La ricerca sulle ultime lettere della Resistenza dagli anni Cinquanta a oggi
Abstract Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana database is a no longer very recent tool, yet of great vitality and usefulness, as evidenced by the sporadic but constant additions of documents, access statistics and feedback from the public, often of non-specialists. The project stems from the book (and the related research) Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, published in the 1950s and edited by Piero Malvezzi and Giovanni Pirelli, but benefits from the new context of both technology and culture in the 2000s. This article, starting with a brief examination of the nature and contexts of production of such epistolary, aims to analyse these important differences and their consequences in terms of outcomes. Primarily, the database made it possible to trace more accurately the origin of the documents. But, above all, it has allowed to reconstruct more faithfully the texts (not infrequently subject to omissions or alteration at the transcription stage) and to add important ‘context’ information (such as writing supports or the way of writing and occupying the spaces on the sheet) in the frequent cases in which it has been possible to recover the autograph originals of the letters. This article will also highlight some of the evidence that the database has made possible through the inclusion of search filters and a form for searching for words and expressions in the text of the messages.
Keywords Resistance. World War II. Epistolary. Semantic web. Digital history.
1 Gli epistolari della Seconda guerra mondiale
Nella produzione editoriale sul secondo conflitto mondiale, accanto a racconti e romanzi di autori quali Fenoglio, Calvino o Meneghello (per citarne solo alcuni), uno spazio importante, anche se non numericamente rilevante, è occupato dalle raccolte epistolari.
La più celebre è forse L’ultimo fronte (1971), in cui Nuto Revelli ha messo insieme le lettere scritte dagli alpini piemontesi sulle linee del Don, prima di cominciare la ritirata (e in molti casi perire) nel gelo russo. Le missive, chiuse in sedici sacchi, erano per altro state destinate al macero dalla burocrazia militare, con scarsa lungimiranza e poca consapevolezza dell’importanza di un corpus documentario, composto da
Diecimila lettere [scritte da], migliaia di uomini che parlano, che raccontano. Alcuni dicono quasi tutto, disegnano l’arco completo della loro vita militare; altri, con testimonianze frammentarie, ricostruiscono poche pagine della loro esperienza e non sempre le più importanti; altri ancora, e sono una folla, si inseriscono nel discorso per fermare soltanto un problema, uno stato d’animo, un momento. (Revelli 1971, XXXIX-XL)
Oltre alle lettere dal fronte, una produzione consistente riguarda le raccolte di documenti scritti dai militari durante la prigionia, che dunque non è una condizione sufficiente a interrompere il canale di comunicazione verso casa (Franzinelli 2004, 518) (o quanto meno a inibire il desiderio di farlo).1 Si tratta tuttavia, nella grande maggioranza dei casi, di raccolte circoscritte all’ambito locale. Eppure nulla viene tolto al loro valore di testimonianza, di memoria, di documentazione, benché parziale.
1 Tra i più significativi epistolari di internati militari si possono annoverare: Serpellon, A. (a cura di) (1988). Lettere di caduti e reduci del Cadore nella Seconda guerra mondiale. Venezia: Istituto veneto per la storia della Resistenza; Zaghi, V. (1996). Lettere dal Lager. Soldati e internati militari polesani nella Seconda guerra mondiale. Rovigo: Minelliana; e (2004). Lettere dai campi di battaglia e di prigionia. Finale Ligure: Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Savona. Relativamente agli epistolari dei deportati politici è giusto menzionare Borgato, D. (2002). Non si poteva dire di no. Prigionia e Lager nei diari e nella corrispondenza di un’internata Venezia-Mauthausen-Linz 1944-1945. A cura di M. Tommasi. Verona: Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea.
Se dunque, come abbiamo visto, non mancano gli epistolari dal fronte o dall’internamento, altrettanta abbondanza non si riscontra per quanto riguarda la vita partigiana.2 È d’altra parte perfettamente logico: far parte della Resistenza significa essere, di fatto, un fuorilegge, un ‘ribelle’ destinato a una vita precaria e piena di incertezze, costantemente alla macchia e a caccia di nascondigli sicuri, con il rischio continuo di essere braccato e catturato dai nazisti o dai fascisti (Franzinelli 2004, 518). Le normali condizioni per comporre un epistolario, sia psicologiche che pratiche, vengono perciò a mancare. Oltre alle ovvie difficoltà logistiche nel far recapitare le lettere, bisogna anche considerare che qualsiasi messaggio destinato ai propri cari è un potenziale elemento di compromissione e di pericolo per il mittente e per i destinatari (518), questi ultimi oggetto di possibile rappresaglia nel caso in cui vengano trovati in possesso di documenti tali da far scaturire un’accusa di intelligenza con il nemico.
2 Per contro i militari della RSI scrivono più o meno regolarmente ai loro parenti, come scrive Franzinelli (2004, 518).
Il rischio è ben espresso da Nicolò Marino, in quello che è poi divenuto il suo testamento spirituale:3
3 Documenti scritti da persone che non si trovavano al momento della scrittura della lettera di fronte a una condanna a morte o a una consapevole certezza della morte imminente in considerazione del contesto e degli eventi. Per approfondire si veda «Testamenti spirituali». Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana. https://www.ultimelettere.it/?page_id=105.
Gianna carissima, finalmente dopo tanto tempo dalla mia partenza da Torino per Piani Auti, oggi ho la possibilità di farti avere mie nuove causa che scrivere è molto pericoloso per te e per me.4
4 «Lettera di Nicolò Marino alla Moglie scritta in data 19-10-1943 da Forno Canavese». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=494&doc=584.
Salvo rare eccezioni, dunque, l’esperienza partigiana sconsiglia il contatto epistolare con la famiglia, anche in caso di cattura e prigionia. Il controllo della corrispondenza da parte dei carcerieri è ferreo, perché tra le righe di un banale (in apparenza) messaggio scritto a casa possono esserci indizi per trovare e catturare altri ribelli o anche solo strumenti di pressione sullo stesso prigioniero: più delle torture fisiche, può spesso spingere a tradire i compagni di lotta la minaccia che venga fatto del male ai propri cari.
Un caso del tutto peculiare sono infine i messaggi scritti nell’imminenza dell’esecuzione e di una morte che sia in qualche modo annunciata. Si tratta sempre di documenti infrequenti (e ne vedremo in seguito le ragioni), ma composti con uno stato d’animo e in una situazione che non di rado può far cadere le cautele e le remore che caratterizzano normalmente la condizione di prigionia.
