Rimediazione degli archivi di film: Digital Humanities e patrimonio audiovisivo
Abstract The curatorship of audiovisual archival collections is currently influenced by the challenges of digital technologies. Integrating these technologies can open new horizons in accessing, preserving, and enhancing audiovisual materials, yet it also introduces significant ethical challenges. For instance, greater accessibility to audiovisual heritage enables a broader audience to explore archives’ resources through new distribution models driven by technological, economic, institutional, and cultural changes. However, these changes require a mindful approach in selecting the materials, with ongoing reflections on sustainability and obsolescence.
Keywords Film studies. Film archives. Digital turn. Obsolescence. Digital humanities.
1 Introduzione
L’avvento del digitale ha agito in maniera capillare sul settore dell’audiovisivo, permettendone una maggiore accessibilità e nuove modalità di valorizzazione. La casistica è eterogenea, volendo riunire sotto il termine ombrello di ʻaudiovisivoʼ elementi caratterizzati da supporti differenti (filmici, magnetici, digitali), tipologie variabili (riassumibili nella polarizzazione fiction/non‑fiction e loro possibili declinazioni) e diverse modalità produttive (professionale e amatoriale). Il patrimonio audiovisivo consiste in una ricca e diversificata varietà di opere che testimoniano la storia, la cultura e le esperienze umane. Questo vasto orizzonte comprende una gamma ampia di film e registrazioni, che spaziano dal cinema destinato alle sale cinematografiche alla produzione non‑theatrical. La varietà riguarda peraltro anche forme e finalità dei soggetti conservatori, che spaziano dalle istituzioni (cineteche, archivi, musei) alle collezioni private. Anche tra istituzioni affini si è peraltro assistito a una buona varietà di pratiche, dai risultati spesso non omogenei. Delineato quindi il campo di indagine, la metodologia alla base di questa ricerca risponde a tale eterogeneità, nell’intersezione della letteratura dedicata all’archivistica cinematografica e gli orizzonti teorici degli studi sui media digitali.
Questo saggio affronterà dunque questioni relative alla rimediazione, nel doppio significato di passaggio di medium e di mediazione come processo curatoriale, del rapporto tra dispositivo originario e copia digitale, della tensione tra conservazione e accessibilità in un’ottica di sostenibilità al tempo stesso finanziaria, infrastrutturale e ambientale. Il nostro discorso mira a insistere sulla necessità di un ripensamento di ruoli, metodologie e professionalità in relazione al digitale. Queste tematiche appaiono d’altra parte trasversali alla varietà del patrimonio audiovisivo quanto ai vari passaggi che ne sottintendono il processo di archiviazione e diverranno, difatti, la guida dei paragrafi del nostro elaborato.
2 Archivi e digitale
2.1 Il patrimonio audiovisivo
Il cinema fiction, con le sue grandi produzioni e proiezioni nelle sale, ha influenzato profondamente la cultura e lʼarte del XX secolo. Parallelamente, la produzione non‑theatrical, che include film educativi, documentari, pubblicità, film d’impresa, videoarte e cinema amatoriale, fornisce unʼinteressante visione sulla storia delle istituzioni e delle pratiche sociali quotidiane. Il patrimonio cinematografico dalle sue prime forme alla fine del XIX secolo, fino alle pratiche odierne delle immagini in movimento, ha permesso di registrare, documentare e comprendere la memoria collettiva e personale. Film di finzione, documentari, cinegiornali, film amatoriali, ecc. non solo hanno catturato e raccontato eventi salienti e dinamiche storiche profonde, ma hanno contribuito a dar loro forma nel dibattito pubblico. Questo patrimonio è stato legittimato come tale solo negli ultimi decenni, quando il riconoscimento del valore culturale e storico dei film ha iniziato a soddisfare le priorità di conservazione legate alle sue qualità chimico‑fisiche. La salvaguardia e la trasmissione degli artefatti cinematografici oggi dipendono in larga misura dalle azioni di archiviazione, restauro e promozione da parte delle cineteche. Per quasi un secolo, il valore commerciale del cinema, prodotto di un’industria fiorente e remunerativa, è stato considerato più importante della sua rilevanza culturale. Il cinema ha acquisito una maggiore legittimità istituzionale solo da quando la conferenza dell’UNESCO di Belgrado ha riconosciuto lo status di opera d’arte dei film e ha richiesto pratiche di conservazione e preservazione adeguate alle altre forme del patrimonio culturale (UNESCO 1980).
