linguistica deve garantire una competenza comunicativa sufficiente a perseguire il raggiungimento delle tre mete educative classiche: la culturizzazione, cioè l’adesione per quanto critica e innovativa a una cultura, condizione necessaria per la socializzazione, che a sua volta è necessaria per l’autopromozione.

Se non c’è consapevolezza di queste mete generali, l’insegnamento linguistico non rientra più nell’educazione linguistica ma è mero addestramento operativo.

Metodo vs approccio

L’approccio costituisce la filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica: riguarda la natura della lingua e del suo uso, l’idea di acquisizione e apprendimento linguistico, il ruolo dell’elemento culturale nella competenza comunicativa in una lingua, la natura e il ruolo dello studente e del docente.

L’approccio valuta e seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento, e li riorganizza secondo i parametri propri della glottodidattica, individuando le mete e gli obiettivi dell’insegnamento linguistico.

Un approccio genera uno o più metodi per tradurre i principi generali vengono in struttura didattica.

Il metodo guida la definizione dei sillabi, le procedure di organizzazione del materiale didattico (unità d’acquisizione, unità didattiche, moduli), le procedure di valutazione, il ruolo delle tecnologie didattiche ed altri elementi dell’organizzazione dell’insegnamento.

Nella storia della linguistica educativa alcuni approcci sono stati definiti “metodi”, come il Metodo diretto, il Metodo naturale, il Reading method, la Suggetopedia.

Metodologia

Termine che assume significati spesso diversi a seconda delle lingue in cui è usato. Indica un insieme di attività e tecniche didattiche di natura simile usate per uno scopo preciso e circoscritto all’interno del percorso di insegnamento di una lingua. L’elemento caratterizzante può riguardare il modo (metodologia ludica), lo scopo (metodologie orientate all’azione, task-based), la relazione in classe (metodologie a mediazione sociale, peer tutoring), il tipo di input (uso di canzoni, film, pubblicità, teatro), l’oggetto (metodologia CLIL, che insegna insieme lingua e contenuti non linguistici), e così via.

Le metodologie riguardano la dimensione operativa e non vanno confuse con il metodo che riguarda la dimensione progettuale (costruzione del sillabo, scelta di modelli operativi, ruolo delle tecnologie didattiche, ecc.).

Metodologie a mediazione sociale

Metodologie di insegnamento generale, non solo linguistico, che tuttavia risultano molto efficaci nel nostro settore, sia per tutti gli studenti, sia in percorso di sostegno per studenti con bisogni educativi speciali e difficoltà di apprendimento.

Il principio di fondo è quello della collaborazione tra più persone, coinvolte nella soluzione di un problema, che può andare dalla comprensione e rielaborazione di un testo, dalla produzione di un testo o di un dossier, a un ‘compito di realtà’, una simulazione comunicativa complessa, e così via.

I metodologi evidenziano la differenza tra un insegnamento collaborativo, in cui ciascuno porta il risultato del suo lavoro ma senza interdipendenza con i compagni durante l’elaborazione, e insegnamento cooperativo in cui tutti i membri del gruppo condividono l’intero percorso, pur con ruoli diversi, per cui il risultato finale è frutto del lavoro di ogni membro del gruppo.

Per compiti più semplici, spesso legati alla riflessione e all’esercitazione su un elemento grammaticale, lessicale o pragmatico, una metodologia a mediazione sociale spesso usata è il tutorato tra pari.

Microlingua scientifico-professionale e disciplinare

Questo termine definisce la varietà di lingua che gli specialisti di un dato settore scientifico o professionale usano con un duplice scopo:

  1. ottenere il massimo di chiarezza (ad esempio, sostituendo la parola con il termine; riducendo l’uso dei pronomi e della subordinazione, che possono creare ambiguità; preferendo le costruzioni passive, che mettono prima il tema, ciò di cui si parla, e poi il rema, ciò che si predica);

  2. permettere a chi la usa appropriatamente di essere identificato come membro del gruppo scientifico-professionale che condivide una microlingua e quindi uno stile (ad esempio, si veda l’accentuazione dell’impersonale, la preferenza per il termine specifico anche laddove la parola comune potrebbe bastare, una particolare strutturazione del testo in paragrafi concettuali, e così via).

Anziché denominazioni come linguaggio settoriale, specialistico, per fini speciali, che focalizzano il contesto d’uso o gli scopi pragmatici, la denominazione microlingua accentua la dimensione linguistica, rinvia al fatto che ci sono scelte stilistiche che coinvolgono tutte le grammatiche che costituiscono la competenza comunicativa.

Termine usato in fisica per indicare l’attenzione focalizzata di volta in volta su particolare aspetti di un fenomeno. Nell’insegnamento linguistico questa procedura, che rientra nel più ampio movimento focus on form, focalizza alcuni elementi di un input ancor prima di procedere all’esplorazione globale dello stesso, facendo coincidere le fasi si globalità e di analisi del processo di percezione e, quindi, di comprensione.

Modulo

Nella programmazione didattica dell’educazione linguistica di solito si utilizzano solo due modelli, uno mirato sull’apprendente, l’Unità di Apprendimento, e uno mirato sull’insegnante, l’Unità Didattica; questa scelta è dovuta al fatto che in discipline sequenziali o incrementali (come le lingue, la matematica, la musica, ecc.) il processo acquisizionale è un continuum, a differenza ad esempio delle discipline storiche dove si può studiare la storia moderna senza conoscere quella antica: queste ultime discipline sono spesso suddivise in moduli, blocchi autosufficienti di contenuto omogeneo, conclusi in sé e certificabili.

La logica dei moduli è stata applicata alla competenza linguistica, e ha preso la forma dei 6 livelli del Quadro Comune Europeo di Riferimento; sono “moduli” indispensabili nella società contemporanea, ma sono in parte arbitrari proprio per la natura sequenziale dell’acquisizione linguistica.

Monitor (Krashen)

Nella terminologia della Second Language Acquisition Theory di Krashen, la funzione ‘monitor’ è il controllo che l’apprendimento razionale esercita sulla lingua prodotta dalla competenza acquisita (cfr. acquisizione vs apprendimento) oppure quando si legge un testo in lingua straniera e si realizzano riflessioni metalinguistiche.

Morfosintassi, competenza morfosintattica

In linguistica si distinguono “morfologia”, lo studio delle forme grammaticali (i “morfemi” che, aggiunti ai “lessemi” formano le singole parole: desinenze verbali, numero, genere, ecc.) e la “sintassi”, cioè la branca della linguistica che studia i meccanismi di combinazione tra le parole sia in nuclei minimi (i “sintagmi”) sia in proposizioni e frasi.

Nell’insegnamento della lingua materna e in quello tradizionale delle lingue classiche questa distinzione è conservata, mentre per le lingue seconde e straniere si è imposta in questi decenni la nozione di “morfosintassi”, che unifica i due piani almeno fino al livello di studenti B2.

Mossa comunicativa

È l’elemento chiave della competenza strategica, oggi inclusa nella competenza pragmalinguistica.

Il nome deriva dall’analogia tra un evento comunicativo e una partita a scacchi in cui ciascun interlocutore fa delle mosse, che possono portarlo in vantaggio (mosse up) o lo mettono in posizione subalterna (mosse down), posizione in cui si può andare per ragioni strategiche (dare corda all’interlocutore, farlo scoprire), sociali (lasciar vincere il boss, per adularlo), o perché di prende atto della sconfitta.

Sono mosse up attaccare, affermare, ribadire, contraddire, riassumere (usata per fare il punto, selezionando solo gli elementi che interessano e lasciando in ombra gli altri) e simili; sono mosse down scusarsi, ritirarsi, aggredire, andare sopra le righe, ecc.

Le mosse comunicative sono universali, ma la loro valutazione up/down varia molto nelle diverse culture: per un arabo scusarsi significa perdere la faccia e il prestigio, mentre per un negoziatore europeo può essere una mossa che disarma l’interlocutore: “mi sono scusato, che altro vuoi? Cambia argomento!”.

La riflessione sulle mosse comunicative e propria del saper dialogare, soprattutto in lingua materna, ma anche nei livelli avanzati di L2 e LS.

Motivazione

Nozione base della psicodidattica: senza motivazione non c’è acquisizione e, spesso, neppure apprendimento.

Nell’educazione linguistica si identificano diversi tipi di motivazione:

  • la motivazione integrativa è propria dello studio della lingua materna e della lingua seconda e rimanda alla volontà di integrarsi in un gruppo;

  • la motivazione strumentale è propria dello studio della lingua franca e, in certo grado, di tutte le lingue straniere;

  • parzialmente nelle lingue straniere e totalmente in quelle etniche e classiche la motivazione è culturale, il desiderio di entrare in contatto con i valori, gli usi, la cultura e la civiltà di un popolo.

Multimedialità vs multimodalità

Sebbene siano spesso confusi, questi due concetti si riferiscono a testi di natura diversa. Un testo multimodale affianca, giustappone testi scritti, orali, visivi, iconici, ecc. mentre un testo multimediale integra le varie modalità creando un testo nuovo, retto dal meccanismo di relais, per cui ogni medium rimanda agli altri per divenire significativo, non semplicemente per fornire esemplificazioni o approfondimenti.

N

Naturale, approccio

Malgrado talvolta si parli di “metodo” naturale, si tratta in realtà di un approccio, cioè di una filosofia glottodidattica il cui assunto è che una lingua seconda o straniera possa essere appresa seguendo lo stesso itinerario che si è percorso per l’acquisizione della lingua materna, partendo dall’oralità e dalla comprensione, e lasciando che la mente elabori la grammatica mano a mano che riesce a processarla, attribuendo alla scuola e all’insegnante una funzione di scelta dell’input e di Language Acquisition Support System.

I primi teorizzatori di questo percorso “naturale” sono edulinguisti a cavallo tra Ottocento e Novecento (Berlitz, Gouin, Viëtor, Jespersen, Palmer, Sweet), ma rientrano in questo ambito molte proposte elaborate nell’ambito della glottodidattica umanistica del secondo Novecento, come la Second Language Acquisition Theory di Krashen, il Silent Way di Gattegno, la Suggestopedia di Lozanov e altri simili.

NBLT

Acronimo che sta per Network-Based Language Teaching e definisce il settore delle tecnologie glottodidattiche che studia l’uso glottodidattico della rete.

Nozionale-funzionale, metodo

Fu una la realizzazione consapevole dell’approccio comunicativo di matrice europea (il metodo situazionale apriva la strada al focus comunicativo, ma era precedente alla formalizzazione degli anni Settanta), a seguito del Progetto Lingue Moderne.

L’oggetto da insegnare non viene più individuato in termini di “regole grammaticali” come nell’approccio formalistico o nella automatizzazione di strutture minime come nell’approccio strutturalistico, ma viene definito negli atti comunicativi (chiamati communicative functions in inglese) e in nozioni semantiche, grammaticali culturali – cioè negli elementi essenzialmente pragmatici che costituiscono i Livelli Soglia. Le abilità orali hanno una netta priorità su quelle scritte, la competenza socio-pragmatica rappresenta il fulcro dell’attenzione.

