Leopardi e altre voci
Sebastiano Timpanaro
Recensione di Timpanaro, S. (2023). Leopardi e altre voci. A cura di L. Baranelli, M. Raffaeli. Macerata: Giometti & Antonello, 130 pp.
La morte, o comunque l’accantonamento delle enciclopedie, sfrattate dagli scaffali e scarsamente consultate ormai anche dai meno giovani, comporta, come ogni passaggio di strumento tecnico, acquisizioni ma anche perdite. Perduta, senz’altro, è la prassi di consultare voci che pur furono redatte, per le enciclopedie maggiori, da studiosi di primissimo piano; sicché il loro contributo enciclopedico finisce oggi dimenticato, come dimenticati sono i corposi volumi che lo contengono. La prevalenza delle ‘scienze’ e la rapida obsolescenza dei moderni saperi hanno reso inattuale, forse, anche l’idea di raccogliere voci enciclopediche d’autore, dato che esse si intendono per principio ‘superate’. Eppure, quando a quelle opere grandi collaborarono grandi esperti, erano messe a disposizione di un pubblico non specialistico sintesi di pregio assoluto,1 alle quali non sempre si è dato rilievo adeguato. Le pur numerose e assai importanti voci di Gaetano De Sanctis e di Arnaldo Momigliano per la Treccani non sono state riprese nei loro Scritti minori, ma solo elencate.2 Saranno pochi ormai, tra gli studiosi della cultura greco-romana, a ricordare e utilizzare il volume che doverosamente (e tardivamente) riunì le ancora fondamentali voci stese da Giorgio Pasquali per la medesima sede.3 E se nota è la collaborazione dei migliori all’Enciclopedia Italiana, più in ombra è rimasto il contributo dato a imprese oggi meno frequentate,4 ma non di minore impegno editoriale. Tale il caso dell’Enciclopedia Europea, pubblicata da Garzanti tra il 1976 e il 1984. Ad essa collaborò, tra gli altri, Sebastiano Timpanaro (1923‑2000).5 L’opera di questo studioso schivo e autorevolissimo è raramente arrivata al largo pubblico, con la possibile eccezione di un’ottima edizione del trattato di Cicerone sulla divinazione, uscita per i Grandi libri di Garzanti.6 Prezioso quindi è il libro che ora, per cura di Luca Baranelli e Massimo Raffaeli, ha riunito le voci sue per l’Europea, tra cui quella, capitalissima, citata nel titolo.7 Le interpretazioni leopardiane di Timpanaro, come si sa, vennero anzitutto dallo studio dell’opera filologica, approdando a una celebre monografia e a un’edizione degli scritti filologici,8 ma proseguirono nel solco di una prospettiva materialista, approfondita fino agli ultimi anni. Come evidenziato nella premessa, questa raccolta di voci intercetta le principali linee della riflessione sviluppata da Timpanaro, in una feconda interazione di filologia e filosofia.
1 Qualcosa del genere accadeva anche per libri scolastici: non solo i manuali, ma anche i commenti ai testi classici. Da Carducci a Pascoli, da Pasquali a Mariotti, fu normale per cattedratici di prim’ordine contribuire con lavori importanti a collezioni di strumenti per l’insegnamento secondario, o dirigere personalmente le collane che li stampavano. Un mondo finito per sempre. Tali opere aprirebbero, se fossero consultate, importanti spunti.
2 Con l’eccezione della voce, notevole per tanti aspetti, «Roma in età imperiale», già in EI, 29, 1936, 628-54, poi in Momigliano, A. (1980). Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico. Roma: Storia e Letteratura, 591-673.
3 Bornmann, F.; Pascucci, G.; Timpanaro, S. (a cura di) (1986). Rapsodia sul classico. Contributi all’Enciclopedia italiana. Roma: Enciclopedia italiana. Vedi Cinnella, P. (1991). «Pasquali e l’Enciclopedia Treccani». ANSP 21, 655-80. In aggiunta Cagnetta, M. (1990). Antichità classiche nell’Enciclopedia Italiana. Roma-Bari: Laterza, 29-89.
4 I materiali della Treccani sono accessibili online.
5 Piras, G. (2019). s.v. «Timpanaro, Sebastiano». DBI, 95, 692-5. Utile Anderson, P. (2008). Spectrum. Milano: Mimesis, 238-63 (originariamente in London Review of Books nel 2001)
6 Cicerone (1988). La divinazione. A cura di S. Timpanaro. Milano: Garzanti. Né al largo pubblico poteva giungere il possibile richiamo a Timpanaro, nell’allegorico Il correttore di bozze di Georg Steiner (trad. it. Milano: Garzanti, 1999).
7 Alcune, non firmate, sono attribuibili con sicurezza a Timpanaro, per altra via.
8 Timpanaro, S. (1997). La filologia di Giacomo Leopardi. 3a ed. Roma-Bari: Laterza; Leopardi, G. (1969). Scritti filologici (1817-1832). A cura di G. Pacella, S. Timpanaro. Firenze: Le Monnier.