2.2 Archivi di film
Come sosteneva il regista Bolesław Matuszewski già nel 1898, le immagini in movimento forniscono agli storici e agli studenti «una nuova fonte per la storia». Une nouvelle source pour l’histoire è il titolo del suo saggio dedicato alla necessità di costituire dei depositi di film (Grazzini 1999). Per Matuszewski, la ‘fotografia animataʼ avrebbe potuto rendere disponibili fonti verificabili e promuovere l’uso didattico dei film nelle scuole, esplorando le potenzialità del cinema in ambito scientifico, etnografico e storico. È quindi fin dalle origini del medium cinematografico che si riflette sulle funzioni del film come fonte e documento storico, che merita adeguate politiche di salvaguardia. La scomparsa di un’ampia parte di questo patrimonio, considerando che circa l’80% della produzione relativa al cinema muto è perduta, è un segnale emblematico della sua condizione effimera. Per garantire che il cinema possa essere tramandato alle generazioni future, è necessario raccoglierlo, catalogarlo, conservarlo e restaurarlo sistematicamente.
Rispetto ai primi passi compiuti in questo campo, quando si iniziava a considerare le priorità di conservazione e tutela, tali pratiche hanno ricevuto un inquadramento accademico ed etico. Durante gli anni Trenta del Novecento, molti cineclub, originariamente nati come luoghi di incontro per gli appassionati di cinema, subivano una trasformazione, diventando istituzioni nazionali con finalità politiche, governative, educative o archivistiche (Hagener 2007, 104). Si manifestava così una connessione sempre più stretta tra l’universo simbolico rappresentato dal cinema e la cultura che lo adottava come mezzo di espressione delle identità nazionali, assumendo una centralità nella costruzione e nella trasmissione della memoria collettiva. Oggi gli archivi di film, ovvero le istituzioni dedicate al patrimonio cinematografico, raccolgono, catalogano, conservano, restaurano e rendono accessibili i film (ma anche registrazioni audio, sceneggiature, fotografie di produzione, manifesti e altro ancora) per scopi culturali, di ricerca o per altri usi non commerciali. Pensando all’etimologia del termine ‘archivio’, dal greco ἀρχεῖoν (= archèion) che significa ‘palazzo dell’arconte’, ovvero il luogo in cui si presumeva fossero conservati gli atti ufficiali (Casanova 1928, 11), ci riferiamo ai modi in cui si determinano un ordine e una trasparenza fondamentali per l’accesso e la fruizione. Mary Ann Doane ha sottolineato che le radici delle scienze archivistiche e del cinema risalgono allo stesso impulso memoriale che caratterizzava il XIX secolo, quando emerse la promessa tecnologica di immortalare momenti fugaci, come registrare in modo permanente e conservare i vividi movimenti dei propri cari anche dopo la loro scomparsa (Doane 2002, 3).
Gli archivi cinematografici conducono un’importante attività di promozione pubblica della cultura audiovisiva, garantita dall’organizzazione di proiezioni, mostre ed eventi pubblici volti al mantenimento del cinema come forma d’arte e strumento di espressione culturale. Negli ultimi anni, l’interesse per le pratiche di conservazione ha riguardato queste istituzioni anche nella consapevolezza della materialità delle pellicole, intese come oggetti epistemici e tecnologici; a questo corrisponde un aumento nella costruzione di centri di conservazione allʼavanguardia in tutta Europa, veri e propri centri di ricerca e innovazione per garantire la conservazione a lungo termine di un patrimonio culturale vulnerabile (Venturini 2022, 119).
2.3 Le cineteche e il digital turn
Le risorse di queste istituzioni sono state supportate dai notevoli sviluppi che le tecnologie digitali stanno offrendo sia alle pratiche cinematografiche che a quelle archivistiche. Infatti, entrambe sono cambiate notevolmente negli ultimi anni; la graduale sostituzione dei materiali fotochimici e il workflow digitale, nonché l’aumento dei materiali e delle piattaforme digitali ha focalizzato l’attenzione sulla digitalizzazione, sugli standard e sui protocolli di conservazione (Fossati 2018). La convergenza digitale, ovvero quel processo culturale e tecnologico che sta trasformando radicalmente il panorama mediatico contemporaneo (Jenkins 2006), offre nuove finestre di circolazione per i film, e quindi nuove possibilità commerciali, in un momento in cui la tecnologia digitale è già diventata lo standard, soppiantando l’elemento analogico e fotochimico come principale vettore del patrimonio cinematografico. Con l’avvento delle tecnologie digitali per le immagini in movimento e la graduale obsolescenza dei sistemi in pellicola, il panorama cinematografico si è trasformato, dando vita a un ampio dibattito sul ruolo della tecnologia non solo nella produzione, ma anche nella ricerca, nella critica e nell’archivistica (Ingravalle 2023). Questo cambiamento ha generato una serie di domande riguardanti la natura stessa dell’arte cinematografica, la percezione estetica e la comprensione critica dei film. Sebbene il sistema digitale e quello analogico siano fondamentalmente diversi, per la mancanza di una controparte fisica o «isomorfica» (Rodowick 2007, 49), esistono posizioni teoriche diverse sull’effettiva collocazione dei dispositivi digitali nella storia dei media: per esempio, secondo alcune teorie, i dispositivi digitali sono qualcosa di radicalmente e nettamente separato dal medium analogico, soprattutto quando si fa riferimento a questioni di specificità (Cherchi Usai et al. 2008, 108), mentre, secondo altri orizzonti teorici, queste tecnologie rientrano nella varietà di innovazioni che la storia delle immagini in movimento potrebbe includere (Gunning 2003; Fossati 2018, 21). Un discorso fondamentale per la teoria dei media rimanda al neologismo di «rimediazione», dal latino remedium, derivato dal tema remedi (‘medicare’, ‘curare’), elaborato da Jay David Bolter e Richard Grusin, che descrive la logica con cui i media si rimodellano: un medium adotta le tecniche, le forme e i significati sociali di altri media e cerca di competere con essi o di modificarli (Bolter, Grusin 2002, 93).