Negli anni l’impianto nozionale-funzionale, inizialmente realizzato da micro sequenze PPP, Presentation, Pratice, Production, si è innestato sulla tradizione delle unità didattiche utilizzate dal metodo situazionale, e si è evoluto negli attuali metodi eclettici a base pragmatica ma arricchiti dal lavoro su tutte le componenti della competenza comunicativa e dalle metodologie di varia natura che si sono imposte in questi anni.

Nozione

L’uso che si fa di questo termine in glottodidattica rimanda al Progetto Lingue Moderne ed al notional-functional syllabus di Wilkins – che non definisce mai le “nozioni”, ma chiama con questo nome tutte quelle categorie concettuali che non sono functions, atti comunicativi: categorie concettuali vere e proprie (quantità, tempo, spazio, ecc.), categorie grammatico-semantiche (comparazione, interrogazione, negazione, ecc.), grandi categorie lessicali, in qualche modo descrivibili come campi lessicali (i cibi, il vestiario, ecc.), categorie culturali (l’organizzazione della città, della famiglia, ecc.).

O

Obiettivo (didattico)

Il termine, non necessariamente accompagnato all’aggettivo, indica lo scopo di un preciso atto di istruzione, cioè di insegnamento mirato all’acquisizione di un dato elemento.

Gli obiettivi sono elencarti nei sillabi e sono direttamente verificabili con operazioni di verifica, a differenza di quanto avviene per le mete educative.

Oggettuale, competenza

Componente extralinguistica della competenza comunicativa che riguarda le regole d’uso degli oggetti: quelli indossati sul corpo (il vestiario e i gioielli, che Roland Barthes definisce “vestemica”, area che oggi dovrebbe comprendere anche i tatuaggi), gli status symbols, i regali, e gli altri oggetti che non solo funzionali ma comunicano un messaggio.

Anche il linguaggio oggettuale, come gli altri linguaggi, si articola in registri formali e informali ed è governato da precise regole socioculturali (basti pensare, ad esempio, a che cosa si può regalare a chi, a come deve essere presentato e alla sua apertura immediata e sociale o rimandata e individuale).

Olodinamico, modello

Modello psicodidattico di motivazione elaborato da Titone nell’ambito della (glotto)didattica umanistica.

Questo modello descrive l’apprendimento come un processo governato dal ego (per questo il modello è anche noto come “egodinamico”) che, sulla base di un proprio progetto di sé, decide di procedere ad un contatto con una lingua (livello strategico); va a un corso, entra in contatto con una classe e un docente (livello tattico) e se tale contatto conferma la bontà della strategia si mette in movimento nella sua mente una dinamica complessiva che sostiene la motivazione. Più di altri modelli motivazionali, questo privilegia il ruolo della metodologia e dell’insegnante nel tenere viva la motivazione.

Ordine naturale di acquisizione (Krashen)

In questi termini Krashen fa propria, nella Second Language Acquisition Theory, le prime indicazioni di linguistica acquisizionale disponibili negli anni Settanta, secondo cui esiste una sequenza di acquisizione delle strutture che è propria di ogni lingua e che vanno rispettate nella progettazione dei materiali e nell’insegnamento.

Krashen chiama “i” l’intake, cioè l’input che è già stato acquisito, e assume che si possa avere acquisizione solo se il nuovo input è il passo successivo a quanto già appreso nell’ordine naturale di acquisizione: “i+1”; se si insegna la nozione “i+3”, che nell’ordine naturale si colloca 3 passi avanti rispetto a “i”, essa non sarà acquisita stabilmente ma solo appresa (cfr. apprendimento vs acquisizione) e collocata nella memoria a medio termine in attesa che vengano intaken i passi “i+1” e “i+2”; se i due anelli mancanti non saranno forniti, “i+3” sarà perduto.

Alcuni studiosi presentano la formula “i+1” come “interlingua +1”, la sequenza successiva a quelle già incluse nell’interlingua di uno studente in un dato momento.

Una versione simile, nei contenuti se non nelle premesse, è la zona di sviluppo prossimale proposta da Vygotskij: si acquisisce ciò che è nella zona limitrofa a quanto già acquisito.

P

Parafrasare

È un’abilità linguistica di manipolazione di testi, assai rara nella vita reale ma frequente e utile nell’educazione linguistica. Si realizza producendo un testo che ha lo stesso significato e una struttura parallela a quelli di un testo di partenza, da cui si differenzia sul piano lessicale e morfosintattico; inoltre in una parafrasi è escluso il discorso diretto, anche se il testo di partenza è un dialogo.

La parafrasi sviluppa la competenza lessicale in quanto richiede l’uso di sinonimi, di iperonimi, di iponimi, di locuzioni idiomatiche; inoltre essa richiede l’esplicitazione dei riferimenti pronominali, delle metafore, delle metonimie, ecc. Nell’eliminazione del discorso diretto, anche l’aspetto sintattico viene esercitato.

Paralinguistica

È una componente della competenza fonologica che consiste nella capacità di un corretto uso del tono di voce e della velocità di eloquio.

Paratesto

È la serie di informazioni (fotografie, titoli, didascalie, ecc.) che accompagnano un testo scritto o che si possono dedurre dal layout grafico (ad esempio, scoprire se si tratta di un’intervista, di una poesia, di una lettera, ecc.).

Il paratesto è fondamentale per aiutare a definire il contesto e per svolgere attività di anticipazione, quindi per la comprensione.

Parlare

“Parlare” viene usato per indicare due abilità linguistiche, la produzione orale (il monologo) e il dialogo.

Parola chiave

Parola che attiva la strategia di anticipazione necessaria per la comprensione. Nelle attività di comprensione di un testo in lingua straniera o classica oppure in italiano antico è necessario fornire allo studente, nella sua lingua materna o attraverso disegni, mimica, ecc., le parole “chiave”, senza le quali non è possibile comprendere il testo nella sua globalità. Ad esempio, “lupo” e “nano” sono parole chiave di Cappuccetto rosso e di Biancaneve.

Parola vs termine

Le parole, le unità base del lessico, hanno una denotazione e una connotazione culturale o emozionale che le rendono spesso ambigue e imprecise, se non addirittura polisemiche.

I termini invece hanno solo denotazione e non hanno sinonimi, sono monosemiche, e quindi adatte alle microlingue scientifico-professionali e disciplinari.

Performativa, competenza

Termine usato in studi dell’ultima parte del Novecento, ma sempre più raro oggi. Ha due accezioni:

Perifrasi

Capacità di esprimere con una frase il significato di una parola: è un’abilità fondamentale nelle lingue straniere, dove la competenza lessicale è spesso lacunosa. Insegnare a fare perifrasi è possibile soprattutto con l’uso di cruciverba, le cui definizioni sono perifrasi delle parole da inserire; concluso il gioco, si possono esplorare con la classe definizioni alternative a quelle su cui hanno lavorato.

Per imparare a produrre perifrasi, si dà a uno studente il cruciverba senza definizioni e, separatamente, la soluzione nel cruciverba, chiedendogli di scrivere le definizioni sotto lo schema vuoto, da assegnare poi a un compagno per la soluzione.

Periodo critico

Negli anni Sessanta Lenneberg indicò, tra i fondamenti biologici del linguaggio, una caratteristica detta ‘plasticità’ del cervello, che facilita l’acquisizione linguistica e che è particolarmente attiva durante i primi anni della vita, per regredire sensibilmente dopo la pubertà. Su queste basi si sono sostenute molte delle proposte di insegnamento precoce delle lingue straniere e si sono spiegate alcune delle difficoltà dell’insegnamento delle lingue ad adulti.

Oggi questa idea di periodo critico è messa in discussione: la facilità infantile nell’acquisizione linguistica sarebbe legata al fatto che tutti si curano di insegnare la lingua al bambino, e che il bambino è sempre intento ad apprendere, soprattutto se l’apprendimento coincide con il gioco. In altre parole, le potenzialità di apprendimento non verrebbero meno con il passare degli anni, ma sarebbero inutilizzate per il mutato ruolo sociale ed affettivo che si ricopre dopo la pubertà. In questa logica, i ‘periodi critici’ nella vita dunque sarebbero vari, ciascuno diverso e attivabile con procedure diverse.

Personale, funzione

Si realizza questa funzione quando si usa la lingua per comunicare dati personali (quindi in un sillabo vanno inclusi atti comunicativi come dire la propria età, l’indirizzo, la professione) o per descrivere il proprio stato fisico, i sentimenti, i gusti, e così via.

Questa funzione richiede una forte attenzione alla connotazione oltre che alla semplice denotazione: essere tristi è diverso da essere angosciati, malinconici, nostalgici...

Personalità, tratti della

È una nozione propria della psicologia, ma ha un ruolo anche nell’educazione linguistica: da un lato, è un fattore che, insieme allo stile d’apprendimento, ai tratti della personalità, all’atteggiamento autonomo o dipendente, alla combinazione dei diversi tipi di intelligenza, contribuisce a quella che genericamente viene detta attitudine alle lingue; dall’altro lato, più operativo, richiede che alla differenza di personalità sia necessario rispondere con una differenziazione delle attività didattiche.

I tratti della personalità che influenzano maggiormente l’apprendimento si collocano nelle opposizioni tra atteggiamento ottimista o pessimista sulla propria capacità di apprendere, di raggiungere una pronuncia corretta, di parlare in pubblico e così via; tra personalità autonome e dipendenti da una guida; tra caratteri individualisti e cooperativi, differenza fondamentale nella metodologia a mediazione sociale e in quella task-based. Di conseguenza, l’autore di manuali e l’insegnante devono garantire che nel pacchetto di attività che costituiscono le varie fasi di un’unità d’apprendimento ce ne siano di un tipo e del suo opposto, per non penalizzare un gruppo di studenti e privilegiarne un altro sulla base del loro stile di apprendimento.

Pidginizzazione

Una pidgin è una varietà fortemente semplificata di una lingua — tanto semplificata da risultare spesso incomprensibile a un madrelingua. Lo scopo del pidgin è quello di estremizzare le caratteristiche strumentali di una lingua franca, avendo come unico parametro l’efficacia pragmatica.

L’approccio comunicativo ha ripreso il concetto di “pidginizzazione”, soprattutto ai livelli iniziali, dove un certo livello di semplificazione è naturale in quanto l’istanza pragmatica prevale sull’accuratezza formale.

Plusdotato vs eccellente, studente

La plusdotazione è uno di Bisogni Educativi Speciali nella scuola italiana, e definisce studenti particolarmente efficienti nell’acquisizione linguistica. Spesso i due termini sono usati come sinonimi, ma lo studente eccellente ha un livello altissimo in tutte le caratteristiche di uno studente, dalla disponibilità verso i compagni meno bravi all’efficienze nell’apprendimento di tutte le discipline.

Poesia, connotazione del lessico

Malgrado venga usualmente ritenuta una tecnica di fissazione del lessico, la “Poesia" proposta da Mollica negli anni Settanta serve soprattutto per riflettere sulla connotazione.