2 L’‘ultima lettera’ di un condannato a morte
Nella casistica contemplata negli epistolari, l’ultimo scritto di un condannato a morte è pertanto un messaggio del tutto peculiare. Come scrive Gustavo Zagrebelsky nella sua prefazione al volume Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana 8 settembre 1943-25 aprile 1945 (Malvezzi, Pirelli 2002) si tratta di lettere
concepite nel momento più solenne della vita, un momento che non a tutti è dato di vivere, quando in piena lucidità e coscienza si è faccia a faccia con se stessi, in presenza della morte, erano indirizzate alla cerchia delle persone più vicine e care, in cui sono riposti gli affetti e da cui nasce l’impegno civile. Chiedono conforto, memoria e anche perdono per una scelta compiuta che è causa di dolore, spiegata e giustificata come decisione necessaria a un valore superiore. […] questi testi sconvolgenti parlano di esseri umani negli ultimi istanti della loro vita, nell’attesa consapevole della fine per mano di altri esseri umani. Ogni facoltà spirituale deve essere stata provocata fino all’estremo. (Zagrebelsky 2002, V)
È dunque con estrema cautela, sostiene sempre Zagrebelsky, che bisogna approcciare volumi o fondi archivistici che raccolgono questo particolare tipo di documenti. Bisogna avere la consapevolezza che in questo, più che in qualsiasi altro caso, leggere e pubblicare questi scritti significa invadere la sfera privata di un individuo, accedendo (e diffondendo) i suoi ultimi e più intimi pensieri, destinati solo allo sguardo dei suoi cari o di una famiglia. È come essere autori di «qualcosa di simile a una profanazione» (VI).
D’altro canto, nella sua presentazione della banca dati Ultime lettere, Gianni Perona afferma che
l’ultima lettera di un condannato a morte, specialmente nei contesti di persecuzione a carattere politico o religioso, ha assunto ripetutamente nella storia europea un carattere di documento insieme privato e pubblico, di rivendicazione d’innocenza e di testimonianza, capace di trasmettere ai posteri un’immagine onorevole per la famiglia ed esemplare per i compagni di fede. Il raccogliere tali lettere approdò spesso – ad esempio presso i protestanti nelle guerre di religione – alla costituzione di un vero e proprio martirologio, e certamente a questo obiettivo mirarono anche quei militanti dei movimenti di resistenza che un po’ dappertutto nell’Europa appena liberata, talora a guerra non ancora finita, ricercarono gli estremi messaggi dei loro compagni, e li riunirono e pubblicarono. (Perona 2006)
L’intento pubblico, ovvero costruire un pantheon di martiri civili per consolidare le fondamenta della memoria collettiva di una nazione, è quindi una motivazione sufficientemente forte per giustificare quella profanazione di cui parla Zagrebelsky.
3 Le ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza
Come si è accennato nei paragrafi precedenti, nella Resistenza italiana le ‘ultime lettere’ sono relativamente poco consuete. S’è già descritta la pericolosità di scrivere messaggi dal carcere in un contesto persecutorio, ma si è anche sottolineato che in punto di morte questa inibizione va parzialmente a cadere, almeno in chi sta per terminare la sua vita e intende dare un ultimo saluto ai propri cari.
Quali sono dunque le ragioni della loro rarità? Ebbene, esse risiedono nelle stesse condizioni in cui le lettere sono state generalmente prodotte. La loro stesura presuppone innanzitutto delle condizioni almeno temporanee di legalità, in cui a un detenuto sia annunciata, con pur limitato preavviso, l’imminente fine (Perona 2006). Ciò, durante la guerra di liberazione, avviene in realtà molto di rado. La possibilità di scrivere un messaggio d’addio e di ricevere i conforti religiosi, ad esempio, è sistematicamente negata in occasione dei rastrellamenti (Franzinelli 2004, 536), dopo i quali i partigiani catturati vengono immediatamente passati per le armi. Solo in pochi casi (e decisamente non di prassi), chi viene catturato è sottoposto a un processo sommario, tenuto davanti a qualche improvvisato tribunale militare, al termine del quale viene emessa la sentenza di morte. E tuttavia, quand’anche nel condannato vi sia la consapevolezza del proprio destino, molto spesso costoro non sono in grado di comporre alcun messaggio, dopo giorni di torture e di prigionia in condizioni estreme (e ammesso che si possieda poi il livello di alfabetizzazione necessaria). Nei casi migliori e più fortunati, la trasmissione dell’ultimo pensiero è affidata all’opera generosa e volontaria di qualche trascrittore, come un parroco o un cappellano militare.
Molto spesso, poi, ai morituri non sono concessi né gli strumenti (carta e penna o matita) né il tempo per la scrittura. Infine un certo peso, meno determinante ma comunque importante, è dato anche dalla mancata garanzia della trasmissione del messaggio ai destinatari: nel dubbio, alcuni scelgono di non scrivere; altri invece, desiderosi di comunicare con l’esterno informazioni importanti o di lasciare meramente una traccia di sé stessi, lo fanno ugualmente, magari cercando di far uscire gli scritti clandestinamente (con il rischio però di fidarsi delle persone sbagliate e di compromettere, come si è già accennato, sé stessi e i destinatari).
Emblematico è il caso di Andrea Mensa, che compone una serie di tre biglietti5 delle dimensioni di un odierno post-it, indirizzati ai compagni di lotta. Le sue parole servono alla causa della lotta partigiana e hanno carattere eminentemente operativo, per questo l’autore sceglie un formato che possa essere nascosto facilmente e fatto quindi uscire dalla prigione con minor rischio per l’incaricato alla consegna.
5 «Lettera di Andrea Mensa (Mirto) ai Compagni di lotta». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=269&doc=730.
Le lettere affidate ai canali ‘ufficiali’ sono invece sottoposte al vaglio della censura. Esiste quindi sempre il rischio che lo scritto non sia recapitato o che vengano operati decisi interventi sul contenuto. Avviene così, ad esempio, per la lettera che Ezio Cesarini (fucilato al poligono di tiro di Bologna il 27 gennaio 1944) scrive dal carcere al fratello Mario6 e che manca completamente di buona parte della seconda facciata; o per il messaggio che Pier Luigi Mazzoletti (ucciso nei pressi di Cormons il 2 ottobre 1944) compone per la moglie da Gradisca di Isonzo,7 nel quale sono presenti alcuni punti illeggibili perché cancellati dalla censura, come lo stesso autore precisa nel terz’ultimo foglio; o ancora lo scritto di Zosimo Marinelli (lui pure fucilato al poligono di tiro di Bologna il 27 gennaio 1944), anche in questo caso destinato alla moglie,8 dove sono omesse tre righe, alla stessa maniera di quanto avvenuto per Cesarini.