Con la digitalizzazione dei film, l’accesso al patrimonio cinematografico può essere esteso su una scala molto più ampia rispetto alle precedenti esperienze di fruizione: «Where it used to be the size and selection of the holdings, access has become the pride of the contemporary archive» (Lundemo 2011, 193).
La transizione dalla produzione e distribuzione di film fotochimici a quelli digitali ha portato cambiamenti significativi anche nella natura stessa dei supporti e dei mezzi attraverso i quali i film sono concepiti, archiviati e diffusi. Mentre i film su pellicola erano proiettati in sale cinematografiche e distribuiti tramite bobine e poi acquisiti mediante telecinema per la circolazione nei palinsesti televisivi, i film digitali sfruttano reti di distribuzione diverse, come le piattaforme di streaming, che hanno rivoluzionato il modo in cui il pubblico accede ai film, consentendo la visione su dispositivi portatili come computer, tablet e smartphone, dunque la «ri‑locazione» (Casetti 2008) dell’esperienza spettatoriale. I cambiamenti nel patrimonio cinematografico causati dal coinvolgimento dei mezzi digitali implicano anche altre sfide legate a questioni finanziarie, legali, curatoriali e tecnologiche.
Grazie alla crescente domanda di contenuti culturali disponibili su Internet, molte cineteche si sono impegnate attivamente nella digitalizzazione e nella pubblicazione online delle loro collezioni, offrendo un’opportunità per la valorizzazione dei film. Fra le strategie di disseminazione digitale, oltre a portali con contenuti in streaming, gli archivi audiovisivi spesso adoperano anche canali dedicati sulle piattaforme di contenuti user‑generated, come YouTube o Vimeo, o di social network come Facebook e Instagram. Mentre i film su pellicola sono soggetti al deterioramento fisico nel tempo, i film digitali sono soggetti a rischi di danneggiamento e perdita di dati in modi molto diversi, come errori di trasmissione o di memorizzazione, che compromettono la loro qualità o addirittura li rendono inutilizzabili. Inoltre, siamo certi che in condizioni ottimali di conservazione, come determinate temperature e percentuali di umidità, le pellicole possano durare per oltre cento anni, come la qualità impeccabile delle pellicole Lumière può dimostrare; invece, per i file digitali ci sono problemi di durata che minacciano la conservazione a lungo termine. Questi problemi includono l’obsolescenza tecnologica dei dispositivi e dei formati di file, la vulnerabilità ai guasti hardware e software, la necessità di costanti migrazioni dei dati per evitare la perdita di accesso e la dipendenza da terze parti per la conservazione e la gestione dei dati (Besser 2000). Tutte situazioni che mettono in discussione la longevità dei materiali digitali, evidenziando la necessità di strategie di preservazione continue e costose.
Vari problemi legati ai protocolli della preservazione digitale, come ad esempio la migrazione dei dati, hanno un notevole impatto sulle procedure delle istituzioni che devono praticarle, costando anche molto tempo e denaro; si richiede un ampio lavoro sui codec, i dati e i metadati per consentire la complessa manutenzione dell’archivio digitale (Kromer 2018, 18).
Questi cambiamenti non hanno un impatto solo su questioni tecniche determinate dal workflow differente rispetto alle procedure dell’analogico (a cui i processi digitali si sommano, dato che per conservare gli originali si prevedono protocolli standard), ma anche un più complesso orizzonte epistemologico relativo ai contenuti. Infatti, nei domini digitali i contenuti audiovisivi provenienti da film digitalizzati sono sempre più disponibili in alta risoluzione e in numeri sempre maggiori. La messa online del patrimonio cinematografico solleva anche questioni culturali riguardanti la selezione dei film, nonché la rappresentazione accurata della memoria collettiva. Dunque, la necessità di strategie curatoriali adeguate diventa sempre più necessaria per interpretare correttamente i contenuti in una quantità sovrabbondante di fonti e materiali.