Gli studenti lavorano in coppie e creare una poesia su un tema dato, usato come titolo, e poi scegliendo due aggettivi per il primo verso, tre verbi per il secondo, per poi aggiungere un terzo verso libero; il quarto verso, che chiude, riprende il sostantivo iniziale o il suo antonimo.

Dopo aver scelto aggettivi, verbi e frase, ogni coppia li condivide con un’altra coppia, e le due proposte devono fondersi, scegliendo i due aggettivi da conservare sui quattro disponibili, e così via. Quando i gruppi hanno concluso, si crea la sintesi alla lavagna: tra tutti gli aggettivi proposti dai gruppi devono restarne due, di tutti i verbi ne rimangono tre; per fare questa selezione si deve discutere sulla connotazione, sulla forza evocativa del lessico e in tal modo si rafforza anche la competenza lessicale lavorando su campi semantici ben precisi, che facilitano la fissazione.

Poetico-immaginativa, funzione

Nel modello di Jakobson questa la funzione poetica indica l’uso della lingua focalizzato sulla qualità formale del messaggio stesso, è la lingua della letteratura, dei giochi di parole, della pubblicità ed è quindi uno degli specifici obiettivi dell’educazione letteraria. Ai fini della progettazione di sillabi per l’educazione linguistica, la funzione poetica può essere associata a quella immaginativa individuata da Halliday, che vi include anche tutto l’uso linguistico per descrivere mondi inesistenti.

In un sillabo di educazione linguistica (no di quella letteraria) vanno inclusi atti comunicativi come iniziare e concludere una favola, ma anche molti elementi della competenza lessicale, come le figure retoriche, le metafore fossili, e così via. Questa funzione richiede una forte attenzione alla connotazione oltre che alla semplice denotazione: essere tristi è diverso da essere angosciati, malinconici, nostalgici...

Poster grammaicale o lessicale

Tabellone appeso alla parete dell’aula usato per sintetizzare aspetti grammaticali (è uno dei cardini della suggestopedia) o come dizionario visivo di solito dedicato a un campo lessicale (vedute a volo d’uccello di città, gli animali da cortile ecc.) usato soprattutto nella didattica delle lingue non native a bambini.

PPP, Presentation, Practice, Production

È il modello operativo delle prime realizzazioni del metodo nozionale-funzionale, prima che l’unità didattica divenisse la struttura portante dei manuali di lingua. È una breve unità didattica composta di tre fasi, presentazione dell’’input, esercitazione sugli obiettivi didattici di quell’attività, passaggio alla produzione linguistica. Il modello PPP differenza dall’unità di apprendimento, altrettanto breve e anch’essa tripartita, perché non si basa su un modello percettivo definito (quello della Gestalt è alla base dell’UdA), e non prevede una fase di sintesi e riflessione consapevole.

Pragmatica, competenza

Componente essenziale della competenza comunicativa, e quindi obiettivo fondamentale dell’approccio comunicativo, questa competenza (detta anche ‘performativa’) è la capacità di perseguire i propri fini attraverso la comunicazione; alcuni autori isolano un elemento della competenza pragmatica, la “competenza relazionale", che si riferisce alla capacità del parlante di relazionarsi con l’interlocutore al fine del perseguimento dei propri fini; una prospettiva che raccorda competenza pragmatica e competenza relazionale è propria della glottodidattica tedesca (e in parte americana) e si identifica con il termine “competenza strategica".

La performance si realizza attraverso scelte strategiche, che riguardano le mosse comunicative (attaccare, rinunciare, mediare, ecc.), e attraverso gli atti comunicativi (salutare, ringraziare, dire il proprio nome, ecc.); entrambe le dimensioni richiedono la scelta del registro appropriato al contesto socio-culturale, cioè la capacità di scegliere un livello di forza pragmatica adeguato alla situazione e ai ruoli dei partecipanti: ad esempio regolare il comportamento altrui con un ordine diretto, usando l’imperativo, o con un suggerimento, un consiglio, che comporta l’uso del condizionale di cortesia.

Nella valutazione e nella certificazione linguistica l’efficacia pragmatica è uno dei parametri più rilevanti.

Precoce, insegnamento

Nozione intuitiva e molto vaga, il cui uso cambia da autore ad autore e a seconda delle tradizioni nazionali. In generale possiamo dire che oggi si tende a definire precoce l’insegnamento delle lingue non native in età prescolare, di solito alla scuola materna se non prima. In tutti i casi, comunque, l’insegnamento precoce rimanda alla nozione di periodo critico.

Procedurale vs dichiarativa, conoscenza

L’enciclopedia, cioè la conoscenza del mondo di una persona, è organizzata nella mente secondo modalità ancora largamente ignote. Una delle ipotesi più accettate è che ci sia un’organizzazione a tre livelli: conoscenze dichiarative, composte di un’unica proposizione rette da un verbo in funzione copulare (“il ghiaccio è freddo”, “il ghiaccio è fatto d’acqua”); conoscenze procedurali, basate sul meccanismo “se... allora...” (“se metti ghiaccio in un whisky, questo si rinfresca ma si annacqua”); fasci di procedure costituiscono le strategie di apprendimento, di interazione ecc.

Nella lingua, la dimensione morfologica è costituita da dichiarazioni (“il plurale di tutto è tutti”), quella sintattico-testuale da procedure (“se il nome è plurale, allora l’aggettivo va accordato, e allora si usa tutti”). Il passaggio da conoscenze a competenze coincide con quello da dichiarazioni a procedure.

Nella teoria edulinguistica, l’approccio è un insieme di dichiarazioni, il metodo un insieme di procedure.

Processabilità, teoria della

È una teoria psicolinguistica elaborata da Pienemann, che studia i processi sequenziali di acquisizione di una lingua, per cui un elemento (di solito grammaticale) ad un certo punto dello sviluppo dell’interlingua provvisoria di una persona diviene “facile” da acquisire, è cioè nella zona di sviluppo prossimale ipotizzata da Vygoskty.

Ne consegue una “teoria dell’insegnabilità”: le sequenze acquisizionali sono obbligate, un passo implica necessariamente alcune conoscenze già acquisite, e tale ordine naturale non può essere alterato.

Processi automatici vs controllati

L’opposizione riguarda i processi e le strategie mentali che mettiamo in atto per la comprensione o la produzione linguistica.

I processi automatici non richiedono attenzione, non sono limitati dalle capacità della memoria a breve termine, sono veloci per cui il livello di consapevolezza è limitato, sono lunghi da acquisire e non possono essere appresi (riprendendo le nozioni di acquisizione vs apprendimento di Krashen).

I processi controllati, che richiedono attenzione e attivano la memoria a breve termine, sono lenti, possono essere appresi in breve tempo ma scompaiono se non vengono esercitati a sufficienza da automatizzarsi.

Produzione orale e scritta

Abilità sia orale, sotto forma di monologo, sia scritta, che un termine generale chiamiamo “composizione”; le abilità di dialogare e riassumere, che implicano la produzione di testi, sono abilità autonome rispetto a questa.

Un obiettivo comune a tutte le lingue insegnate è quello di far comprendere agli studenti che la realizzazione finale, il monologo o la composizione, è solo il momento conclusivo di un processo che schematizziamo in questo modo:

Il diagramma si legge in questo modo, seguendo i vari passi:

  1. si definisce scopo sociale (argomentare, riferire, regolare i comportamenti, esprimere sensazioni, giudizi ecc.), cioè il tipo di testo da produrre;

  2. si individuano le idee necessarie per raggiungere quello scopo, usando brainstorming, webquest, ecc.;

  3. si organizzano le idee nella cosiddetta ‘scaletta’;

  4. si realizza il testo;

  5. se è scritto, lo si rilegge; se è orale, lo si prova videoregistrandosi per poterlo migliorare.

Profili linguistici del QCER

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento descrive 6 livelli di competenza (A1-2, B1-2, C1-2) descrivendo quello che i parlanti di ogni livello sanno fare con la lingua, i cosiddetti can do. I profili delle varie lingue che vengono via via elaborati definiscono i contenuti linguistici di ogni descrittore della competenza ai 6 livelli, offrendo una guida a chi elabora i sillabi, i materiali didattici e delle prove di certificazione.

Progetto Lingue Moderne/Vive

La doppia denominazione deriva dalle titolazioni inglese (Modern Languages) e francese (Langues Vivantes) dal primo progetto linguistico del Consiglio d’Europa, lanciato nel 1967 e guidato dal pragmalinguistca britannico J. L. M. Trim. Il PLM mirava a creare un “passaporto linguistico” che attestasse il possesso del livello soglia di una lingua, tale da consentire non solo di sopravvivere ma anche di socializzare nel paese straniero. A partire dalla metà degli anni Ottanta il progetto si è evoluto nel Quadro Comune Europeo di Riferimento, che ha prodotto una griglia di 6 livelli di competenza linguistica definendo nel livello B1 il livello soglia.

Nel 1975 venne realizzato il primo livello soglia, The Threshold Level, organizzato sulla base di una lista di atti comunicativi, detti anche ‘funzioni’, e di nozioni culturali e grammaticali, dando origine al metodo nozionale-funzionale.

Programmazione

È l’attività che, tenendo conto della natura, della durata, del livello di un corso ne ordina i contenuti in una sequenza di Unità d’Apprendimento, di Unità Didattiche ed eventualmente di Moduli.

Prossemica, competenza

È una delle componenti extralinguistiche che concorrono alla competenza comunicativa: essa riguarda la capacità di usare

  • lo spazio interpersonale: gli animali vivono in una “bolla prossemica”, cioè un’area in cui non gradiscono entrino altri, che potrebbero attaccarli. Per gli umani, la bolla ha più o meno il raggio di un braccio; alcune culture (ad esempio, il Meridione italiano) considerano formale la distanza di un braccio solo, per altre (l’Italia celtica, ad esempio) la distanza formale è di due braccia, cioè le due bolle non si intersecano, e se qualcuno si avvicina troppo nasce la sensazione inconscia di star subendo un’aggressione, il che mette in moto tutt’una serie di reazioni anche comunicative;

  • il contatto: nei ruoli formali è di solito escluso, tranne per la stretta di mano (nelle culture in cui è ammessa); nei contatti informali quel che si comunica cambia da cultura a cultura: si pensi al camminare a braccetto, tenendosi la mano, con la mano sulla spalla tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso;

  • la postura del corpo: l’opposizione tra stazione eretta e inchinata, con tutte le gradazioni intermedie, comunica i ruoli gerarchici.

Il linguaggio prossemico viene spesso percepito come universale, mentre varia da cultura a cultura, e spesso anche tra culture che usano la stessa lingua.

Psicodidattica

È una delle scienze dell’educazione; essa definisce la natura dei ‘matemi’, cioè delle unità minime di apprendimento, e progetta dei modelli operativi (ad esempio, la lezione, l’unità didattica e l’unità d’acquisizione/apprendimento) che organizzano i contenuti e i percorsi matetici.

Q

Quadro Comune Europeo di Riferimento, QCER

È il nome italiano del Common European Framework of Reference for Languages, spesso abbreviato a Quadro Framework, documento che ha le radici nel Progetto Lingue Moderne/vive degli anni Sessanta-Settanta. Il Consiglio d’Europa ha poi sviluppato il Quadro negli anni Ottanta-Novanta e da allora è il punto di riferimento per i programmi di lingue seconde e straniere nella maggior parte degli stati europei.