La prima parte comprende il trio degli intellettuali della Restaurazione (Leopardi, Giordani e Tommaseo), cui si associa Croce. La cultura italiana del primo Ottocento ispirò a Timpanaro una serie di approfondimenti di grande importanza, entro un ripensamento generale capace di superare visioni stereotipe.9 Ma è naturalmente Leopardi ad attirare l’attenzione: accanto al poeta viene valorizzato il prosatore, che nelle Operette Morali espresse una «pacata saggezza» (25), e largo spazio è fatto a un pensatore che, «esteriormente assai più tradizionalista dei romantici, riesce in realtà molti più novatore» (30). Timpanaro sottolinea la forte «ostilità ideologica suscitata dal pensiero leopardiano» (26), variamente emarginato o sottomesso a letture eteronome, e nel dopoguerra riscoperto per risonanze ‘progressive’ o ‘protestatarie’: tutti effetti della «riluttanza» (33), non solo cattolica e idealistica, ad ammetterne il materialismo e il pessimismo.10 Della breve scheda su Giordani risalta l’esperienza di un intellettuale «civile» (37), mentre di Tommaseo è segnalata, insieme alla varietà delle esperienze, la «cultura retriva» (41). Anche il profilo di Croce uscito nel 1977, mentre dunque si compiva il superamento della fase crociana della cultura nostra, riveste interesse, provenendo da studioso di area certo non crociana. Unitamente a vari pregi (tra cui la prosa di «cristallina chiarezza», 48), del filosofo vengono segnalati alcuni limiti, come il rifiuto della filologia e l’atteggiamento antiscientifico, definito «una scelta politico-culturale grave, che ribadì il provincialismo della cultura italiana» (48). Il suo antifascismo «fermo e dignitoso» (49) convisse con una lettura del movimento come parentesi o malattia «senza antecedenti e senza conseguenze» (50), ma fu per molti giovani significativa guida verso l’antifascismo.
9 Timpanaro, S. (1973). Classicismo e illuminismo nella cultura italiana dell’Ottocento. 2a ed. Pisa: Nistri-Lischi.
10 O si dirà francamente nichilismo, con Rigoni, M.A. (2015). Il pensiero di Giacomo Leopardi. Torino: Aragno.
La seconda parte riunisce una serie di voci più brevi, di carattere storico-filologico. Va segnalata certamente la Filologia classica, distesa a spiegare la storia della tradizione e le differenti concezioni della filologia ‘testuale’ o ‘totale’: ma forse la nota più personale riguarda la consapevolezza che nel XX secolo alla filologia classica non si possa attribuire, come in passato, un ruolo di ‘scienza-guida’, né sotto il profilo latamente culturale, né sotto quello tecnico. La complementare voce Critica testuale si chiude sulla constatazione che la critica testuale romanza germanica e moderna «hanno un tempo imparato il mestiere dai filologi classici, oggi il rapporto si è piuttosto invertito» (72). Numerose schede riguardano filologi soprattutto tedeschi, come Karl Lachmann,11 ma anche Ulrich von Wilamowitz, del quale si delinea il profilo critico ma anche si evocano i limiti politici. Per l’Italia, notevole il profilo di Concetto Marchesi, la cui Letteratura latina è detta «storia di spiriti tormentati» (94), mentre di Giorgio Pasquali (del quale Timpanaro fu allievo) è messa in rilievo «la dottrina sterminata, nutrita di esperienza umana oltre che culturale» (96).
11 Timpanaro, S. (1963). La genesi del metodo del Lachmann. Firenze: Le Monnier, (Torino: UTET, 2003³).
Il mondo antico è ulteriormente rappresentato dalle voci maggiori su Platone e Cicerone. Il primo (del quale non viene ricordato, certo per sintesi, il vero nome, Aristocle) è letto con prospettive proprie dei tardi anni Settanta: non si ragiona quindi di agrapha dogmata, sì invece del carattere non solo antidemocratico, ma «duramente antiegualitario» (111) dello stato ideale platonico e, in termini di pensiero, del peculiare misticismo del filosofo, «ancorato non solo al razionalismo... ma a un gusto estetico per la plasticità» (108), che affianca quindi i caratteri etico-religiosi della riflessione. E se un limite è riconosciuto nel rigetto platonico delle scienze sperimentali, viene pur riconosciuto come «il più grande scrittore tra i filosofi di ogni tempo» (116). Quanto a Cicerone, è soprattutto al politico che va un giudizio riduttivo, per la «ingenua vanità» (125) della persona e l’illusione che lo portò a proteggere la crollante repubblica aristocratica e farsi portavoce di un progetto conservatore. Ma valore grande ebbe la sua attività di «organizzatore e diffusore di cultura» (126), e un apprezzamento va pure al prosatore, per il suo stile capace di varietà e chiarezza ammirevoli e, a differenza da quello degli imitatori, «quasi mai inutilmente ridondante» (127).
Si coglie che lo studioso ha versato nella sobria impersonalità delle voci alcuni temi e giudizi propri: e questo ha consentito di inquadrare anche queste voci tra gli scritti ‘minori’ di uno studioso che, per sua stessa ammissione, non aveva prodotto scritti ‘maggiori’ (la rivelatrice riflessione è citata da Raffaeli in chiusura alla premessa). La contrainte editoriale obbligava l’estensore delle voci alla sintesi e alla chiarezza. Il risultato è una scrittura volutamente chiara e secca, ma non anodina, che attinge, come osserva Raffaeli «la suprema eleganza della dissimulazione ovvero della inapparenza» (10). Il dettato risulta di straordinaria lucidità a chi conosca la mala scrittura oggi prevalente, nei saggi come anche nella manualistica. La prosa di Timpanaro rivela invece, pur in una sede apparentemente minore come la voce enciclopedica, la sua «vocazione di maestro».12
12 Santangelo, F. (2014) «‘Voler capire tutto’. Appunti sullo stile di Sebastiano Timpanaro». Anabases, 20, 49-67.