2.4 Digital Humanities e audiovisivi
Il dibattito sul ruolo della tecnologia nel cinema si allinea con un’ampia discussione che abbraccia tutte le scienze umanistiche, ovvero la vasta area denominata Digital Humanities. Si tratta di un campo interdisciplinare che applica metodi computazionali e strumenti digitali per studiare vari aspetti del sapere umanistico (Fiormonte et al. 2022). L’idea di una possibile integrazione tra i campi di studio classicamente associati alle discipline umanistiche (filologia, archeologia, arti visive, ecc.) e il sapere scientifico (in particolare l’informatica) si lega alla crescente mediazione dalle tecnologie informatiche, ma ha radici profonde nella storia culturale dell’Occidente, come il pensiero di Cartesio e Leibniz, che vedevano il calcolo e la matematica come strumenti per esplorare questioni metafisiche (Previtali 2023, 12), evidenziando l’importanza di integrare diverse influenze intellettuali. Nel campo dei Film Studies, e in particolare di quella branca di studi cinematografici che si occupa di archivi e patrimonio di film, si è anche discusso dell’impatto del pensiero computazionale nella gestione di risorse eterogenee nel trattamento di risorse culturali artistiche e museali, tra cui rientrano i contenuti audiovisivi; la diffusione delle Digital Humanities ha dunque determinato un interesse emergente per l’integrazione di tecniche informatiche per l’analisi dei dati relativi alle pratiche del patrimonio cinematografico (Catanese et al. 2021). L’applicazione di questi sistemi al contesto del patrimonio cinematografico non si riferisce solo alla digitalizzazione, ma anche a una serie di funzioni analitiche e pratiche da svolgere attraverso piattaforme e interfacce digitali.
Oggi, la collaborazione tra archivisti e professionisti della digitalizzazione porta allo sviluppo di strumenti interattivi, all’arricchimento dei metadati e a sofisticati algoritmi che aprono nuove possibilità per l’analisi dei film (Heftberger 2014). Questa intersezione non solo aiuta a preservare il patrimonio cinematografico, ma apre anche la strada a intuizioni e scoperte senza precedenti nello studio del film come artefatto culturale. Le cineteche assumono un ruolo fondamentale simile ad altre istituzioni del patrimonio culturale, diventando spazi in cui si negoziano e si riflettono dinamiche complesse di potere, democrazia, cittadinanza e senso di appartenenza (Brunow 2017, 99). Le cineteche nazionali europee, rispettando rigide linee guida che governano le pratiche archivistiche, quali la conservazione, il restauro, la raccolta e la facilitazione dellʼaccesso, oltre a preservare il patrimonio cinematografico, fungono dunque anche da centri di formazione culturale.
3 Curatela
3.1 Curatela come dispositivo
Gli archivi audiovisivi costituiscono il nucleo di un processo continuo di creazione culturale e di produzione di conoscenza, in cui la cultura e le forme di conoscenza sono costantemente rimodellate e ridefinite. In un’ottica foucaultiana, infatti, gli archivi sono concepiti come siti dinamici di agentività e potere cosicché l’attività curatoriale diventa sede di processi complessi di negoziazione (Foucault [1969] 1999). In questa prospettiva l’archivio non si pone come una sorta di contenitore neutro, bensì come un vero e proprio dispositivo1 che, selezionando cosa conservare e di fatto trasmettere, crea e veicola discorsi ed enunciazioni propri dell’istanza di potere che lo sostiene e lo innerva. Anche le cineteche, dunque, sono luoghi in cui si manifesta una complessa rete di dinamiche socioculturali e politiche, che influenzano il modo in cui il patrimonio audiovisivo viene creato, conservato, interpretato e reso accessibile al pubblico, sottostando a relazioni di natura egemonica in relazione a governance, ideologie, orizzonti politici, culturali e sociali molto più ampi.
1 Possiamo dunque interpretare il lavoro di curatela operato dagli archivi come ‘dispositivo’, ovvero un parametro concettuale che suggerisce l’esistenza di sistemi organizzati di procedure, che influenzano e controllano pratiche culturali e ruoli sociali. Negli studi di cinema, ad esempio, Hollywood è considerata un tipo di dispositivo che esercita un’influenza significativa sulla società, trasmettendo valori capitalisti. L’idea di dispositivo si è sviluppata nel contesto storico‑politico dell’Europa post‑1968 (Gatti 2019, 8).
La natura dispositiva dell’archivio non si riflette infatti nella sola selezione di ʻcosaʼ sia meritorio d’esser conservato, ma investe in pieno l’aspetto curatoriale in molti dei suoi risvolti che, nel loro intrecciarsi con il digitale, presuppongono un vero e proprio «mutamento di funzione dell’archivio stesso» (Dagna 2021, 241). Discutere della pretesa oggettività dell’archivio non è questione meramente formale, ma va esplicitata in un senso più ampio coinvolgendo diversi piani del discorso, che a loro volta si intersecano con la questione altrettanto ampia e aperta dell’utilizzo del digitale. È un fatto ormai consolidato che l’archivio abbia un impatto significativo sui risultati della ricerca storica, influenzando il processo in almeno tre fasi cruciali: durante l’acquisizione, la classificazione e lo scarto dei materiali (Caneppele 2021, 135). Lʼazione stessa dellʼarchivio è anzi il risultato di una negoziazione continua con altri livelli istituzionali (Antoniazzi 2021, 157), il che evidenzia ulteriormente la complessità e l’interconnessione dei processi archivistici con altre istanze e macrostrutture.