È un complesso documento di politica linguistica, accompagnato dopo il 2000 da diversi ‘profili’ che lo applicano alle singole lingue, e nel 2018 da un Companion volume che ha aggiornato e integrato la lista dei descrittori di competenza dei livelli A1-2, B1-2, C1-2. Sebbene il Quadro sia un documento di grande complessità e per quanto possibile completo, la componente che ha avuto l’utilizzo più ampio è costituita dai 6 livelli certificazione della competenza comunicativa.

R

Ragno, diagramma a

Spesso di usa il nome inglese, spidergram; questa tecnica, nota anche come cluster. Il diagramma a ragno è una forma di brainstorming, che se si basa su associazioni di idee meno libere e anarchiche del brainstorming.

Si scrive una parola sulla lavagna o in un foglio: essa costituisce il corpo di uno spidergram, un diagramma a forma di ragno e le varie ‘zampe’ sono altre parole, unite con una linea alla prima, trovate per associazione di idee; ciascuna delle nuove parole può proseguire in una ulteriore stringa di parole oppure creare a sua volta una nuova costellazione di parole che partono da essa anziché dalla parola base.

È utile sia per elicitare il lessico noto prima di un’attività di comprensione, sia per attivare la strategia di anticipazione, sia infine per reperire idee, soprattutto insieme ai compagni, prima di un’attività di produzione (dialogo, dibattito, testo scritto).

Ranking

Il termine inglese sta per “attribuzione di rango, collocazione in una successione gerarchica”. È una tecnica di stimolo alla produzione orale e al dialogo, che spesso diventa acceso e quindi attiva la rule of forgetting, il meccanismo per cui il contenuto della comunicazione diventa più forte dell’attenzione alla correttezza e si ha una produzione autentica, non ‘scolastica’.

Letto un testo, ascoltata un canzone o un’intervista, visto un video, ecc., l’insegnante presenta una breve serie (di solito 5) parole (aggettivi qualificativi, sostantivi che indicano sentimenti, brevi affermazioni ecc.); gli allievi scelgono quelle che secondo loro sono le 3 parole significative rispetto al testo, e le collocano in ordine di importanza.

Si creano quindi due o tre gruppi sulla base di scelte simili: ciascun gruppo ha qualche minuto per prepararsi a sostenere le proprie ragioni e, dove possibile, contrastare quelle degli altri gruppi.

Reading method

Malgrado il nome, non è un metodo bensì un approccio orientato alla comunicazione, anche se le condizioni storiche del momento in cui fiorì (cioè l’isolazionismo americano e le dittature nazionaliste durante il ventennio tra le due guerre mondiali) riduceva la comunicazione internazionale allo scambio di scritti piuttosto che di persone. In un certo senso, il reading method rappresenta la variante scritta del metodo diretto, che privilegiava invece la comunicazione orale.

Tra i cardini del reading method c’era lo sviluppo delle strategie di lettura estensiva (scanning e skimming) piuttosto che lo sforzo di cogliere ogni singolo testo nella sua completezza. La grammatica era di tipo induttivo anziché deduttivo.

In molti corsi universitari con l’inglese come lingua di istruzione, nei corsi di intercomprensione tra lingua affini e in molti corsi aziendali di lingua si sta riprendendo questo approccio, che per altro è alla base dell’insegnamento delle lingue classiche.

Realia

Nome con cui vengono talvolta indicati oggetti e altri materiali autentici usati nell’insegnamento di una lingua straniera. Malgrado l’assonanza, non hanno nulla a che fare con i compiti di realtà.

Recupero, rinforzo, ripasso

Questi termini descrivono le attività che vengono messe in atto quando uno studente non ha raggiunto gli obiettivi previsti e va ‘recuperato’ per evitare sia che ceda alla demotivazione, sia che diventi un elemento di disturbo in una classe che procede a ritmi superiori ai suoi.

Nel caso del rinforzo si tratta di una terapia immediata, relativa a lacune ben precise individuate nel corso dell’unità didattica in cui quegli argomenti sono state proposti o in quelle immediatamente successive: l’insegnante sa quale è il problema e, con esercizi e spiegazioni supplementari, rinforza la competenza dell’allievo.

Quando invece ci si trova di fronte a lacune imprecise, per cui non è questo o quell’argomento che risulta mal acquisito, ma è l’intero processo di acquisizione ad essere compromesso, si deve ricorrere ad un ripasso, se si ritiene che il difetto dipenda dall’aver mal seguito il percorso proposto dall’insegnante in classe, oppure ad un recupero se non si sa quando e perché si è inceppato il meccanismo di acquisizione. In questo caso il recupero può essere “diffuso”, cioè affiancarsi alla normale attività didattica (fare per iscritto esercizi fatti oralmente in classe, leggere input supplementare, ecc.) oppure “intensivo”, concentrato cioè su alcuni aspetti grammaticali che empiricamente sono noti come zone critiche per lo studente con problemi.

Referenziale, funzione

È la funzione espletata dalla lingua quando viene usata per descrivere il mondo o per riferire eventi.

In un sillabo, si realizza in atti comunicativi quali ‘chiedere e dare informazioni’, ‘descrivere un evento’, e così via e in testi di tipo referenziale.

È la funzione propria delle microlingue scientifico-professionali ed accentua la denotazione a scapito della connotazione lessicale.

Referenziale vs inferenziale, comprensione

Si tratta di due processi per individuare il significato in un testo, di una frase, di una parola: se il significato è esplicitamente espresso dal testo il meccanismo attivato è quello referenziale, se invece è necessario andare oltre il testo e scoprire presupposizioni o implicazioni ci troviamo di fronte a inferenza. Ad esempio, l’enunciato “Giovanna è sorella di Mario” ha un significato referenziale di parentela; ma si possono inferire anche altre informazioni, ad esempio che hanno i genitori in comune, che divideranno l’eredità, che i loro figli saranno cugini, ecc.

Questa dicotomia è fondamentale in glottodidattica per le attività di comprensione: infatti l’ordine delle domande o le scelte multiple che guidano/verificano la comprensione deve muovere dalla comprensione referenziale a quella inferenziale.

Regolativa, funzione

Nel modello di Halliday questa funzione rimanda all’uso della lingua per regolare il comportamento degli altri; spesso viene unita ad un’altra funzione hallidayana, quella ‘strumentale’, generando una funzione ‘regolativo-strumentale.

È una delle principali componenti pragmatiche della competenza comunicativa, dove rientra nei sillabi pragmatici con atti comunicativi come ‘dare istruzioni’, ‘ordinare’, ‘suggerire’, ‘consigliare’, fortemente regolati dalle competenze sociolinguistica e (inter)culturale, visto che la scelta del registro appropriato è qualificante per l’esito comunicativo.

Relais vs ancrage

Secondo il modello di Roland Barthes, il relais e l’ancrage sono le due modalità di raccordo tra l’elemento verbale e quello iconico in un messaggio, e molti degli input usati nell’educazione linguistica sono appunto iconico-verbali.

Quando si attiva il relais, lingua e immagine rimandano inscindibilmente l’una all’altra: la lingua è essenziale perché l’immagine abbia significato, e questa a sua volta è essenziale per comprendere il testo linguistico. È il meccanismo che sta alla base dei messaggi filmati, dei diagrammi, ecc. I materiali audiovisivi usati in glottodidattica sono inutili se il relais richiesto per comprenderli non è adeguato al livello di conoscenza dell’allievo.

Ci sono immagini che hanno molti significati possibili e che vengono ‘ancorati’ dalla lingua nelle didascalie, che individuano il significato voluto tra i tanti possibili.

Riassumere

Dato un testo orale o scritto, l’allievo deve produrre un testo orale o scritto riprendendone i nuclei essenziali e disponendoli in sequenza temporale, causale, ecc. Il riassunto può essere di dimensione libera o prefissata.

Questa complessa abilità linguistica opera in realtà a livello cognitivo prima ancora che linguistico: richiede (a) la comprensione dei nuclei informativi, (b) la loro gerarchizzazione, (c) la scelta delle informazioni da includere, (d) la stesura di un testo, di solito privo di discorso diretto.

Ricopiatura

È in realtà un ‘autodettato’: non si copia meccanicamente, ma si legge un sintagma o una frase per poi riscriverlo. Questa procedura concentra l’attenzione sull’ortografia, rispettando i ritmi individuali (caratteristica non presente nel dettato) e consentendo l’autocorrezione e l’autovalutazione. In realtà la ricopiatura comporta anche la comprensione completa del testo e serve ad evidenziare allo studente eventuali lacune nella comprensione stessa.

Riempimento di spazi vuoti

Lo studente riceve un testo o una successione di frasi in cui mancano alcune parole, che devono essere inserite; le parole non sono scelte casualmente come in un cloze, ma in base ad un preciso scopo didattico: nozioni di spazio, forme verbali, ecc. A seconda del tipo di parole eliminate si può lavorare sugli aspetti lessicali, morfosintattici, nozionali, funzionali, ecc. della lingua.

Riflessione sulla lingua

L’attività di riflessione vede come soggetto lo studente e come oggetto l’intero complesso della competenza comunicativa e si differenza dunque profondamente dall’insegnamento della grammatica dell’approccio formalistico, che ha come soggetto l’insegnante e come oggetto più frequente la morfosintassi e le regole testuali. La contrapposizione tra riflessione sulla lingua e insegnamento della grammatica rimanda dunque alla dicotomia induttivo vs deduttivo.

La riflessione della lingua, che porta la grammatica implicita a divenire esplicita, rinforza i processi cognitivi dello studente che, guidato dall’insegnante, deve creare delle rappresentazioni mentali del funzionamento della lingua, creando una competenza metalinguistica – ma non migliora direttamente la qualità della competenza linguistica, della comprensione e della produzione, pur fornendo lo strumento per la funzione di monitor della performance.

Rinforzo, ripasso, recupero

Questi termini descrivono le attività che vengono messe in atto quando uno studente non ha raggiunto gli obiettivi previsti e va ‘recuperato’; il lemma completo è in recupero, rinforzo, ripasso.

Ripetizione regressiva

L’allievo ascolta e ripete una frase in lingua straniera che è stata spezzata nei suoi sintagmi, i quali vengono proposti a partire dall’ultimo ricostruendo, stimolo dopo stimolo, l’intera frase (esempio: “con me?”, “al cinema con me?”, “vieni al cinema con me?”).

La ripetizione regressiva serve a fissare le curve intonative. Se si chiede la ripetizione di una frase completa l’intonazione viene difficilmente colta dall’allievo; se invece si segmenta la frase e si propongono i sintagmi dal primo in poi, ad ogni nuova aggiunta l’intonazione cambia; ripetendo invece a ritroso, la curva intonativa rimane costante.