6 «Lettera di Ezio Cesarini al Fratello Mario scritta in data 27-01-1944 da Carceri di Bologna». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=107&doc=142.
7 «Lettera di Pier Luigi Mazzoletti alla Moglie scritta in data 2-10-1944 da Gradisca d'Isonzo». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=204&doc=114.
8 «Lettera di Zosimo Marinelli alla Moglie scritta in data 27-01-1944 da Carceri di Bologna». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=115&doc=146.
In altri casi i documenti potrebbero essere conservati dagli stessi aguzzini: l’originale della lettera di Giovanni Battista Vighenzi è stato infatti reperito tra le carte del Comandante delle SS Alois Thaler.9 Si tratta verosimilmente di episodi rari, vista la prevedibile sfiducia dei carcerati ad affidare queste lettere ai propri carcerieri o la scarsa propensione di questi ultimi a conservarle dopo averle trattenute alla censura o recuperate dal corpo dai cadaveri. La pietà e l’empatia mostrate da Thaler (ammesso che di questo si sia effettivamente trattato) non sono state storicamente frequenti, durante l’occupazione nazista in Italia.
9 «Lettera di Giovanni Battista Vighenzi (Sandro Biloni) alla Moglie scritta in data 27-04-1945». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=619&doc=787.
Ci sono poi situazioni in cui si ha la certezza che lettere esistano e siano state scritte, ma a oggi risulta impossibile reperirle perché inserite nelle bare degli scriventi (è così per Giuseppe Bassani, Mario Molteni e Carlo Prina). Altre sono state poi certamente allegate alle pratiche per il riconoscimento partigiano: una ricerca nei fascicoli del fondo Ricompart10 sarebbe in questo senso opportuna. E tuttavia, come sostiene Gianni Perona (2006), se ne ricaverebbe un incremento numerico poco significativo in rapporto al numero complessivo di vittime: probabilmente di qualche decina fra i circa 25.000 civili e partigiani disarmati uccisi dai nazifascisti (escludendo quindi i partigiani morti in battaglia, con i quali il conto salirebbe a circa ottantamila).11
10 Con la sigla Ricompart si indica il fondo Archivio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani, che conserva la documentazione prodotta dalle Commissioni regionali istituite nell’immediato dopoguerra (1945 e 1948) e dalla Commissione unica nazionale istituita nel 1968. Il fondo archivistico era conservato presso il Ministero della Difesa, che lo ha versato all’Archivio Centrale dello Stato negli anni 2009-12. I documenti sono oggi digitalizzati nella banca dati Partigiani d’Italia (https://partigianiditalia.cultura.gov.it/archivio/).
11 Le risultanze del lavoro condotto nel dopoguerra dalle Commissioni riconoscimento qualifiche partigiani e patrioti indicano in 62.070 il numero dei partigiani caduti e in 14.350 i civili uccisi dai nazifascisti. Dai dati dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (www.straginazifasciste.it) risultano 15.500 civili e oltre 7.000 partigiani uccisi dopo il disarmo e la cattura.
Un simile scenario aiuta a comprendere molto bene perché questi esemplari di documento siano così rari, perché la loro ricerca sia stata (e sia tuttora) così faticosa e perché, spesso, di eventi molto importanti e tragici, quali ad esempio la deportazione politica e razziale, ci è stata trasmesso solo qualche frammento: un biglietto avvolto intorno a un sasso e gettato dal vagone di un trasporto tedesco diretto a Mauthausen, come fatto da Tullio Degasperi;12 o un messaggio inciso con una punta di spillo tra le prime e le ultime pagine di una bibbia reperita sul luogo della sua esecuzione, come nel caso di Willy Jervis;13 a volte solo un nome e un cognome che, segnando le spoglie, permettessero l’identificazione futura. E spesso nemmeno quella, come dimostrano i molti casi di ‘anonimi’ delle Fosse Ardeatine,14 che, nonostante gli sforzi per decifrare i documenti ormai usurati e quasi illeggibili, rimangono purtroppo ignoti.
12 Ad esempio «Lettera di Tullio Degasperi (Ivan) a moglie e familiari scritta in data 1-02-1944 dalla tradotta ferroviaria per Mauthausen». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=181&doc=483.
13 «Lettera di Guglielmo Jervis (Willy) alla Moglie e ai figli scritta in data 5-08-1944». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=252&doc=858.
14 Benché ormai vi sia assoluta certezza sull’identità di tutti i 335 fucilati alle Fosse Ardeatine, alcuni dei messaggi reperiti sui cadaveri rimangono di autore indefinito, sia perché le salme non sono riconoscibili, sia perché gli stessi messaggi non sono decifrabili, anche a causa dell’usura.
4 Distribuzione geografica
A conferma di quanto esposto finora si può prendere in considerazione la distribuzione geografica degli scritti, così ineguale e disequilibrata. Se la differenza tra nord e sud è tutto sommato comprensibile, analizzando l’evoluzione della Seconda guerra mondiale, stupisce di più notare come l’area nordoccidentale sia estremamente preponderante rispetto a quella nordorientale.
Sia che consideriamo il luogo di nascita degli scriventi che il luogo di morte, il Piemonte è la regione più rappresentata: ben 130 lettere fra quelle finora reperite sono state scritte da questa regione. Molta incidenza è data dall’area di Torino e dal ruolo dei cappellani militari alle Carceri nuove, che offrivano loro stessi carta e penna ai condannati al momento di ricevere la loro confessione, persuadendoli a scrivere un ultimo messaggio ai propri cari. Non è infatti un caso che per molti dei morituri incarcerati a Torino si conoscono e conservano anche più lettere (fino a sei, come nel caso di Ferreira)15 composte tutte poche ore prima dell’esecuzione. La loro trasmissione fino ai giorni nostri deve poi molto all’opera di Padre Ruggero Cipolla, cappellano militare delle Nuove dal novembre 1944, e al volume da lui pubblicato a guerra appena finita (Cipolla 1945).
15 «Pietro Ferreira». https://www.ultimelettere.it/?page_id=35&ricerca=215.
Le lettere scritte in Veneto sono invece solo 24 (ma sono 40 i veneti che riescono a comporle). Qui la presenza nazista è più numerosa, funzionale a presidiare le vie di comunicazione con (e di fuga verso) la madrepatria e a monitorare il fronte jugoslavo, che a differenza di quello francese è decisamente più ‘caldo’, almeno fino allo sbarco alleato in Costa Azzurra dell’estate 1944. Questo si estrinseca in parte con una maggiore ferocia repressiva, tale da negare anche concessioni minime ai morituri. È però vero che, analizzando l’andamento degli episodi di violenza letale nella zona (Dogliotti 2016, 113-14), emerge che la metà delle stragi e delle uccisioni avviene da gennaio a maggio 1945, quindi nell’ultimo periodo di guerra e a ridosso o in concomitanza con la ritirata. È, questo, un frangente spesso confuso, nel quale l’azione dell’occupante si fa più erratica e disorganica, in cui il controllo centralizzato del territorio lascia spazio all’azione dei singoli reparti o dei singoli soldati. Sotto una lente simile, si può dunque effettivamente affermare che la ferocia repressiva è maggiore e le concessioni ai prigionieri (condannati a morte o meno che siano) sono tra le ultime priorità dell’occupante.