3.2 L’archivista, umano troppo umano?
Il processo di selezione proprio dell’archivio non è dunque questione né neutra né meramente tecnica, ma anzi definibile in termini di vera e propria enunciazione egemonica, che determina una negoziazione del potere, della democrazia, della cittadinanza e dell’appartenenza culturale.
Ingravalle evidenzia poi come l’archivio audiovisivo costituisca una intersezione di temporalità molteplici: «the linear time of the mechanical apparatus’s workings, the diegetic time represented in the film, and the temporality of reception» (Ingravalle 2023, 15) prospettandone come carattere fondante la necessità di rinegoziare e far dialogare fra loro queste temporalità. Questo compito, reso forse metodologicamente perfino più complesso dalle possibilità offerte dal digitale, non può tuttavia essere completato senza il lavoro umanissimo degli archivisti, che svolgono un ruolo cruciale nell’indicizzare e catalogare i materiali. Ciò non solo rende accessibili i materiali agli studiosi e al pubblico, ma contribuisce anche a preservare e valorizzare il patrimonio audiovisivo nel suo insieme, garantendo che sia disponibile e comprensibile per le generazioni future. Sebbene «in their work, archivists prefer not to speak about selection, but rather about creating an order of priority» (Brunow 2017, 102), l’operato dell’archivista è esso stesso influenzato dalla sua professionalità e dalla cultura di cui, più o meno coscientemente, è permeato. La pretesa oggettività del dato va dunque a decadere, anche quando esso si esprima in un metadato. Inoltre, il massivo processo di digitalizzazione del materiale archivistico non è stato generalmente supportato da un altrettanto incisivo lavoro di catalogazione e per un motivo molto semplice: la digitalizzazione ha velocizzato la possibilità di creare copie accessibili, ma il lavoro di catalogazione e curatela ha delle tempistiche che non possono davvero essere accelerate dai mezzi tecnologici (Cavallotti et al. 2021a, 20‑1). Se questo vale per la totalità degli archivi audiovisivi, ancora più evidente è per particolari tipologie di materiali, quali ad esempio il cinema muto o quello amatoriale, in cui il lavoro di mediazione svolto dagli archivisti risulta ancora più dirimente nel ricostruire la cornice entro il quale l’audiovisivo si muove e che contribuisce a definirne il senso.2 Disconoscere questo lavoro poiché non visibile equivale a non problematizzarne adeguatamente l’incontro con il digitale e le sue conseguenze, situazione a sua volta in buona parte dovuta alla triviale pressione dei finanziamenti che prediligono la digitalizzazione e l’accessibilità al lavoro curatoriale e di catalogazione (Dagna 2021, 245). Questa sorta di cortocircuito ha di fatto creato una serie di paradossi, ben lontani dalla flessibilità relazionale propria del digitale che si presupponeva potesse, quasi in automatico, innervare di un nuovo senso il mondo degli archivi audiovisivi. Accanto ai più evidenti e gloriosi risultati posti dalla creazione di appositi database, come la possibilità di sezionare la fonte potendone osservare dettagli precedentemente non osservabili o la facilità di accesso e comparazione tra fonti diverse, l’attuale impostazione del lavoro d’archivio applicandosi al digitale ha purtroppo generato anche esiti tutt’altro che felici, quali l’immissione di dati anche quantitativamente imponenti ma generici e grezzi, la standardizzazione al ribasso del loro reperimento, la meccanizzazione dei risultati della catalogazione che rendono la ricerca veloce quanto ripetitiva, spesso chirurgica ma affatto globale.3 Negoziare un equilibrio tra esigenze pratiche e presupposti curatoriali non è assolutamente semplice, ma si può insistere su formazioni che tengano assieme prospettive archivistiche e digitali, evitando di tradurre una nell’altra. Bisogna, in buona sostanza, agire alla radice per avviare un ripensamento delle professionalità relative alle prime che si avvalga dei panorami offerte dalle seconde, ammettendo entrambe come «forme di mediazione complesse» (Previtali 2023, 55).
2 In particolare per queste tipologie di audiovisivi il ruolo dell’archivista dovrebbe dunque rispondere a una strategia curatoriale che rifletta il significato originario del termine latino ‘cura’, inteso come preoccupazione e attenzione, prendendosi cura dei ricordi delle persone, anche se non direttamente delle persone stesse, come suggerisce il termine inglese caregiver (Caneppele 2022, 303).