Ripetizione segmentata

Ripetizione, individuale o corale, delle battute di un testo in lingua straniera, segmentate secondo gruppi dotati di senso: ripetendo i chunks lo studente mantiene il ritmo e l’intonazione dello stimolo che ha appena ascoltato. Svolta coralmente, la ripetizione segmentata permette di iniziare a produrre lingua, ancorché in maniera ripetitiva, senza ansia e paura di fare brutta figura, che all’inizio dello studio di una lingua portano al fenomeno della Delayed Oral Practice.

Roleplay, role-making, role-taking

Si tratta di un continuum di attività che muove da una simulazione totalmente guidata come la drammatizzazione, diviene role-taking, in cui si ha un contributo limitato ad alcuni elementi, muove verso il role-making, in cui la creatività è presente in maniera più decisa, per giungere fino al roleplay, in cui si costruisce un dialogo sulla base di una situazione, lasciando agli studenti la scelta delle strategie, della dimensione della performance, di alcuni elementi contestuali. Del roleplay fa parte anche una variante molto più complessa, detta scenario.

Si tratta di un complesso di tecniche simulative miranti ad esercitare l’abilità di dialogare e la componente socio-pragmatica della competenza comunicativa, di cui comunque vengono attivate anche anche le altre componenti.

Il roleplay può essere utilizzato anche nell’ambito dell’educazione letteraria e storica, realizzando ad esempio discussioni tra personaggi della storia della letteratura o ‘interviste impossibili’ con personaggi del passato.

Routine comunicativa

In linguistica pragmatica si distingue tra atti comunicativi, che hanno una reale forza pragmatica e producono un esito sociale, e routine: saluti prevedibili (non quelli che servono a distinguere tra rapporto formale ed informale), domande del tipo “come stai?”, formule di congedo, ecc. Un esempio tipico è l’uso inglese di thank you oppure di please totalmente scollegati dall’atto di “ringraziare” o “chiedere un favore”.

Secondo alcuni studiosi, le consegne per le attività di roleplay dovrebbero indicare agli allievi solo gli atti comunicativi reali, lasciando all’inventiva degli attori l’esecuzione delle routines.

Rule of forgetting

È un meccanismo proposto da Krashen a margine della sua Second Language Acquisition Theory: il filtro affettivo, che blocca l’acquisizione e permette al massimo l’apprendimento (cfr. acquisizione e apprendimento), può essere allentato se si propongono attività in cui lo studente ‘dimentica’ che sta imparando una lingua e concentra invece l’attenzione sull’elemento pragmatico: portare a termine un gioco, una transazione, un dibattito, realizzare dei task o dei progetti, risolvere problemi, imparare un’altra disciplina (CLIL).

S

Sbaglio

È un errore casuale, non sistematico. A differenza dell’errore non indica una competenza imperfetta, le cui cause vanno analizzate per mettere in atto attività di recupero, rinforzo, ripasso.

Scanning vs skimming

Sono due strategie di comprensione estensiva, globale di un testo.

Lo skimming (‘scrematura’, in inglese) consiste che consiste nel saper cogliere rapidamente il senso generale di un testo, quindi la sua funzione ed il suo contenuto globale. Lo scanning consiste nella ricerca di una o più informazioni che interessano nel testo, senza leggerlo completamente ma solo scorrendolo.

Talvolta in italiano si possono trovare ‘lettura cursoria/globale’ vs ‘lettura mirata’-

Scelta multipla

Si hanno più formati di scelta multipla:

  1. domande che possono avere risposta sì/no;

  2. frasi che possono essere vere/false;

  3. frasi o domande che su un tronco comune innestano 3 o 4 ‘distrattori’, cioè possibili conclusioni;

  4. frasi o testi in cui alcune parole (specialmente connettivi, forme verbali, ecc.) sono sostituite da un gruppo di due o tre parole.

La scelta multipla è una tecnica estremamente precisa quanto a contenuto: se la si usa per guidare o verificare la comprensione essa consente infatti di concentrare l’attenzione esattamente sull’elemento desiderato; se la si utilizza per verificare conoscenze grammaticali, la scelta multipla indica con precisione all’allievo il punto su cui deve riflettere. Il limite di questa tecnica come strumento di verifica sta nella possibilità di scelta casuale, che nei formati ‘a’ e ‘b’, sopra, ha il 50% di possibilità di essere corretta, e nei formati ‘c’ e ‘d’ con 3 distrattori può essere corretta nel 33% dei casi. Si può prevenire la scelta casuale nei formati ‘c’ e ‘d’ inserendo in ogni gruppo di distruttori un elemento assurdo, che toglie 1 punto se viene scelto: in tal modo il punto attribuito dalla scelta casuale corretta viene bilanciato dal punto sottratto dalle scelte assurde.

Scenario

Lo scenario pare la tecnica più adatta per sviluppare un elemento della competenza comunicativa, cioè la competenza socio-pragmatica, nonché l’abilità di dialogo autentico. È una forma estrema di roleplay.

Il termine, proposto da Di Pietro, descrive un evento comunicativo molto strutturato, motivante e coinvolgente per l’allievo, il quale dimentica di star operando in lingua straniera perché concentra la sua attenzione sull’esecuzione del compito assegnato (rule of forgetting). Ad esempio, nello scenario di un divorzio: piccoli gruppi di studenti rappresentano, rispettivamente, il marito, la moglie, i loro avvocati, i testimoni, il giudice: ogni gruppo lavora anche giorni per decidere la strategia, immaginare le argomentazioni dell’altro, e alla fine si recita il processo. La videoregistrazione è fondamentale per poter analizzare, commentare, correggere la performance nelle lezioni successive.

Schema aperto vs chiuso, vuoto vs pieno

Sono modi di versi di descrivere, soprattutto in ordine all’apprendimento della grammatica, la dicotomia tra processi deduttivi vs induttivi. Lo schema chiuso o pieno è quello dei tradizionali libri di grammatica, mentre lo schema aperto o vuoto aiuta lo studente a cercare i meccanismi di funzionamento della lingua (riflessione sulla lingua).

Scienze del linguaggio

Ambito scientifico in parte teorico, mirato alla conoscenza, in parte operativo, mirato alla creazione di competenze o all’uso della lingua.

In generale, la natura della lingua e il suo funzionamento come codice sono oggetto della linguistica generale, etichetta che ha sostituito il più classico glottologia.

Al suo interno si individuano gli studi di fonetica (la realizzazione dei suono), fonologia (il ruolo distintivo di alcuni suoni in una lingua, i fonemi), morfologia (la forma della lingua), sintassi (la combinazione tra parole e frasi), lessicologia (la natura e le caratteristiche del lessico di una lingua), lessicografia (la realizzazione di corpora lessicali, di dizionari).

La linguistica può essere diacronica (l’evoluzione delle lingue), comparativa tra due o più lingue, tipologica (studia i tipi linguistici, ad esempio lingue agglutinanti, isolanti, flessive ecc.; oppure i sei tipi di lingua possibile sulla base della sequenza tra soggetto, verbo e oggetto).

Ci sono poi alcune scienze diadiche, come l’antropolinguistica e l’etnolinguistica (studiano il ruolo della lingua nella creazione, conservazione ed evoluzione delle comunità culturali ed etniche); la sociolinguistica (studia la lingua in uso nei contesti sociali, le varietà del linguaggio, le situazioni di plurilinguismo – queste ultime spesso ascritte alla contact linguistics, etichetta poco usata in italiano come linguistica del contatto); la neurolinguistica; la psicolinguistica, di cui secondo alcuni approcci fa parte la linguistica acquisizionale (studia le sequenze di acquisizione di una lingua, che progressivamente arricchiscono l’interlingua); la pragmalinguistica (che studia la realizzazione di scopi sociali attraverso la lingua, gli atti comunicativi e le mosse comunicative, e che si incrocia con la sociolinguistica, in particolare con i diversi registri, quando studia come gestire la forza pragmatica di un enunciato, ad esempio “esci di qui!”, “potresti uscire?”, “credo che sarebbe meglio che tu uscissi”); la linguistica computazionale e la parallela linguistica dei corpora (non solo lessicografici, già visti sopra).

L’ambito scientifico che studia l’insegnamento linguistico è la linguistica educativa, o edulinguistica, tradizionalmente detta glottodidattica (per simmetria con glottologia: era una coppia in cui la dimensione teorica e operativa emergevano chiaramente dalle denominazioni). Tradizionalmente l’edulinguistica rientrava nella linguistica applicata, voce che oggi è usata più che altro per indicare lo studio del ruolo e della funzione della lingua in alcuni contesti extralinguistici (traduttologia, bisogni linguistici specifici, disturbi del linguaggio, terminologia merceologica ecc.).

Scorrevolezza

È il termine talvolta usato in italiano per indicare la fluency nella produzione orale in una lingua (non solo seconda o straniera, ma anche nella lingua materna). Nozione intuitivamente chiara, risulta piuttosto confusa nel momento in cui si vogliano trovare degli indicatori che consentano di verificarne la qualità.

Script

Come dice il termine inglese, è un “copione” comunicativo memorizzato nell’enciclopedia di una persona: in una situazione, ad esempio al bar, in stazione, ad una cena tra amici, sappiamo quale “copione” ci guida, che generi comunicativi potranno essere usati, che registro linguistico usare, quali atti comunicativi probabilmente si realizzeranno, e così via. Richiamare esplicitamente alla memoria degli studenti gli script alla base della situazione in cui è ambientato un testo da comprendere permettono di attivare la strategia di anticipazione, fondamentale per la comprensione.

Second Language Acquisition Theory

Krashen ha elaborato questa teoria negli anni Settanta, mettendola alla base del suo approccio naturale. La teoria recita second ma Krashen non distingue fra lingua seconda e straniera. Osannata e criticatissima allo stesso tempo, la SLAT ha fornito alcune ‘ipotesi’, come le chiama il neurolinguista californiano, che hanno guidato la linguistica educativa dagli anni Ottanta in poi:

  1. ha proposto la distinzione tra “acquisizione” inconscia e “apprendimento” razionale (cfr. acquisizione vs apprendimento). La prima è la competenza che genera lingua, il secondo ha essenzialmente alla funzione di monitor [→], cioè di controllo dell’esecuzione linguistica. L’insegnamento mira a generare acquisizione;

  2. perché si attivi il meccanismo di acquisizione occorre che ci sia un input comprensibile: il principale compito dell’insegnante è rendere comprensibile l’input e, in secondo luogo, assicurarsi che l’intake previsto (cfr. input vs intake) sia collocato nel giusto livello dell’ordine naturale di acquisizione, livello sintetizzato nella formula i+1;

  3. infine, è fondamentale che non sia presente alcun filtro affettivo, cioè che non si sia ansia da prestazione, paura di perdere la faccia, ecc. Un meccanismo fondamentale nell’allentare l’eventuale filtro emozionale è costituito dalla cosiddetta rule of forgetting: si acquisisce più facilmente se ci si dimentica che si sta imparando la lingua, concentrando l’attenzione sul contenuto pragmatico e sul portare a termine la transazione, il gioco, il task in cui si è impegnati. La rule of forgetting è alla base del CLIL.