Diverso problema sembra essere invece quello dell’area meridionale. Qui è lecito ipotizzare che la difficoltà delle comunicazioni abbia pesato durante la guerra sul destino dei messaggi che possono essere stati inviati da alcuni fra le migliaia di caduti originari del sud e delle isole, e che una rinnovata campagna di ricerche riporti alla luce una documentazione troppo dispersa per poter essere reperita in tempi brevi. E tuttavia si tratterebbe potenzialmente, anche in questo caso, di pochissimi ritrovamenti (Perona 2006).
5 Il database Ultime lettere
5.1 L’origine della banca dati
La banca dati Ultime lettere16 è stata pubblicata dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri nell’ormai lontano 2006. Si è trattato, all’epoca, di un avvenimento piuttosto peculiare e innovativo, perché per la prima volta l’Istituto metteva online uno strumento digitale atto a restituire non un catalogo bibliografico o archivistico o una schedatura di dati semplici, bensì di un prodotto che avesse anche (se non soprattutto) un forte carattere divulgativo. Partendo dal presupposto della pubblicazione cartacea curata da Pieri Malvezzi e Giovanni Pirelli nel 1952 (Malvezzi, Pirelli 1952), che ha avuto tanto successo da essere poi ristampata nel corso degli anni un’altra ventina di volte,17 la banca dati Ultime lettere ne riproduce in linea di massima la struttura, con un breve profilo biografico del morituro e la trascrizione integrale del testo della lettera. A esse però, il database aggiunge alcuni elementi che sono tipici di un prodotto digitale. Innanzitutto la scansione dei documenti originali, laddove è stato possibile recuperarli, o delle loro trascrizioni. In secondo luogo la mappatura di alcuni dati significativi degli autori delle lettere, che è possibile suddividere per luogo di nascita o morte, studi e professioni, ma anche esperienze militari e appartenenza alle formazioni partigiane. Si può così scoprire, ad esempio, che circa il 25% dei condannati a morte o deportati lavorava come operaio, ma altrettanti appartenevano alle cosiddette ‘professioni liberali’ (architetti, avvocati, ingegneri, insegnanti, medici, ecc.) o al novero degli ufficiali o degli impiegati pubblici e privati.18 Emerge poi che grossomodo uno su quattro era (o era stato) arruolato nelle forze armate (con una grande preponderanza dell’esercito).19 O che il livello di istruzione fosse generalmente sopra alla media, quando noto, con una grande prevalenza di diplomati e laureati.20 A ben riflettere è un fatto logico: maggiore è l’alfabetizzazione, maggiore è la capacità (e la volontà) di scrivere; e tuttavia i numeri delle vittime di cui non si hanno notizie sul percorso di studi (il 60%) rende difficile tracciare una statistica significativa. Un dato interessante è infine l’età al momento della morte: per circa la metà degli autori dei messaggi era compresa tra i 16 e i 25 anni.21
16 I dati esposti nel paragrafo precedente, così come i documenti menzionati in quello prima, sono contenuti nella banca dati Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana (www.ultimelettere.it). Per comodità, d’ora in avanti la chiameremo semplicemente Ultime lettere.
17 Quattordici edizioni nei Saggi Einaudi, quattro negli Struzzi, almeno una nei Tascabili, nei Millenni e negli ET Saggi.
18 «Professione». http://www.ultimelettere.it/?page_id=140.
19 «Appartenenza alle Forze Armate». http://www.ultimelettere.it/?page_id=127.
20 «Studi». https://www.ultimelettere.it/?page_id=141.
21 «Età». https://www.ultimelettere.it/?page_id=114.
5.2 I corpora documentari
Si è citato poco sopra il volume di Malvezzi e Pirelli e non certo per caso. L’idea iniziale, quella da cui trae origine la realizzazione della banca dati Ultime lettere, è proprio rendere disponibili online gli ultimi scritti di partigiani, antifascisti e deportati politici e razziali conservati nel fondo donato all’Istituto nazionale da Piero Malvezzi negli anni Ottanta,22 in cui è conservato tutto il materiale della ricerca che sta alla base della pubblicazione cartacea. A questo materiale, nel database si aggiunge la raccolta effettuata da Mimmo Franzinelli nel 2003-04,23 anch’esso propedeutico a un libro, ovvero Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza (Franzinelli 2005).
22 Archivio dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, Fondo Malvezzi Piero Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana e europea.
23 Archivio dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, Fondo Raccolta Franzinelli/Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza 1943-45.
A queste due donazioni archivistiche si è poi aggiunto un numero non trascurabile di ulteriori acquisizioni, avvenute sia contestualmente alle operazioni di data entry all’interno di Ultime lettere (esaminando altri fondi archivistici depositati in Istituto o negli istituti a esso associati),24 sia dopo la pubblicazione della banca dati stessa, grazie alla solerzia di alcuni famigliari o archivi privati che hanno inviato copia digitale del loro posseduto.
24 Per maggiori dettagli sulla rete Parri consultare «Chi siamo». Portale Rete Parri. https://www.reteparri.it/chi-siamo/.
In altri casi, l’ulteriore supplemento di ricerca – che perdura tutt’oggi, malgrado le scarse disponibilità di tempo e di risorse – ha consentito di reperire documenti originali e autografi laddove, in precedenza, erano note solo trascrizioni a macchina o, nel migliore dei casi, copie fotografiche in bianco e nero. Questo aspetto sarà analizzato più nello specifico in seguito.
5.3 Le due ricerche
La ricerca pionieristica di Giovanni Pirelli e di Piero Malvezzi e la seconda indagine condotta da Mimmo Franzinelli hanno comunque prodotto la parte più consistente delle lettere pubblicate nel database, anche se in modi che non potrebbero essere più diversi tra loro.