3 Interessante a tal proposito lo studio di Alovisio e Mazzei sulle fonti filmiche e cartacee reperibili online e riguardanti il cinema muto italiano, che secondo gli autori occupa «un ruolo centrale, se non addirittura dominante, nella rivoluzione – se così possiamo definirla – della ricerca storica 2.0» (Alovisio, Mazzei 2021, 138).
4 Valorizzazione
4.1 Archivi online
Gli sviluppi e le tensioni fin qui descritti caratterizzano quel che è stato definito il «paradigma della valorizzazione» (Cavallotti et al. 2021a, 16), nel corso del quale la disseminazione del patrimonio audiovisivo ha goduto di un notevole ampliamento anche, se non soprattutto, grazie all’utilizzo del web. Questo ha in effetti notevolmente ampliato l’accessibilità del materiale da remoto, nonché la possibilità di innestare prospettive di più ampio respiro, sia multi che interdisciplinari.
L’azione trasmissiva degli archivi si è in effetti già da tempo trasferita sul web, utilizzando piattaforme proprietarie o commerciali. È il caso di portali come l’Archivio Storico Luce Cinecittà, che comprende un vasto patrimonio di film, cinegiornali, fotografie e documenti, con materiali prodotti dal 1924 al 1962 e collezioni private e fondi audiovisivi acquisiti nel tempo e che ha oltre 77.000 filmati disponibili in streaming.4 Già questo particolare definisce però anche uno dei limiti della valorizzazione online: costruire articolati progetti di valorizzazione su accordi commerciali con società private li sottomette a logiche lucrative non sempre sostenibili, anche fosse per il mancato rinnovo dei contratti tra istituzioni e aziende. Se a ciò si aggiunge la profetizzata quanto difficoltosa ʻmigrazione programmataʼ, a cui si è già accennato, il destino dei progetti di valorizzazione online appare quello di un’inevitabile obsolescenza che già oggi colpisce alcuni portali e database online, rendendoli del tutto inaccessibili.5
4 L’Archivio Storico Luce Cinecittà ha associato al proprio sito web un portale pionieristico, fin dal 1998, per la diffusione del materiale audiovisivo via streaming. https://www.archivioluce.com/.
5 Ciò non riguarda solo archivi di piccole dimensioni e poco finanziati, ma anche progetti molto cospicui, interistituzionali e internazionali. Ad esempio, Alovisio e Mazzei citano l’European Film Treasures, piattaforma online che raccoglieva il materiale di decine di archivi europei e chiusa per la mancanza di risorse, e il progetto interuniversitario Le tecnologie del cinema, il cui database è andato in fumo a causa di un guasto del server (le copie di backup sono state conservate, ma risultano non accessibili).
4.2 Archivi partecipativi
La rete stessa è per altro, nella sua variopinta estensione ed eterogeneità, un vero e proprio repository di immagini e dati, in buona sostanza un vero e proprio archivio democratico e spontaneo, nel senso che chiunque può conservare e trasmettere ciò che reputa degno di nota (Cati 2016). Social network e piattaforme di streaming vengono agite come strumenti per depositare e condividere le proprie memorie personali o veicolare identità comunitarie, spesso anche tramite l’utilizzo di prodotti rimediati inseriti a titolo personale, ma anche amatoriale e paraprofessionale. Ciò avviene però in compresenza, e parzialmente in conflitto, con l’altro processo di democratizzazione: quello che ha investito gli archivi istituzionali rendendoli sommamente più accessibili proprio tramite disseminazione e valorizzazione sul web. Piattaforme come YouTube o social network come Instagram forniscono oggi un interessante quanto problematico campo di analisi in cui l’abbondanza delle fonti si accompagna spesso a una drammatica carenza di informazioni di contesto e metadati, di cui questi archivi spontanei sono solitamente privi (Fickers 2012). Il materiale viene in questo caso esposto più che valorizzato poiché carente delle informazioni necessarie a renderlo utile per la ricerca storico‑archivistica. Allo stesso tempo, però, la natura partecipativa della rete, che si esplicita tanto negli archivi spontanei quanto nella possibilità di interazione degli archivi istituzionali con gli utenti in direzione di un disseminato crowdsourcing aperto alla multidisciplinarità e perfino al non‑professionismo, può apportare risultati inediti e perfino impensati sia per quanto riguarda l’accesso alle fonti che i risultati della ricerca (Alovisio, Mazzei 2021, 144). Numerosi sono ormai i portali che si avvalgono della collaborazione degli utenti, provenienti dai più variegati ambiti disciplinari ma anche veri e propri non professionisti, appassionati cultori o utenti generici, spaziando dal reperimento di fonti altrimenti inaccessibili, all’identificazione di luoghi o dati di contesto, all’elaborazione collettiva di nuovi significati. Se da una parte questo processo democratizza ulteriormente il discorso archivistico, dall’altra è indubbio che provochi un cortocircuito all’interno del quale il ruolo di mediazione dei professionisti del settore debba rielaborarsi in maniera meno tradizionale ed epistemologicamente più flessibile.