Sequenziazione, attività di

È un’attività propedeutica al riassumere e consiste nel recuperare la sequenza effettiva degli eventi in un testo narrativo o referenziale in cui siano presenti flashback, recupero di eventi passati, e anticipazioni di eventi futuri. In un riassunto, infatti, gli eventi vanno collocati nella sequenza fattuale.

Nell’analisi di testi narrativi, la sequenziazione recupera la fabula, l’ordine reale degli eventi, anche se nell’intreccio questi sono narrati con un ordine diverso.

Seriazione, attività di

L’attività consiste nel creare una serie ordinata con le parole relative ad una nozione (quantità, frequenza, bellezza, ecc.), collocandole in un continuum tra due estremi, ad esempio tutto ... niente, sempre ... mai, orribile ... splendido. La parole possono essere date dal manuale o alla lavagna, oppure vanno recuperate nella memoria, eventualmente cooperando con un compagno e poi con la classe.

Lo scopo edulinguistico è raffinare la competenza lessicale, rendere consapevoli della connotazione e del fatto che ciascuno attribuisce in maniera personale le gradazioni di significato.

Significato vs valore

È la differenza tra il significato decontestualizzato di una parola, così come lo si trova in un dizionario, e il valore effettivo che essa ha quando viene usata in un contesto. Tale valore può differire dal significato sia per ragioni pragmatiche ("è colpevole" detto al bar, leggendo la cronaca di un processo, ha valore diverso da “è colpevole" pronunciato dal giudice in tribunale), sia per la carica metaforica ("stringi i denti" ha valore diverso a seconda che la frase sia detta dal dentista oppure da un padre al figlio in difficoltà).

Silent Way

Approccio di matrice umanistica messo a punto dall’elvetico-americano Gattegno negli anni Settanta.

Il principio base è il silenzio dell’insegnante, che si limita a fornire input (o a gestire la macchina che lo fornisce: registratore, video, computer) e a dare istruzioni, correggendo gli errori con gesti convenzionali piuttosto che con parole, lasciando che siano gli allievi a scoprire ed esercitare i meccanismi della lingua.

Sillabo

È un modello operativo che costituisce il fulcro di un metodo: elenca gli obiettivi e i contenuti di un corso, spesso articolandoli su vari livelli, come ad esempio quelli di Quadro Comune Europeo (A1, A2 ecc.).

I manuali odierni sono generalmente multisillabo o multisillabici: ad esempio, elencano sia le competenze operative da acquisire (sillabo pragmatico) sia le conoscenze sulla lingua (sillabo grammaticale, lessicale, testuale, ecc.) e sui linguaggi non verbali (sillabo cinesico, prossemica, oggettemico); nelle lingue non native, oltre al sillabo pragmatico e a quello linguistico di solito compare anche un sillabo (inter)culturale.

Simulazione, attività di

Sono attività usate per lo sviluppo dell’abilità di dialogare e propedeutiche alle discussioni aperte: gli studenti devono realizzare una conversazione o una discussione sulla base di una traccia che può essere molto precisa o molto libera (drammatizzazione, roleplay, scenario); per poter condurre una analisi e una riflessione sulla performance, è necessario che questa sia videoregistrata.

Situazionale, metodo

È la prima realizzazione di quello che poi è stato formalizzato come approccio comunicativo; a differenza della sua evoluzione, il metodo nozionale-funzionale, nel metodo situazionale manca l’accentuazione della dimensione pragmatica, manca il lavoro sistematico sugli atti comunicativi, che venivano visti solo come routines comunicative (salutare, ringraziare, congedarsi, ecc.).

L’unità d’apprendimento partiva da un testo (di solito un dialogo) situazionalizzato, e il lavoro sulla situazione, sugli script possibili (lo studio degli script nella memorizzaizone è degli stessi anni Settanta) e quindi sui ruoli dei partecipanti e sul lessico probabile, introducevano la strategia di anticipazione (che in quegli anni viene definita come expectancy grammar) tra le attività per lo sviluppo dell’abilità di comprensione.

Skimming vs scanningScanning vs skimming

Socializzazione

È una delle mete dell’educazione linguistica e mira a permettere ad ogni individuo di interagire in un gruppo sociale: la competenza comunicativa acquisita deve quindi essere tale da consentire il perseguimento di questa meta.

La socializzazione presuppone come condizione necessaria la culturizzazione, in quanto solo una persona che conosce e padroneggia i modelli culturali di un popolo può esservi accettata e può quindi socializzare. La socializzazione è condizione necessaria per l’autopromozione.

Sociolinguistica, competenza

La sociolinguistica è la branca delle scienze del linguaggio che studia le varietà della lingua. La competenza comunicativa include, oltre alle grammatiche verbali e non verbali, anche le grammatiche contestuali: tra queste, la competenza sociolinguistica è fondamentale soprattutto per alcuni tipi di varietà:

  1. la scelta di registro, che riguarda non solo la lingua ma anche gesti, distanze interpersonali, oggetti comunicativi e le mosse comunicative. Questo aspetto è entrato stabilmente da tempo in tutti i sillabi dell’educazione linguistica;

  2. le varietà legate all’argomento, cioè le microlingue scientifico-professionali e disciplinari;

  3. le varietà diatopiche o geografiche: almeno in termini di comprensione la competenza comunicativa le include necessariamente.

Nelle aree bilingui, oggetto di studio della sociolinguistica, è importante anche la competenza nella scelta di quale delle due lingue scegliere a seconda del contesto, e di come commutare da un codice all’altro.

Spontaneo, apprendimento

Si definisce “spontanea” l’acquisizione della lingua di fuori di un sistema di istruzione formale, quale la scuola o corsi di qualunque altro tipo. È il caso della lingua materna e della lingua seconda acquisita dagli immigrati per il semplice fatto di essere a contatto con i parlanti di madrelingua.

Se si considera l’opposizione tra apprendimento e acquisizione, si tratta in realtà di acquisizione spontanea, anche se tradizionalmente si usa “apprendimento”.

Stile cognitivo

È una nozione della psicologia cognitiva, ma ha un ruolo anche nell’educazione linguistica: da un lato, è un fattore che, insieme allo stile d’apprendimento, ai tratti della personalità, all’atteggiamento autonomo o dipendente, alla combinazione dei diversi tipi di intelligenza, contribuisce a quella che genericamente viene detta attitudine alle lingue; dall’altro lato, più operativo, richiede che alla differenza di stili debba corrispondere una differenziazione delle attività didattiche.

Huteau individua 7 stili cognitivi che hanno riflessi sull’apprendimento: la dicotomia principale tra gli stili olistico, globale, intuitivo, divergente, indipendente e quelli analitico, sistematizzante, convergente, dipendente dal contesto: considerata la struttura dell’unità d’apprendimento, sono differenze sostanziali. Di conseguenza, l’autore di manuali e l’insegnante devono garantire che nel pacchetto di attività che costituiscono le varie fasi di un’unità d’apprendimento ce ne siano di un tipo e del suo opposto, per non penalizzare un gruppo di studenti e privilegiarne un altro sulla base del loro stile di apprendimento.

Stile di apprendimento

È una nozione della psicologia cognitiva e della psicologia dell’apprendimento, ma ha un ruolo anche nell’educazione linguistica: da un lato, è un fattore che, insieme a molti altri, contribuisce a quella che genericamente viene detta attitudine alle lingue; dall’altro lato, più operativo, richiede che alla differenza di stili sia necessario rispondere con una differenziazione delle attività didattiche.

Le principali differenze di stile di apprendimento si collocano nelle opposizioni tra percorsi induttivi e deduttivi, tra grammatica implicita ed esplicita, tra autonomia e necessità di una guida, tra stili cognitivi olistici o analitici, tra personalità che apprendono individualmente o cooperativamente, con atteggiamenti competitivi o collaborativi (stili che influiscono sull’esito delle metodologie a mediazione sociale e di quelle task based). Di conseguenza, l’autore di manuali e l’insegnante devono garantire che nel pacchetto di attività che costituiscono le varie fasi di un’unità d’apprendimento ce ne siano di un tipo e del suo opposto, per non penalizzare un gruppo di studenti e privilegiarne un altro sulla base del loro stile di apprendimento.

Strutturale, esercizio (pattern drill)

Sono attività tipiche dell’approccio strutturale, ma che sono stati ripresi dopo un periodo di ostracismo con l’avvento dell’approccio comunicativo, in quanto in alcune forme e in quantità limitata sono utili alla fissazione delle strutture grammaticali.

Nati sulla base del principio di Bloomfield learning is overlearning e della psicologia neo-comportamentista di Skinner, in cui l’apprendimento è una forma di condizionamento, i pattern drills constano di una batteria di item relativi a una singola struttura morfosintattica: la fonte (registratore, computer, insegnante) dà uno stimolo, lo studente risponde al compito, la fonte conferma la performance corretta. Ad esempio, se il compito è volgere al negativo, si avrà la sequenza: stimolo ‘mi piace’ → risposta ‘non mi piace’ → conferma ‘non mi piace’, cui può seguire minimo di tempo perché lo studente, soprattutto se ha sbagliato, ripeta la risposta corretta.

Gli esercizi strutturali, ripetitivi, spesso monotoni, governati dal ritmo prefissato della macchina, privi di valenza comunicativa, risultano fortemente demotivanti. Ne sono state proposte comunque varianti ludiche, che risolvono il problema.

Strutturalistico, approccio

Detto anche ‘audio-orale’, questo approccio deriva dall’ASTP di cui riprende l’interesse per la dimensione orale della lingua (ma non per quella culturale), per la matrice comportamentistica (la lingua si apprende con batterie di esercizi strutturali che creano dei mental habits, una forma di condizionamento) e la linguistica tassonomica di Bloomfield che riduce la lingua ad una serie di microstrutture, senza alcun interesse per il contesto situazionale.

L’approccio strutturalistico creò negli anni Cinquanta-Sessanta le condizioni per la progettazione di uno dei principali strumenti di tecnologia glottodidattica, il laboratorio linguistico.

Suggestive-Accelerative Learning and Teaching

Metodo proposto da Schuster e Gritton nato a fine Novecento integrando le indicazioni della Suggestologia e quelle della Total Physical Response, che accentua la reazione del corpo intero anziché (solo) linguistica. Da questi approcci il metodo SALT trae il ricorso alle tecniche di rilassamento (dalle flessioni allo stiracchiarsi, al ruotare gli occhi) nonché l’uso della musica come fattore di tranquillità e come supporto mnemonico.

Specifico di questo metodo è l’uso di poster che, a differenza di quelli grammaticali della Suggestologia, sono concepiti secondo le tecniche della pubblicità, con slogan, immagini, e così via.

Suggestologia, suggestopedia

È un metodo di matrice umanistica messo a punto dal bulgaro Lozanov negli anni Settanta per realizzare un approccio proto-comunicativo, ancorché molto legato a strumenti dell’approccio formalistico.