Pur se donato all’Istituto negli anni Ottanta, il Fondo Malvezzi è composto da documenti raccolti per la maggior parte negli anni Cinquanta e primi anni Sessanta. Tra le ‘ultime lettere’ in esso conservate abbondano le trascrizioni a macchina; solo nei fascicoli relativi agli anni Settanta è possibile trovare qualche rara fotografia in bianco e nero. Il fondo donato da Mimmo Franzinelli è invece composto per lo più da supporti digitali. Ci sono moltissime scansioni di originali e, nei casi in cui questo non si verifica, esiste chiara indicazione di dove reperirli.
5.3.1 Differenze tecnologiche
Questa dissonanza tra i due corpora ha ragioni ovvie e meno ovvie, connesse al diverso momento in cui essi sono stati raccolti. Innanzitutto, vi sono questioni meramente tecniche. Negli anni Cinquanta le trascrizioni erano l’unica possibilità per riuscire ad avere copia dei documenti. Le macchine fotografiche erano appannaggio ancora di pochi e i vari ricercatori che collaboravano con Malvezzi e Pirelli non ne possedevano. Negli anni Duemila invece siamo già in piena epoca digitale; anche la fotografia ormai si sta svincolando dalla pellicola. Nella peggiore delle ipotesi, ci sono comunque le copie fotostatiche, che permettono – con tutte le cautele del caso per non rovinare i documenti – di ottenere una copia fedele dell’originale.
5.3.2 Contesto socioculturale della ricerca di Malvezzi e Pirelli
Non è però solo la tecnica a marcare la differenza. Un ruolo fondamentale lo ha anche il diverso contesto socioculturale. Negli anni Cinquanta, Malvezzi e Pirelli non chiedevano neppure ai propri ricercatori di recuperare gli originali,25 ben consci del valore che questi documenti avevano per chi li conservava e del fatto che, di fronte a una simile istanza, molti di loro si sarebbero inibiti e avrebbero finito per non rendere disponibili le lettere nemmeno per una trascrizione. Esisteva infatti allora un legame molto stretto tra il possessore del documento e il documento stesso, perché molto stretto e diretto era il legame con chi lo aveva scritto: figli, genitori, mogli o mariti, fratelli o sorelle. La lettera era una reliquia, l’ultimo lascito tangibile del congiunto defunto.
25 Emerge chiaramente dal carteggio tra loro e con i loro collaboratori, conservato proprio nel Fondo Malvezzi Piero Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana e europea.
Il concetto è espresso in modo perfetto proprio in uno dei documenti, scritto dal diciottenne Mario Marveggio ai genitori: «questo mio scritto sarà il ricordo che voi gelosamente custodirete, in cielo ci rivedremo».26 Spesso, per il suo contenuto, si tratta anche di un conforto per i destinatari, laddove il condannato sia riuscito a inserire espressioni consolatorie capaci, almeno in parte, di lenire il dolore della perdita e lasciare di sé un ricordo positivo, se non addirittura eroico, nei congiunti (Franzinelli 2004, 537). Il ventenne Walter Del Carpio, ad esempio, scrive: «E tu babbo, sappiti rassegnare come già lo sono io, vedi che la mia mano non trema».27 Anche Ivan Silvestrini, coetaneo dei Del Carpio, non trema, anche se in lui non vi sono parole di rassegnazione: «Vengo fucilato ma non tremo e come non tremo io non lo dovete nemmeno voi».28 La rassegnazione c’è invece in Rino Gualandi, ma legata alla fede, che in molte lettere (e lo vedremo meglio in seguito) rappresenta un architrave del discorso: «Siate sereni. Abbiate fede, pregate per me. Ci rivedremo in cielo».29
26 Nell’originale «chuesto mio scrito sarà il richordo che voi gelosamente chustodete, in celo cirivedremo». «Lettera di Mario Marveggio ai genitori scritta in data 24-03-1944 da Lucca». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=117&doc=853. Marveggio è di natali umili e probabilmente analfabeta. Questa sua ultima lettera è verosimilmente anche la prima mai scritta.
27 «Lettera di Walter Del Carpio (Scott) ai suoi cari scritta in data 25-01-1945 da Pieve di Teco». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=596&doc=696.
28 «Lettera di Ivan Silvestrini ai Genitori scritta in data 2-05-1944 da Fabriano». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=156&doc=345.
29 «Lettera di Rino Gualandi ai familiari da Rio delle Vallette». https:/www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=198&doc=110.
Più semplicemente si tratta, in tutti i casi, dell’ultimo lascito dei propri cari, dell’ultima traccia lasciata nella vita terrena. È ancora il caso di Gualandi a renderlo esplicito, nel racconto della sorella Natalina:
Passo tre giorni convinta che mio fratello sia deceduto nel mitragliamento, ma trovo strano il comportamento di mio padre; non una parola riguardo la disgrazia, non tocca cibo e sta giorno e notte rincantucciato nella stalla completamente distrutto; cerco di avvicinarlo e lo trovo che bacia e bagna di lacrime un piccolo foglio che appena mi vede tenta di nascondere; gli chiedo il perché di questo ed è così che papà grida come impazzito che Rino è stato fucilato, mi dà il foglio e mi dice che quello è l’addio di Rino e mentre leggo queste righe comprendo benissimo il comportamento di papà. (Bonicalzi, Scardovi 1997, 115)
A ciò si aggiunge un secondo elemento, che deriva non dall’atteggiamento dei possessori del documento, bensì da quello dei richiedenti. Non era infatti tra gli scopi della pubblicazione cartacea quello di diffondere gli originali; e, per altro, sarebbe stato molto complicato riuscire a farlo, per le ragioni tecniche e tecnologiche descritte in precedenza. L’obiettivo, in primis proprio di Malvezzi e Pirelli, era soprattutto memoriale, idealizzante; l’intento era costruire un martirologio del partigianato che fosse edificante, che tramandasse esempi di nobiltà e purezza d’animo contro l’oppressore nazifascista. Il fulcro era il testo (o parti di esso), non il contesto. Tale atteggiamento si inserisce perfettamente nel clima che permea la stagione immediatamente successiva alla fine della guerra, in cui si è cercato (con successo) di imporre la memoria e il racconto della Resistenza come fondativi dello Stato post-fascista e repubblicano attraverso una narrazione priva di aspetti critici, enfatica ed eroicizzante, non di rado oltre i limiti della ricostruzione fantasiosa.30
30 Si vedano a tal proposito i recenti studi di Luigi Borgomaneri e Santo Peli, in particolare Peli 2022.
Questa è anche la ragione per cui a volte i trascrittori hanno espunto alcune parti dello scritto o ne hanno modificato determinate parole durante la loro opera. È un fatto di cui ci si è potuti accorgere solo dopo aver recuperato gli originali dei documenti presenti nel fondo Malvezzi. Si è notato così che in qualche occasione è stata omessa una frase contenente espressioni d’ira e di rancore o pretese di vendetta. In altre non figura un momento di debolezza che induce il condannato a morte a chiedere ai propri famigliari di intercedere presso il comando nemico per ottenere clemenza. In altre ancora, infine, scompaiono brani legati alla quotidianità, come la supplica di avere un cambio di biancheria dopo una settimana trascorsa in carcere o note quasi testamentarie come la preghiera di lasciare dei soldi o degli oggetti in eredità a qualcuno. Forse anche queste semplici note si temeva che potessero guastare in qualche modo l’immagine esemplare che si voleva trasmettere.