5 Conclusioni
Il processo di mediazione della memoria operato dagli archivi audiovisivi, sia nelle loro iniziative in praesentia che sulle piattaforme digitali, si presenta come un lavoro concettuale e curatoriale complesso, che interseca orizzonti di ricerca con pratiche riconducibili alla divulgazione didattica. Gli archivisti cinematografici cercano oggi di riformulare il significato delle loro collezioni in questo momento di transizione tecnologica anche attraverso un dialogo con il pubblico contemporaneo; le genealogie intrecciate di arte e media mettono in relazione il valore culturale degli artefatti tecnologici con lʼepistemologia delle immagini in movimento, determinando la curatela messa in atto dalle cineteche come un vero e proprio laboratorio di ricerca (Fossati, van den Oever 2016, 24). Nonostante i finanziamenti per la digitalizzazione del patrimonio archivistico siano diretti alla sola scannerizzazione del materiale, tralasciando aspetti cruciali come la conservazione degli originali e la loro corretta catalogazione, il concetto di digitalizzazione non dovrebbe essere limitato al semplice passaggio dal formato filmico al digitale. Al contrario, il digital turn ha investito in pieno l’intero workflow archivistico, comprendendo le fasi di catalogazione, studio e valorizzazione del materiale, tanto da rendere necessaria una più ampia riflessione sulle metodologie, le competenze, perfino le professionalità e le finalità relative all’utilizzo del digitale nei confronti del patrimonio audiovisivo. Il processo di digitalizzazione degli archivi audiovisivi ha, soprattutto nelle prime fasi, spesso sofferto della mancanza di una riflessione teorica globale, soprattutto sulla portata e le conseguenze di questi processi. In verità questa ‘occasione mancata’ ha riguardato l’intero sistema archivistico nel suo rapportarsi al nuovo mezzo digitale (Fickers 2012), seppur con lodevoli eccezioni (Vitali 2004). L’entusiasmo generato dall’incontro tra archivi audiovisivi e digitale risiedeva nella promessa, in parte esaudita, di superare l’antico dilemma Langlois‑Lindgren (accessibilità‑conservazione)6 e di farlo in un momento in cui il concetto di patrimonio audiovisivo si allargava sempre più, andando a comprendere la genericità dei prodotti mediali contenenti immagini in movimento. Più recentemente, si sta tuttavia assistendo al fiorire di una più attenta problematizzazione metariflessiva della questione, sia nell’ambito più ampio delle Digital Humanities che più specifico dei Film Studies (Previtali 2023).
6 Il dibattito tra Henri Langlois ed Ernest Lindgren riguarda le differenti prospettive e approcci alla conservazione e alla preservazione del patrimonio cinematografico. Entrambi furono pionieri del movimento cinetecario, al centro delle discussioni nell’ambito della comunità della FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi di Film) nel dopoguerra, con due approcci diametralmente opposti, l’approccio romantico in contrasto a quello scientifico. Henri Langlois, cofondatore della Cinémathèque Française con Georges Franju e Jean Mitry, è stato un sostenitore di un approccio di raccolta e conservazione di una vasta gamma di opere cinematografiche, considerandole parte integrante della memoria e della storia del medium. La sua priorità era proiettare costantemente i film in sala insistendo nell’importanza della circolazione; così facendo, contribuì alla formazione di una generazione di cinefili, che delineò la stagione della Nouvelle Vague. Dall’altra parte del dibattito, l’approccio di Ernest Lindgren, ex direttore del National Film Archive del Regno Unito, promuoveva un approccio più selettivo alla conservazione, offrendo alla comunità tecniche e strategie di preservazione e catalogazione che sono ancora oggi ampiamente adottate dalle cineteche di tutto il mondo (Roud 1983; Dupin 2007).
La sostenibilità è stata una tematica ricorrente nel corso di questa seppur rapida panoramica. In ogni passaggio, in vari degli aspetti trattati, ci si è infatti interrogati su come rendere sostenibile, nella teoria e nella pratica, un incontro ancora denso di occasioni quanto carico di tensioni. La sostenibilità si prospetta dunque come uno dei fattori che più spinge la riflessione teorica e metodologica verso la necessità di un ripensamento globale della natura stessa dell’archivio e che riesca a confrontarsi con percorsi complessi ma che prospettano scenari non più rimandabili (Antoniazzi 2020).
La sostenibilità del lavoro d’archivio deve necessariamente prendersi carico della complessità della curatela, con tutto ciò che abbiamo visto sottintendere e perfino, in qualche modo allargare la sua prospettiva.