Il principio base è quello del ‘suggerimento’ che l’insegnante offre al gruppo di studenti seduti ad un tavolo ovale, in una stanza dai colori tenuti, con poster grammaticali sui muri, musica barocca di sottofondo, in una logica da seduta terapeutica (per questo la suggestologia è inserita nel gruppo dei metodi ‘clinici’). L’insegnante lascia che siano gli studenti stessi a dettare il ritmo dell’apprendimento, ad esplorare i tabelloni grammaticali seguendo la loro naturale curiosità, a crearsi una realtà alternativa (nome, professione, ecc.) in cui la lingua usata è quella che si sta apprendendo.

I ‘suggerimenti’ sono discreti e consistono di testi da leggere e tradurre, di situazioni registrate da ascoltare, di materiali da memorizzare con tecniche spesso affini allo yoga. Un’evoluzione della suggestopedia e il Suggestive-Accelerative Learning and Teaching.

Sussidi vs catalizzatori, strumenti

Le tecnologie didattiche per l’insegnamento linguistico sono di due tipi: sono dei catalizzatori (termine chimico che indica elementi senza i quali non avviene una reazione) gli strumenti indispensabili, ad esempio uno strumento con funzione registrazione/riproduzione senza i quali è impossibile ascoltare i dialoghi; sono sussidi gli strumenti che aiutano, ad esempio una lavagna interattiva multimediale, ma della quale si può comunque fare a meno.

T

TALL, TELL, TMLL

Acronimi inclusi nella classificazione di Stanford sulle tecnologie glottodidattiche; stanno per Technology-Assisted/Enhanced/Mediated Language Learning.

Tandem, metodo

È una forma di comunicazione autentica online tra due parlanti di madrelingua diversa, ciascuno studente della lingua dell’altro. Non c’è alcun intervento di docenti, per cui si tratta di una forma estrema di approccio naturale. Durante gli incontri, di solito un’ora la settimana, si usa per metà tempo una lingua e poi l’altra, ma durante tutto l’incontro – che può essere di comunicazione libera, ma anche di correzione di esercizi o produzioni scritte – c’è un lavoro di analisi comparativa tra le due lingue.

Task-based, metodologia

È detta anche “didattica orientate all’azione”, in quanto usa tecniche didattiche del tipo “attività” (e non “esercizi”) organizzate come compiti più o meno complessi, quasi sempre basati su attività di problem solving. I compiti possono essere individuali (ad esempio, trovare un itinerario su una cartina, partendo da istruzioni orali o scritte), o a mediazione sociale (organizzare un gita scolastica, con un gruppetto che elabora l’itinerario turistico, un altro che contatta i noleggiatori di pullman, un altro che cerca e prenota una pizzeria, e così via). è una metodologia che non può essere ignorata se si adotta un approccio comunicativo.

Tecnica didattica

Un’attività di classe attraverso cui il materiale linguistico viene presentato agli studenti e da questi analizzato, elaborato, (ri)prodotto. Le tecniche didattiche non sono oggetto di studio della linguistica educativa: l’autore di manuali e l’insegnante si limitano a scegliere le tecniche adatte all’interno dell’enorme proposta di attività didattiche raccolte dalla metodologia didattica, una branca operativa delle scienze dell’educazione. Le tecniche utilizzate devono però essere coerenti con l’approccio e il metodo, cioè con la filosofia dell’educazione linguistica e l’organizzazione operativa dei suoi contenuti e dei suoi processi.

Le tecniche sono di due tipi:

Tecnologia (glotto)didattica

L’insegnamento linguistico può essere assistito da strumenti tecnologici, nella maggior parte dei casi costituiti dal computer, anche sotto forma di lavagna interattiva multimediale, di smartphone o di tablet. La tecnologia ha tre funzioni:

  • importare: video, film, testi – ma anche dall’aula stessa, videoregistrando dialoghi e discussioni aperte;

  • accedere a banche dati come dizionari, grammatiche di riferimento, eserciziari;

  • connettere la classe o il singolo studente in attività task based o tandem con studenti di altre scuole o di altri paesi.

    L’Università di Stamford ha proposto una classificazione delle tecnologie glottodidattiche:

CAI Computer-Assisted Instruction, CALI Computer-Assisted Language Instruction, CALL/TALL Computer/Technology-Assisted Language learning, CBLT Computer-Based Language Training, CELL/TELL Computer/Technology-Enhanced Language Teaching, DLL Digital Language Learning, MALL Mobile Assisted Language Learning, NBLT Network-Based Language Teaching.

Termine vs parola

Le parole, le unità base del lessico, hanno una denotazione e una connotazione culturale o emozionale che le rendono spesso ambigue e imprecise, se non addirittura polisemiche. I termini invece hanno solo denotazione e non hanno sinonimi, sono monosemiche, e quindi adatte alle microlingue scientifico-professionali e disciplinari.

Testuale, competenza

L’unità base della comunicazione è il testo, che può essere: orale, scritto o audiovisivo; individuale o dialogicp; brevissima (“Aiuto!”) o molto lungo. Saper comprendere e produrre testi che comunichino in maniera efficace, appropriata e corretta è lo scopo ultimo dell’approccio comunicativo.

Negli anni Sessanta in Germania si è cominciato a separare la linguistica testuale dalla linguistica generale, individuando nel “testo” un’unità di lingua superiore alla frase (studiata dalla sintassi) e caratterizzata da: unitarietà referenziale, cioè unità di significato; dall’appartenenza a un tipo testuale e a un genere comunicativo; tenuto insieme dai meccanismi di coerenza logico-semantica (il cosiddetto “filo del discorso”) e di coesione formale (uso di connettori, consecutio temporum, pronominalizzazione, uso di sinonimi, iponimi, iperonimi, ecc.). Questa serie di relazioni interne che distingue un testo da un non-testo è detta anche “testura”.

In America si usa sovente discourse come sinonimo di “testo”, mentre in Europa si tende a dividere tra “testo”, inteso come concetto astratto, e “discorso” inteso come realizzazione pratica di una testo.

In glottodidattica il testo viene sempre più spesso considerato l’unità base da cui partire per procedere via via ad analizzare gli elementi di rango inferiore (frasi, sintagmi, parole, morfemi, fonemi), cui il testo fornisce il co-testo.

Think Aloud Protocol

Tecnica propria della ricerca psicologica, che può essere usata nell’insegnamento linguistico per rendere consapevoli gli allievi dei loro processi di comprensione: gli studenti leggono un testo silenziosamente e a turno, mano a mano che si procede nella lettura, uno studente verbalizza le operazioni logiche che compie per comprendere; contemporaneamente, ciascuno confronta quello che sta pensando con la strategia che un compagno sta verbalizzando; se questi “pensieri ad alta voce" vengono registrati, una seconda lettura del testo accoppiata all’ascolto della registrazione permette a tutti di intervenire riflettendo sulle strategie di comprensione.

Il TAP è utile anche per spiegare la scelta delle parole da inserire in un cloze o delle combinazioni da creare in una tecnica di incastro.

Tipologia linguistica

È una branca della linguistica che individua dei tipi, al cui interno si includono lingue che hanno caratteristiche simili; dal punto di vista sintattico, ad esempio, si hanno 6 tipi a seconda dell’ordine tra soggetto, verbo, oggetto (SVO, SOV, VSO, VOS, OSV, OVS); dal punto di vista morfologico le lingue sono isolanti (non hanno flessione, come il cinese), agglutinanti e flessive (che uniscono, con due meccanismi diversi, più morfemi alla parola per indicarne la funzione sintattica, come l’italiano), e così via.

In linguistica educativa le metodologie, le procedure, le forme di valutazione da usare quando si insegnano lingue dello stesso tipo (ad esempio le lingue romanze insegnate a italofoni) sono radicalmente diverse da quelle usate nell’insegnamento di lingue tipologicamente distanti, ad esempio l’insegnamento di arabo, ebraico, cinese a italofoni.

Tipologia testuale

I testi appartengono a tipi diversi, legati allo scopo per cui vengono realizzati, alla funzione comunicativa che devono espletare. Ci sono diverse tipologie a seconda delle scuole linguistiche, ma in generale tutte riconoscono testi argomentativi, referenziali, regolativi, narrativi, espressivi, letterari: sono dei tipi universali, cioè hanno una struttura simmetrica in tutte le lingue; i tipi testuali sono astrazioni che si concretizzano in generi comunicativi: un testo regolativo può essere un codice o un regolamento sportivo, una ricetta di cucina e le istruzioni per il montaggio, un consiglio, un suggerimento o un ordine, ecc. Anche i generi hanno delle regole costitutive, ma hanno anche molti aspetti che cambiano da cultura a cultura.

La consapevolezza dello scopo e quindi del tipo di testo che si vuole creare è il primo elemento nella sequenza cognitiva che porta alla produzione scritta e orale o a dialoghi ben programmati; sapere che genere e che tipo di testo si sta per ascoltare, guardare o leggere è fondamentale per attivare la strategia di anticipazione, fondamentale per la comprensione.

Total Physical Response, TPR

Metodo di matrice umanistica proposto da J.J. Asher, utile nelle fasi iniziali dell’apprendimento di lingue non native; è una forma di transcodificazione particolarmente ludica che non attiva il filtro affettivo e rispetta gli studenti che mostrano una tendenza alla delayed oral practice.

Il principio base è quello dell’accoppiamento parola-azione: lo studente esegue le istruzioni dell’’insegnante, inizialmente semplici (‘alzati’, ‘vai alla porta’) e via via più complesse (‘Vai da Chiara e portale il tuo diario, prendi da lei il libro e portalo qui a me’).

Traduzione

La traduzione è un’abilità di trasformazione di testi, ma il fatto di essere stata la tecnica didattica di base del metodo grammatico-traduttivo l’ha ostracizzata nel momento in cui l’approccio formalistico è stato soppiantato da quello comunicativo.

In realtà la traduzione è utilissima come tecnica didattica con studenti avanzati (non prima del livello B2) sia per approfondire la connotazione lessicale, sia per la dimensione interculturale; ma è un’abilità talmente complessa e plurale in termini di scelte linguistiche, pragmatiche, culturali, che non è attendibile per la valutazione della competenza di uno studente.

La traduzione può essere dalla L1 ad altre lingue o dalla lingua oggetto di studio verso la L1: solo questa seconda direzione è praticata dai traduttori professionali, mentre in didattica delle lingue, soprattutto di quelle classiche, si attua anche il percorso che parte dalla L1, con obiettivi che possono essere proficuamente perseguiti con tecniche molto più semplici ed economiche.

La traduzione può essere scritta o orale; all’impronta (inpromptu), cioè senza supporti come dizionari e grammatiche, o con tempo e supporti a disposizione; può essere realizzata anche tra varietà sociolinguistiche (si parla in tal caso di riscrittura): il Principe di Machiavelli tradotto in italiano contemporaneo; un testo di Camilleri tradotto in italiano standard; un testo formale tradotto in varietà informale ecc.

Transcodificazione

È una delle tecniche utili per guidare-verificare la comprensione sena attivare il filtro affettivo in quanto non richiede produzione di lingua e quindi non penalizza gli studenti che hanno una delayed oral practice e che hanno problemi di scrittura.

Il passaggio dal codice verbale ad altri codici può avvenire in due direzioni: la transcodificazione grafica, in cui il testo viene trasformato in disegni, in itinerari in una mappa, ecc.; la transcodificazione cinesica, in cui il testo letto o ascoltato è tradotto in una drammatizzazione da mimi o richiede un’esecuzione di ordini (total physical response).