5.3.3 La ricerca di Franzinelli
Il contesto della ricerca coordinata inizialmente da Mimmo Franzinelli (e finanziata dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che poi l’ha proseguita autonomamente) è invece sostanzialmente diverso. I documenti si trovano spesso in archivi pubblici o comunque accessibili, come quelli degli istituti associati all’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Se invece permangono presso i famigliari, si tratta di parenti di seconda o terza generazione, con un legame meno viscerale con la lettera originale e anche con una differente consapevolezza del valore storico e documentale della stessa. Un principio che è per altro alla base della stessa raccolta operata da Franzinelli e dai ricercatori che hanno collaborato con lui.
L’ultima lettera diventa dunque fonte storica, da recuperare nella sua integrità innanzitutto testuale, senza censure o omissioni di sorta. Ogni passaggio del testo, ogni parola o virgola, restituisce il quadro complesso della condizione di morituro, che sia per condanna o per deportazione, e del contesto storico, sociale e culturale in cui la sua vicenda personale si inserisce. Diventa così emblematico, ad esempio, che il comunista Giordano Cavestro usi la parola «camerata» per parlare dei suoi commilitoni partigiani31 (parola che diviene «compagni» nella pubblicazione di Malvezzi e Pirelli): forse l’intento di Cavestro è ironico, forse è un tentativo di sfuggire alla censura (ma poco sotto la parola «compagni» è invece usata senza timore) o forse – più probabilmente – permane l’imprinting culturale fascista, difficile da cancellare soprattutto nei momenti di grande tensione quale può essere quello che precede l’esecuzione della pena capitale.
31 «Lettera di Giordano Cavestro (Mirko) ai Compagni di lotta scritta in data 4-05-1944 da Parma». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=130&doc=349.
Se, com’è evidente, il digitale offre diversi vantaggi in termini di facilità, velocità e precisione nella riproduzione delle lettere autografe, occorre giustamente rilevare come lo scenario degli anni Duemila non sia tutto benefici ed efficienza. La distanza temporale ha infatti fatto spesso perdere le tracce dei documenti, smarriti in chissà quali cassetti famigliari. Il reperimento di originali, così come di nuovi scritti, è quindi assai più complicato oggi, malgrado tutte le innovazioni possibili e la diversa sensibilità sulla natura di fonte storica che si respira oggi.
In soccorso giungono fortunatamente le ricerche locali, che negli anni hanno aiutato a diffondere e preservare almeno la natura testuale dei documenti, anche se spesso senza alcuna citazione archivistica. Risalire il percorso di conservazione si è rilevato spesso arduo, ma comunque possibile, come dimostra il caso di alcuni anonimi delle Fosse Ardeatine. I corpi delle vittime della strage del 24 marzo 1944 sono infatti portati all’Università di Macerata affinché a eseguire l’autopsia sia il prof. Attilio Ascarelli. Indosso ai cadaveri ci sono ovviamente tutti i loro effetti personali e quelli di coloro per i quali non è possibile risalire a un’identità certa confluiscono in quello che a tutt’oggi è il Fondo Ascarelli, conservato per l’appunto nell’archivio dell’Ateneo maceratese. Nel 1965 Ascarelli pubblica un volume (Ascarelli 1965) in cui, tra le altre cose, riporta alcuni stralci di questi documenti scritti da mano ignota. Non essendo uno storico, il medico giustamente non indica con precisione quali estratti provengono da quali lettere. Nel loro volume del 1999, Mario Avagliano e Gabriele Le Moli (Avagliano, Le Moli 1999, 19-20) pubblicano dunque quegli estratti senza consultare i documenti originali ma indicando comunque la fonte letteraria che, per quanto poco conosciuta, ha comunque permesso ai ricercatori dell’Istituto nazionale Parri di risalire all’archivio dell’Università di Macerata e agli originali in esso conservati.
Malgrado il buon esito della ricerca, la vicenda dimostra una evidente vulnerabilità derivante dal fare troppo affidamento sulle ricerche e sulle pubblicazioni di carattere più locale: errori e imprecisioni possono perpetuarsi nel tempo, fino a solidificarsi e a diffondersi. Nel caso degli ‘anonimi’ delle Fosse Ardeatine, l’errore di Ascarelli (se così possiamo definirlo, visto che non si tratta di uno storico né la sua opera ha intenti storiografici) viene ripreso da Avagliano e Le Moli e – in un primo momento – anche dall’Istituto nazionale Parri, che solo in una seconda fase ha recuperato gli autografi e li ha inseriti nel database Ultime lettere.
Il tema del reperimento dei documenti autentici è dunque fondamentale e dirimente. Capita – benché raramente – che anche i messaggi originali non nascano dalla penna dei morituri, ma siano riportati da trascrittori, visto che – come si è descritto in precedenza – non sempre le vittime hanno la capacità di scrivere o sono nelle condizioni per farlo, dopo giorni di continue sevizie. Se in questi ultimi esempi non è possibile risalire all’intenzione primigenia dell’autore, perché la mediazione è già nell’originale arrivato fino a noi, nei casi in cui (e sono la stragrande maggioranza) sia stato lo stesso condannato a stilare il suo ultimo scritto, l’autografo diventa essenziale per comprendere e interpretare il più fedelmente possibile il senso e il significato delle sue parole e del suo ultimo discorso in relazione con il contesto storico, come si farebbe con qualsiasi altra fonte documentaria.
6 Il contenuto delle lettere
Uno degli aspetti più interessanti della banca dati Ultime lettere riguarda proprio questo punto.
Come si è spiegato in precedenza, trattandosi di un prodotto di schedatura digitale, il database effettua un’ovvia serie di categorizzazioni in merito sia alle biografie dei morituri che ai documenti. È dunque possibile analizzare – tra le altre cose – l’estrazione sociale degli scriventi, l’età, la professione, l’appartenenza politica o il grado di istruzione; ma anche la tipologia e il grado di trasmissione del testo delle lettere, se (e quanti) autografi originali, copie fotostatiche, trascrizioni a mano o a macchina sono giunte fino a noi, depositate in archivi pubblici o privati.32 Questo secondo aspetto può essere di grande interesse per i filologi, mentre il primo risulta statisticamente poco significativo per trarre conclusioni in riferimento all’intero movimento partigiano, giacché – come si è descritto nella prima parte del contributo – il numero di lettere è davvero troppo esiguo in rapporto alle migliaia di aderenti alla Resistenza. E tuttavia, i risultati possono essere utili a capire qualcosa di più sul corpus documentario nel suo complesso.