In un interessante saggio, Denicolai (2021) aggiunge infatti un altro elemento alla rete relazionale che sottostà alla costruzione enunciativa dell’archivio: l’algoritmo. Nel caso ad esempio di YouTube, riattualizzando una prospettiva foucaultiana l’autore rintraccia una relazionalità discorsiva che interseca spettatore, macchinario e rappresentazione. L’algoritmo stesso, pertanto, partecipa alla costruzione di una relazione discorsiva piuttosto coerente, nonostante i suoi enunciati siano provvisori in quanto dipendenti dagli input forniti dagli utenti. Arrivare a relazionarsi con una struttura totalmente inorganica, come può essere un algoritmo, può rappresentare un fecondo terreno di rielaborazione. Emerge infatti la consapevolezza della necessità di incorporare criticamente le prospettive proprie delle Digital Humanities, non per appropriarsi della scientificità, bensì per beneficiare della loro valenza prorompente ed euristica, così da rendere possibile e necessaria una ridefinizione epistemologica e metodologica dell’intera questione digitale‑audiovisivo (Latsis, Ingravalle 2017). La necessità di una ricerca sostenibile parte, infatti, dagli archivi ma inonda di fatto tutte le professioni a essi legate, costringendo storici, archivisti e curatori a un ripensamento del proprio ruolo. In ciò risiede una potenzialità inedita che lascia di fatto liberi di esplorare modalità ancora da immaginare. È stato osservato come un certo tipo di professionismo possa occultare scelte e soprattutto non‑scelte più o meno accondiscendenti nei confronti di un certo tipo di potere (Caneppele 2021). L’impellente necessità di doverlo ripensare, sia nelle metodologie che nella sua propria legittimità, permette di «prendersi delle responsabilità attraverso la riaffermazione delle proprie scelte» (Dagna 2021, 249).
I finanziamenti predisposti sono, come detto, in genere finalizzati alla digitalizzazione e alla creazione ex novo delle infrastrutture necessarie, quasi mai alla conservazione di queste e dei dati prodotti, generando un’insostenibilità che è insieme finanziaria e infrastrutturale. Progetti cospicui sono attualmente non accessibili da remoto a causa dell’obsolescenza dei formati di digitalizzazione o del mancato rinnovo contrattuale con le società che forniscono i servizi informatici necessari alla loro pubblicazione. Una prospettiva ancor più grave minaccia poi gli archivi partecipativi e basati sul crowdsourcing, che possono prevedere modalità di conservazione diffuse al di fuori degli ambiti istituzionali:7 in caso di dismissione della piattaforma si rischia infatti di passare dall’inaccessibilità alla completa perdita del materiale audiovisivo e dei dati relativi. Il ripensamento del sistema di finanziamento dei prodotti digitali relativi agli archivi audiovisivi deve dunque investire anche gli scopi della sua azione, nel medio termine oltre che nell’immediato.
7 È il caso, ad esempio, del quasi decennale progetto AmateurFilm Platform, che tra il 2014 e il 2023 ha raccolto e pubblicato sul proprio portale audiovisivi digitalizzati amatoriali, occupandosi anche di raccoglierne le informazioni relative tramite l’intervento degli utenti. Parte del patrimonio audiovisivo era già conservato presso gli archivi partner, parte è stato raccolto durante il progetto digitalizzando materiale di privati (poi restituito) ma anche permettendo agli utenti di pubblicare direttamente sul portale i propri audiovisivi digitalizzati o nativi digitali. Come recita laconicamente la pagina di reindirizzamento dell’URL, la piattaforma è stata dismessa dal novembre 2023 per non meglio precisati problemi di sicurezza e obsolescenza. I partner si riservano la possibilità di riflettere su una futura nuova pubblicazione. https://www.amateurfilmplatform.nl/.
Ciò che appare evidente è infatti che la legittimità data dal digitale alle metodologie relative alla conservazione, archiviazione e valorizzazione dell’audiovisivo non risieda direttamente nell’utilizzo delle tecnologie, quanto piuttosto nel ripensamento epistemologico alla base dell’intero processo archivistico. Definendo il patrimonio audiovisivo come bene comune, Antoniazzi pone in effetti la sua legittimità al di fuori delle logiche predominanti di ispirazione neoliberista o digital‑populista, proponendo uno studio del pubblico, reale e potenziale, tramite interventi metodologicamente orientati dalle ricerche di studi sociali, smontando e rimontando l’intero discorso in termini relazionali e pubblici più che specialistici e di settore (Antoniazzi 2021). In una tale prospettiva diventa necessario riflettere su quali possibilità di legittimazione possano dunque offrire le metodologie digitali come attivatori di relazioni tra patrimonio audiovisivo e pubblico. È forse questo l’ambito su cui, al momento, teoria e pratica risultano più divaricati.
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Questa pubblicazione è uno dei risultati di ricerca del PRIN 2022 PNRR SAFE - The SustainAbility of Italian Film hEritage. Archival Infrastructures, Digital Preservation, Stewardship Strategies, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU – P2022TXJ77.