Transfer

Meccanismo che trasferisce sulle competenze in via di acquisizione quelle già acquisite, ad esempio nella lingua materna, creando un’interferenza che può essere positiva (ad esempio: conoscere il concetto di caso in latino aiuta nell’apprendimento del tedesco e delle lingue slave) o negativa. In questi casi il transfer è detto proattivo, cioè opera da ciò che è acquisito a quello che si sta acquisendo.

È possibile anche il percorso inverso, soprattutto a livelli alti di acquisizione, per cui l’aver acquisito consist of in inglese si riflette sull’italiano generando consiste di anziché consiste in. In questo caso si parla di transfer retroattivo. Questo transfer è frequente in chi abita a lungo in un paese straniero, di cui usa la lingua, per cui ad esempio gli italiani in Turchia riducono di molto l’uso dell’articolo in italiano, o gli insegnanti di italiano in America Latina dicono “vado a dar classe” anziché “vado a fare lezione”. In questo caso si parla di attrito linguistico.

Translanguaging

È una pratica pedagogica, non edulinguistica, e consiste nell’uso di più lingue per spiegare qualcosa o per far eseguire un compito: soprattutto nelle aree bilingui e spesso anche nel CLIL si usano le due lingue disponibili, si passa dall’una all’altra (trans-languaging) per migliorare l’efficacia didattica; nell’insegnamento delle lingue, delle culture e delle letterature straniere e classiche, la forma più diffusa di translanguaging consiste nel dare in italiano il significato di una parola ignota o di un fenomeno che viene solo accennato nel testo (ad esempio, la digressione in italiano sul significato della schiavitù nel mondo classico dopo aver trovato la parola servus), oppure nella sintesi in italiano di un concetto spiegato nella lingua straniera.

Trascrizione

Si tratta di una attività apparentemente simile al dettato, ma adatta a studenti di livello avanzato, non a principianti. Si ascolta la registrazione di una conversazione o di un monologo autentici, caratterizzati dai tipici aspetti della lingua orale, quali gli anacoluti, le false partenze, ecc. Ciò porta lo studente non solo a riflettere sulla natura dell’oralità, ma in particolare sulla natura e l’uso della punteggiatura.

Teacher’s Talking Time, TTT

Si tratta di una delle variabili di metodo usate per distinguere i vari approcci: si va dal TTT massimo nell’approccio formalistico, in cui l’insegnante spiega e trasmette conoscenza, a quello minimo nella Silent way, in cui il ruolo dell’insegnante è minimo. Il TTT è legato alla dicotomia conoscenze vs competenze: laddove si vogliono trasmettere conoscenze il TTT è massimo, mentre per costruire competenze a parlare sono sempre di più gli studenti stessi.

U

Umanistica, Glottodidattica

Sotto l’influenza dell’umanesimo psicologico di studiosi come Allport, Maslow, Fromm, Bruner, Rogers e altri, che hanno dominato i decenni tra il 1960 e 1990, molti approcci glottodidattica dagli anni Ottanta in poi hanno messo al centro dell’attenzione la personalità di ogni allievo. Un convegno del British Council del 1983 ha tradotto il humanistic language teaching nel fortunato slogan Focus on the Learner.

Sul piano neuro-psicolinguistico e cognitivo, questi approcci sono caratterizzati dall’attenzione:

  1. alla complessità di tipi di intelligenza, stili cognitivi e stili d’apprendimento, tratti della personalità, tipi di motivazione focalizzando non solo l’aspetto razionale, ma anche quelli motivazionali, le caratteristiche della personalità;

  2. alla componente emozionale, in particolare alla sua dimensione affettiva e relazionale. Questo aspetto è stato tradotto in uno slogan efficace da Krashen, quando parla di filtro affettivo.

L’aggettivo humanistic fa contemporaneamente riferimento a human, ciò che è proprio dell’essere umano, e humane, il diritto ad essere trattati in modo umano.

Unità d’Acquisizione/Apprendimento, UdA

È l’elemento base del processo di acquisizione (anche se spesso si usa ‘apprendimento’), non solo linguistico, basato sulla psicologia della Gestalt della prima parte del Novecento e, più in generale, sulla psicodidattica umanistica della seconda parte. Il presupposto è che percezione degli input sia anzitutto globale, cui fa seguito una fase di analisi per giungere ad una sintesi sia emozionale (“(non) mi piace, (non)voglio ripetere l’esperienza”) sia razionale, che porta ad una riflessione, ad una sistematizzazione (“mi interessa, voglio interiorizzare l’informazione”).

La sequenza globalità → analisi → sintesi e riflessione costituisce l’unità d’acquisizione, cioè il blocco operativo minimo del processo di apprendimento/insegnamento; può durare pochi minuti, oppure un’intersa sessione, e in alcuni casi può comprendere anche una fase di lavoro domestico prima della conclusione: comunque lo studente percepisce l’evento come unitario, un blocco omogeneo.

Una serie di UdA costituisce un’unità didattica che, come dice l’aggettivo, riguarda il didatta, cioè l’autore dei materiali didattici e l’insegnante. L’insegnante ragiona e programma sulla base di UD, lo studente vive il suo percorso acquisizionale sulla base di UdA.

Unità didattica

È il modello operativo più diffuso nell’ambito nei metodi che realizzano l’approccio comunicativo anche se nasce mezzo secolo prima come di problem solving dell’attivismo pedagogico. A differenza dell’unità d’apprendimento, che riguarda il punto di vista dello studente, l’unità didattica riguarda la programmazione dei manuali e degli insegnanti.

La psicodidattica ha proposto vari modelli di unità didattica, alcuni brevissimi e quasi coincidenti con un’unità d’apprendimento, altri più complessi, di solito strutturati in tre blocchi:

  1. un fase di apertura, che introduce il tema dell’UD e crea la motivazione giocando sulla soddisfazioni di bisogni futuri e sulla curiosità;

  2. una serie di UdA: quelle proposte dal manuale possono essere integrate da unità aggiunte dall’insegnante o create dagli studenti stessi;

  3. una fase conclusiva che comprende le attività di verifica e valutazione, le attività di rinforzo e ripasso, nonché un’UdA non esplicitamente finalizzata all’acquisizione, ma intesa come momento ludico e, insieme, come dimostrazione che quanto appreso nell’UD può essere utilizzato immediatamente (una canzone, una pubblicità, una sequenza cinematografica, ecc.).

Questo percorso richiede una decina di sessioni, che spesso in italiano vengono chiamate ‘lezioni’, ma non coincidono con le lezioni come modello didattico proprio della didattica trasmissiva.

Use vs usage

Si tratta di una dicotomia proposta da Widdowson tra la competenza d’uso della lingua (use) e la competenza sull’uso della lingua (usage).

In questi termini, lo scopo primario dell’insegnamento della lingua materna è il usage, la competenza metalinguistica, ma non è fine a se stessa bensì finalizzata a migliorare la qualità del use; nell’approccio comunicativo all’insegnamento d lingue seconde e straniere lo scopo è anzitutto use, mentre mano a mano che si avanza nell’approfondimento la dimensione del usage diviene significativa.

V

Valenziale, grammatica

In chimica ogni atomo richiede un dato numero (detto valenza) di altri atomi per raggiungere l’equilibrio di una molecola: l’ossigeno ha due valenze, l’idrogeno una, e quindi per dare l’acqua servono un atomo O e due atomi H: da qui viene il nome della grammatica valenziale di Tesnière, linguista francese del primo Novecento.

La grammatica valenziale è usata da molti manuali per l’insegnamento della lingua materna, in cui la sintassi è legata alla dimensione semantica. Il perno della frase è il verbo che, a seconda della sua natura semantica, richiede vari tipi di ‘argomenti’, come soggetto, oggetto e altri complementi. Alcuni verbi come gli impersonali atmosferici (‘piove’, ‘nevica’) non richiedono argomenti; altri ne richiedono uno, il soggetto, come molti intransitivi, ma la maggior parte dei verbi richiede due o tre argomenti (soggetto e oggetto, ‘amare’; soggetto e complemento indiretto, ‘abitare’; soggetto, oggetto, termine, ‘dare’), altri ne chiedono quattro per assumere significato pieno (‘tradurre’). Sapere quali argomenti attendersi contribuisce alla comprensione anche in lingue non native.

Valutazione e verifica

I due termini sono spesso associati, e spesso valutazione è considerato l’iperonimo dei due, anche se talvolta avviene il contrario.

Si tratta del complesso di operazioni che mira a

  1. misurare, verificare la quantità e la qualità dell’acquisizione di un allievo; questa fase è detta anche testing, che tuttavia si riferisce specificamente alla ricerca di informazioni oggettive, cosa possibile solo in alcuni aspetti della competenza comunicativa; le tecniche usate per raccogliere dati devono essere affidabili: misurare effettivamente quel che vogliono misurare, non avvantaggiare alcuni studenti rispetto ad altri, ridurre al minimo la soggettività del correttore;

  2. definire dei parametri (operazione detta anche scaling, ricorrendo a un termine inglese) da applicare ai dati del test per ottenere un punteggio (operazione detta anche scoring); ci sono dei parametri di carattere generale (efficacia pragmatica, appropriatezza contestuale, correttezza linguistica, quantità e qualità del lessico), ma ogni abilità e ogni tipo di prova prevedono parametri specifici, spesso raccolte in griglie di verifica/valutazione.

Le certificazioni linguistiche, che fotografano il più oggettivamente possibile un livello di competenza/performance, si limitano a queste prime fasi.

Nell’insegnamento linguistico nelle scuole, una volta raccolti i dati nella fase di verifica si procede alla valutazione, che può avere più sfaccettature: confronto tra i risultati di uno studenti con quelli del gruppo; confronto tra i risultati attuali e quelli di periodi precedenti (valutazione longitudinale); elaborazione di un giudizio di merito sull’acquisizione avvenuta, che può anche essere rapportato alla personalità del singolo evidenziando i suoi punti di partenza, i suoi progressi, le sue capacità.

La verifica nelle certificazioni e la valutazione nelle scuole sono anche atti amministrativi, che rilasciano attestati di competenza e decidono promozione o bocciatura.

Vocabolario vs dizionario

Termini spesso usati come sinonimi, ma

  • il vocabolario è il patrimonio lessicale di una lingua o di una persona, di uno scrittore, di un’unità didattica;

  • un dizionario è la sistemazione formalizzata del vocabolario, di solito in ordine alfabetico oppure in ordine di frequenza.

Z

Zona di sviluppo prossimale

È una nozione che, secondo Vygotskij, spiega all’educatore dove agire per accrescere l’acquisizione (di un bambino, nello specifico; di un apprendente, nell’accezione che se ne fa oggi): è la serie di conoscenze e competenze che si situano appena oltre il limite di quanto è già stato acquisito (intake), secondo un meccanismo che quarant’anni dopo verrà definito interlingua della linguistica acquisizionale e verrà racchiuso nella formula i+1 nella Second Language Acquisition Theory.

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