32 «Filtri di trasmissione e tradizione del testo». https://www.ultimelettere.it/?page_id=111.
Lo strumento che però risulta maggiormente significativo in rapporto all’epistolario e al contenuto delle lettere è senza dubbio il filtro di ricerca semantica, che permette cioè di scandagliare l’intera raccolta digitalizzata cercando determinate parole o frasi nel testo.33 I dati ricavati sono estremamente utili e intriganti. Essi descrivono innanzitutto uno scarso rilievo dell’ideologia. Termini come ‘comunismo’ o ‘comunista’ risultano in soli 4 messaggi, benché quasi la metà degli scriventi appartenesse a quell’area dottrinale. Anche i concetti di ‘libertà’, ‘onore’ o ‘dovere’ sono tendenzialmente poco usati (rispettivamente 45, 32 e 51 volte). Riflessione a parte merita il concetto di ‘patria’, che ricorre in 67 messaggi su 753 (8%), scritti da 61 condannati. Fra questi, il 44% appartiene alle Forze Armate, che è una percentuale molto maggiore del totale dei militari censiti nel database (27%). È inevitabile considerare come quel concetto fosse sentito molto più vicino a chi avesse una formazione militare, anche forse in virtù dell’uso fattone dal fascismo. Non è un caso che tra le lettere dei condannati della RSI il suo utilizzo sia molto più frequente; e non è nemmeno un caso che, nei messaggi dei partigiani, ricorra molto più spesso il termine ‘Italia’ (117 volte, cioè quasi il doppio).
33 «Ricerca avanzata». https://www.ultimelettere.it/?page_id=134.
Il motivo per cui la sfera ideologica è dunque tanto ridimensionata risiede evidentemente nella terribile contingenza della morte annunciata e imminente, da cui scaturisce il valore prettamente affettivo e privato del contenuto dei messaggi. Scrive Franzinelli:
Sulla soglia della morte scatta il bisogno di spiegare perché la propria vita viene stroncata, o anche solo di respingere il marchio di bandito sanzionato da chi ha decretato la condanna. (Franzinelli 2004, 518)34
34 La tendenza è confermata anche negli scritti giunti clandestinamente e non transitati dalla censura, che – quantunque importante – non risulta in questo caso un fattore determinante.
Ricorrono quindi spesso le parole di saluto (‘addio’ è in 154 lettere), la consapevolezza della fine (‘morire’ è scritto 77 volte, ‘muoio’ 164, ‘condannare’ / ‘condanna’ / ‘condannato’ 99) e, più raramente, una rivendicazione di innocenza (63 volte). Grande rilievo ha poi la sfera religiosa: il ‘destino’ è invocato 115 volte (in varie declinazioni), ‘Dio’ in 207, ‘Prego’ in 98. Una menzione a parte meritano le parole legate al concetto di ‘perdono’, che ricorrono in 216 messaggi: si tratta in molti casi di una richiesta spirituale, ma non di rado essa si indirizza anche (o soltanto) ai famigliari, ai quali il condannato domanda indulgenza per la scelta fatta e le sofferenze causate, pur non rinnegando (quasi mai) l’adesione al movimento partigiano, nonostante questo lo abbia portato all’estremo sacrificio.
Un’ultima considerazione va spesa per vendette e torture. Malgrado il momento e i prevedibili rancori verso eventuali delatori o traditori, raramente (9 volte) nelle lettere viene chiesta una rivalsa o una punizione nei confronti del nemico o, più nello specifico, di chi ha determinato la propria cattura o la morte. A dispetto dei sentimenti più laici, permane forse nei morituri il desiderio di abbandonare la vita terrena senza macchie o rancori.35 Anche delle torture non si parla spesso, ma quando lo si fa le parole risultano particolarmente incisive, anche quando non si usa espressamente il termine. Così Mario Pasi fa avere clandestinamente ai compagni di lotta un bigliettino in cui scrive «mandatemi del veleno non resisto più»;36 mentre Giovanni Venturini racconta alla madre che «Ormai sono ridotto a misera cosa, non sono più un uomo37 e qualche volta piango dal dolore dei miei piedi che non mi serviranno più».38
35 Anche in questo caso c’è equilibrio tra lettere uscite clandestinamente e passate attraverso la censura, a riprova che, ancora, questa non era un fattore determinante al punto da incidere così tanto su alcuni aspetti del contenuto.
36 «Lettera di Mario Pasi (Montagna) ai Compagni di lotta da Carceri delle SS di Belluno». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=120&doc=148
37 Durante le sevizie Venturini viene sottoposto a evirazione.
38 «Lettera di Giovanni Venturini (Tambìa) alla Madre da Edolo». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=676&doc=850
7 La materialità: l’importanza dei supporti
Non è però solo in ragione dell’integrità testuale che gli originali hanno grande valore. Spesso sono altrettanto importanti le informazioni di contesto che essi restituiscono. Un caso emblematico è costituito dalla lettera di Alfredo Formenti,39 uno dei rari casi di copie fotografiche presenti nel Fondo Malvezzi. Nella copia in bianco e nero le macchie a metà del foglio possono apparire d’inchiostro; dopo aver recuperato l’originale risulta invece evidente come si tratti di sangue, verosimilmente di Formenti stesso [fig. 1].
39 «Lettera di Alfredo Formenti (Brodo) alla Moglie scritta in data 1-02-1945 da Genova». http://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=424&doc=360.


Figura 1 A sinistra la lettera originale di Alfredo Formenti; a destra la copia fotografica in bianco e nero
Un altro dato importante che il documento originale fornisce riguarda il modo in cui la scrittura riempie lo spazio, spesso più ordinata e ariosa all’inizio e poi via via sempre più frettolosa, sincopata e schiacciata in concomitanza con la fine del foglio. Occorre infatti sempre considerare la scarsa disponibilità dei supporti su cui scrivere e che spesso il massimo di cui si disponeva erano due facciate di un biglietto. A volte però nemmeno quello. In diversi casi, infatti, abbiamo messaggi scritti su ciò che si aveva in tasca al momento dell’arresto. Esterino Rech e Secondo Brignolo [fig. 2] vergano quindi le loro ultime parole su dei libri di preghiere; Willy Jervis fa lo stesso, ma non avendo a disposizione una penna incide l’interno della copertina di una bibbia con una punta di spillo. Strumento simile è usato probabilmente da Ignazio Vian su una pagnotta [fig. 3]. Epimenio Liberi, ucciso alle Fosse Ardeatine, ha con sé un foglio pentagrammato in quanto maestro di musica di professione [fig. 4]. Gianfranco Mattei scrive la sua ultima lettera sul retro di un assegno [fig. 5], mentre Umberto Fogagnolo (ucciso a piazzale Loreto, a Milano) lo fa sul lato posteriore di una fotografia. A Ivo Pasquinelli, in modo quasi ironico, è concessa una cartolina con lo slogan fascista «Vinceremo». Guido Valota infine compone un lungo messaggio su un manifesto di carico, concessogli probabilmente da qualche anima pia nell’ultimo giorno di prigionia alla Caserrma Umberto I di Bergamo, prima di essere tradotto a Mauthausen.

Figura 2 L’ultimo messaggio di Secondo Brignolo

Figura 3 La pagnotta incisa da Ignazio Vian

Figura 4 Il pentagramma su cui Epimenio Liberi scrive le sue ultime parole

Figura 5 Gianfranco Mattei scrive la sua ultima lettera sul retro di un assegno
In altri casi invece le tasche sono vuote o si ha il desiderio di lasciare una traccia più tangibile e pubblica del proprio passaggio o del proprio lascito. Giovanna Bordignon Sereni, ad esempio, incide una sorta di graffito sul muro della cella nella Risiera di San Sabba, dove tiene un resoconto dettagliato delle date di deportazione dei propri famigliari [fig. 6]. L’ultima riga del testo, che recita «Non potiamo kapire ke fine a fata kuesta signora»,40 è stata postillata da un altro prigioniero, probabilmente sloveno o croato. Di carattere meno pratico e più ideologico ciò che invece il generale Sabato Martelli Castaldi lascia nelle carceri di Via Tasso, a Roma: «Quando il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora più vivo nel ricordo di chi resta. Fa che possa essere sempre di esempio».41
40 «Lettera di Giovanna Bordignon Sereni a… da Risiera di San Sabba». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=202&doc=112.
41 «Lettera di Sabato Martelli Castaldi (Tevere) a… da Carceri di Via Tasso, Roma». https://www.ultimelettere.it/?page_id=52&ricerca=262&doc=209.
Insomma, tutto concorre, al pari se non più delle parole stesse, a trasmettere l’estrema drammaticità e precarietà del momento, in cui v’è la sospensione di ogni diritto più elementare, come la possibilità di comunicare con i propri cari e informarli del proprio triste destino.

Figura 6 L’incisione di Giovanna Bordignon Sereni
8 Conclusioni
Come si evince, un primo e fondamentale elemento di interesse della banca dati Ultime lettere è rappresentato proprio dall’aver messo a disposizione, gratuitamente e sul web, un archivio inventato42 capace di radunare in un unico corpus documentario virtuale un patrimonio che possiede un estremo valore civile e morale, fondamentale tassello nella costruzione di una religione civile43 italiana purtroppo spesso (e sempre più) messo in discussione. Naturalmente la pubblicazione di un prodotto digitale di per sé non è sufficiente a garantirne l’ampia fruizione e il coinvolgimento del pubblico (Cauvin 2016, 177-81); e tuttavia, i percorsi biografici segnati dalle difficoltà e dal martirio, uniti alle parole e alle testimonianze di chi tale martirio lo ha subito, esercitano ancora oggi – pur a distanza di anni – una presa emotiva molto forte, che rende Ultime lettere uno strumento utilissimo per essere utilizzato con gli studenti delle scuole secondarie o in iniziative destinate alla cittadinanza, come ad esempio reading o spettacoli teatrali.44
42 Una definizione approfondita di «archivi inventati» si trova in Rosenzweig 2011.
43 Sulla definizione e sul tema si vedano i lavori di Maurizio Ridolfi, in particolare Ridolfi 2021.
44 Esempio recente è l’iniziativa realizzata il 14 aprile 2023 presso la Casa della memoria di Milano (https://www.reteparri.it/eventi/canti-lettere-della-resistenza-reading-partecipato-9463/).
In secondo luogo, per quanto le categorie e i filtri di ricerca non siano in grado di dare riscontri significativi sul movimento partigiano nel suo complesso (visti i numeri troppo esigui del campione rispetto alla totalità degli aderenti alla Resistenza), essi possono ugualmente delineare un quadro di tendenze e relazioni tra alcuni fattori sociali e demografici, quali età, genere, istruzione, alfabetizzazione, età e professione. Uno spunto, da collegare poi con altre schedature più complessive come quella di «Partigiani d’Italia».
Come enunciato nel paragrafo precedente, non è poi da sottovalutare l’importanza che il digitale può avere nel restituire la materialità di oggetti difficili da raggiungere o in qualche caso perduti. Può sembrare un controsenso, e ovviamente stiamo parlando di una materialità che è esclusivamente visiva, ma grazie all’opera di reperimento e digitalizzazione dei documenti originali è possibile restituire la piena integrità della fonte, sia testuale che contestuale, allo scopo di inquadrarla al meglio sia nel particolare momento vissuto dallo scrivente (la prigionia e l’imminenza della morte) che nel periodo di riferimento.
Infine, l’aspetto forse più rilevante (e ancora oggi non comune in strumenti analoghi) riguarda l’analisi semantica del corpus documentario, che rappresenta la frontiera tecnica e tecnologica verso la quale ogni prodotto di Digital History dovrebbe tendere oggi. Avere la possibilità di cercare parole o frasi all’interno di raccolte testuali coerenti per tema, epoca o esperienze è un sicuro valore aggiunto per la ricerca, sia in campo storico che sociologico. Potrebbero così emergere prevalenze linguistiche o ideologiche tali da far comprendere meglio mentalità e situazioni sulle quali, spesso, si ha una percezione troppo intermediata e poco diretta. Da questo punto di vista, la banca dati Ultime lettere rappresenta una selezione forse troppo specifica e limitata nel numero, per quanto assolutamente esaustiva della particolare forma epistolare nel periodo preso in esame. Inoltre, il suo corpus documentario potrebbe fornire spunti interessanti nella relazione con altri corpora analoghi, ma di diversa epoca storica (come ad esempio il Risorgimento), dando così conto di permanenze, distanze o rielaborazioni potenzialmente dal grande valore storico e filologico.
Bibliografia
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Avagliano, M.; Le Moli, G. (1999). Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma. Milano: Mursia.
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